mercoledì 29 giugno 2016

Intervista al Ministro degli Esteri Sergey Lavrov alla Komsomolsakja Pravda

9653(2)

Domanda: Prendiamo il toro per le corna. Abbiamo ricevuto centinaia di messaggi e domande diverse. Molti di questi manifestano franca preoccupazione in relazione alla situazione, molto difficile, in cui si trova questo paese. Hanno provato a spezzarci con le sanzioni, la NATO si avvicina ai nostri confini, stanno dispiegando un sistema di difesa missilistica. Il nostro paese è sottoposto ad una demonizzazione senza precedenti da parte dei media internazionali. Si rifiutano di ascoltarci. Gli Stati Uniti sono alla guida di questo processo. Il presidente USA Barack Obama ha detto che la nazione americana è “eccezionale” e gli altri paesi devono stare alle regole stabilite dagli Stati Uniti. Il ruolo di vassallo ci va chiaramente stretto. Siamo quindi condannati ad una eterna rivalità e ad una conflitto senza fine contro l’Occidente, raccolto intono agli Stati Uniti, una rivalità che in ogni momento può degenerare in confronto, per tacere gli scenari più neri? La gente dice sempre più frequentemente che ci sarà una guerra. Quanto sono fondate queste preoccupazioni?.....

Sergey Lavrov: Non ci sarà nessuna “guerra mondiale”: lo ha detto lo stesso Presidente Putin nel film Ordine Mondialedi Vladimir Solovyov. Sono convinto che i politici ragionevoli, che ci sono in Occidente, non lasceranno che questo accada, perché ricordano ancora bene gli orrori della Prima e della Seconda Guerra Mondiale. La Russia ha sofferto le perdite più dolorose durante la guerra in Europa, la Cina ha sofferto le perdite più dolorose nel Pacifico, combattendo il militarismo giapponese. Di nuovo: i politici non possono permettere che succeda.
Naturalmente noi possiamo contare sugli altri ma, soprattutto, dobbiamo pensare noi per primi a prepararci, al fine di impedire un’altra guerra. Questi sforzi vengono compiuti a proposito dell’attitudine ad allestire capacità militari eccessive e in violazione ai trattati internazionali. Lei ha menzionato il sistema di difesa aereo. Nel 2001 gli Stati Uniti si sono ritirati dal Trattato Anti Missili Balistici. Al tempo il Presidente Americano George W. Bush disse, in risposta alle preoccupazioni espresse dal Presidente Vladimir Putin, che Mosca non doveva avere paura, dal momento che il progetto non era inteso contro la Russia, e che gli Stati Uniti si rendevano conto del fatto che la Russia sarebbe stata costretta a rispondere. Disse anche che Mosca poteva adottare qualsiasi iniziativa e sentirsi libera di muoversi come avesse ritenuto opportuno. I nostri pacifici vicini dell’Europa dell’est dovrebbero tenerlo bene a mente. Noi stiamo inviando calmi messaggi di avvertimento che adotteremo delle contromisure di ritorsione se l’infrastruttura militare della NATO dovesse avvicinarsi troppo ai nostri confini. Ma loro tendono a dimenticarsene e ad attribuire l’intera colpa alla Russia.
Noi, come se fosse una cosa naturale, veniamo incolpati per la crisi Ucraina e la crisi siriana. Continuano a dirci cosa dovremmo fare, cosa dobbiamo fare. Ora ci chiedono di prestare assistenza riguardo alla crisi libica. Presto o tardi saremo accusati di quello che succede… in Yemen. E’ una politica premeditata, non ho dubbi su questo. Francamente, è dall’inizio del ventesimo secolo, e anche da prima, dal tempo di Ivan il Terribile, che nessuno ha desiderato una Russia forte e fiduciosa nei proprio mezzi. Durante il secolo scorso Britannici e Americani hanno fatto del loro meglio per evitare che l’Eurasia mantenesse al sua compattezza, e mi riferisco all’Impero Russo, all’Unione Sovietica e a ciò a cui stiamo assistendo ora in termini di sforzi per promuovere un processo di integrazione nello spazio post sovietico. Rientra tutto nel concetto che lo scienziato politico americano Zbigniew Brzezinski ha espresso nel suo libro La Grande Scacchiera, dove ha affermato chiaramente il compito di evitare che i barbari possano unirsi. Si è espresso proprio in questi termini. Chiaramente si tratta di un linguaggio figurato, ma mostra abbastanza chiaramente la linea di pensiero sottostante.
Ora, riguardo a ciò che bisogna fare. E’ chiaro che la Russia è stata demonizzata. Va bene, ormai dobbiamo esserci abituati: con rare eccezioni i nostri interlocutori non hanno mai mostrato apertura nei nostri confronti nel corso dell’intera storia. Ricordate il discorso di Fulton, tenuto pochi mesi dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, dopo la grande vittoria degli Alleati? Durante la guerra Winston Churchill espresse ripetutamente ammirazione per Stalin, dicendo che l’Unione Sovietica era un alleato ed un interlocutore affidabile, e poi fece il discorso che diede il via alla Guerra Fredda. Non parlerò neanche di informazioni che abbiamo per le quali potrei essere accusato di paranoia. A margine degli incontri del G7 ad Hiroshima, a commento della visita in Giappone del Presidente Obama, i nostri media e il nostro pubblico si sono impegnati in una vasta discussione a proposito delle ragioni per cui sono state sganciate le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. E’ noto che il Presidente Truman considerò seriamente la possibilità di consegnare circa 20 città Sovietiche allo stesso destino.
Lasciatemi ribadire che è necessario essere amici ed intrattenere buone relazioni con tutti. E’ questo il nostro principio. La politica estera russa è multi vettoriale, e siamo aperti a stabilire collaborazione e cooperazione con tutti quelli che sono a loro volta pronti a lavorare assieme su di un piano di parità, di mutuo vantaggio e di considerazione dei reciproci interessi. Ma nel promuovere questa politica dovremmo ricordarci che i nostri principali alleati sono sempre l’Esercito, la Marina ed ora le Forze Aerospaziali.
La sua domanda era molto impegnativa: toccava diversi argomenti. Per quanto riguarda le sanzioni, nel contesto di quanto ho già detto appare evidente che l’Ucraina è stato solo un pretesto per ingranare le sanzioni. La politica di contenimento verso la Russia iniziò molto prima. Appena hanno capito che il Presidente Vladimir Putin, salendo al potere nel 2000 desiderava affermare l’indipendenza del paese negli affari interni, esteri e nella politica economica, hanno iniziato ad elaborare strumenti per contenerci. Dopo tutto il Magnitskij Act è stato adottato molto prima degli eventi in Ucraina. Un sacco di fatti sono stati rivelati, alcuni dei quali mostrati in documentari che per qualche ragione in Europa sono banditi. Questi documentari, e i fatti che rappresentano, mostrano come la morte di Sergey Magnitsky è il risultato di una mega truffa di William Browder, che non è nient’altro che uno squallido truffatore, il che, sono certo, è ben noto a molti che hanno avuto a che fare con lui. Comunque le sanzioni sono state comminate. Più tardi il Presidente Obama ha cancellato la sua visita a Mosca in occasione del summit G20 di San Pietroburgo nel settembre del 2013, perché si era offeso a proposito dell’affare riguardante Edward Snowden, che è fuggito dalla Agenzia di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti ed ha chiesto asilo in Russia. Abbiamo dovuto concederglielo per ragioni umanitarie (una di queste ragioni era che semplicemente non aveva un passaporto) non aveva documenti che gli permettessero di lasciare la Russia. Comunque si sono offesi, hanno preso ha fare i gradassi e a minacciarci, sebbene non in maniera risoluta come nel caso Ucraino.
Noi accogliamo le presenti restrizioni, che ci sono imposte, come una finestra di opportunità che dovremmo fare il possibile per sfruttare, al fine di rafforzare la nostra sicurezza alimentare e tecnologica, continuare a diversificare l’economia e i legami economici esteri, e infine creare meccanismi finanziari alternativi efficaci e sistemi di pagamento.
Vorrei aggiungere che per noi non è tanto importante il quando le sanzioni anti russe saranno rimosse: non le abbiamo imposte noi, e non discuteremo criteri e condizioni per la loro rimozione, ma solo le modalità con cui potremo trarre il massimo vantaggio dalla situazione corrente per il nostro sviluppo economico.
Domanda: Perché un paese che ha vinto una guerra dovrebbe pregare il paese che l’ha persa di siglare un trattato di pace? Dovremo regalare al Giappone metà del territorio della Russia per indurlo a concludere un trattato di pace con noi? Perché dobbiamo cedere le isoli Curili e pregare il Giappone di firmare un trattato con noi?
Sergey Lavrov: Non abbiamo bisogno di farlo, non lo stiamo facendo, e non lo faremo in futuro. Non stiamo cedendo le isole Curili, non stiamo pregando il Giappone di firmare un trattato di pace. Nella sua qualità di potenza affidabile a responsabile e di successore dell’Unione Sovietica, la Russia ha confermato che si ritiene vincolata da tutti gli obblighi assunti all’Unione Sovietica. Questi obblighi includono la dichiarazione congiunta Sovietico-Giapponese del 1956, firmata e ratificata dai Parlamenti di Unione Sovietica e Giappone. La dichiarazione affermava che le parti si impegnavano a concludere un trattato di pace, e solo dopo questo l’Unione Sovietica, così come aveva garantito di fare in precedenza, avrebbe potuto, in segno di buona volontà e assecondando le aspettative del popolo giapponese, trasferire le isole di Shikotan e Habomai al Giappone. Soprattutto, questa mossa è subordinata al riconoscimento senza condizione da parte dei nostri vicini Giapponesi, dell’esito della Seconda Guerra Mondiale. Sfortunatamente non solo riguardo a queste isole, ma, più probabilmente, nonostante esse, i nostri interlocutori Giapponesi non hanno intenzione di procedere in tal senso. Il Giappone rimane, di fatto, l’unico membro delle Nazioni Unite a non aver approvato le previsioni della Carta delle Nazioni Unite che dice che tutto quanto fu stabilito dalle potenze vincitrici è immutabile.
Vogliamo individuare modalità di cooperazione con i nostri vicini Giapponesi. Il Giappone è un grande paese, una grande nazione con un storia complessa, inclusa una fase, per dirla diplomaticamente, di cattive relazioni con i suoi vicini. Ma siamo tutti interessati a che i popoli russo e giapponese possano vivere in armonia e beneficiare della reciproca cooperazione come tutti i popoli di tutti i paesi. Giungere ad una soluzione reciprocamente soddisfacente senza un riconoscimento dell’esito della Seconda Guerra Mondiale è impossibile. E’ quello che ripetiamo ai nostri interlocutori giapponesi ogni volta che parliamo con loro. Diciamo anche che ci sono molti modi per migliorare questa situazione. In particolare durante l’ultima tornata di consultazioni, abbiamo proposto di considerare l’aspetto storico della questione, per rendere percepibile a tutti che la Seconda Guerra Mondiale ha scritto la parola fine al continuo passaggio di mano di quelle isole.
Ci rendiamo conto che su quelle isole ci sono le tombe dei parenti di cittadini giapponesi. Alcuni vivono ancora su quelle isole. Abbiamo programmi speciali di viaggio senza visto per Giapponesi che visitano le isole Curili meridionali. I residenti della regione di Sakhalin, a proposito, possono a loro volta andare in Giappone in gruppi esenti da visto. Abbiamo invitato per lungo tempo i nostri vicini giapponesi ad intraprendere attività economiche congiunte su quelle isole. Possono fare investimenti e creare zone economiche speciali. Possono fare tutto questo. Spero che i nostri colleghi giapponesi si concentreranno proprio su queste attività. Almeno, li abbiamo invitati a farlo. Credo che questo porterà chiarezza in molti capitoli della nostra agenda. Se quello che conta è che quelle isole siano aperte a visitatori e uomini d’affari giapponesi, ad iniziative umanitarie sostenute dal Giappone, allora tutto il resto forse non è così fondamentale.
Sergej Lavrov con il suo omologo giapponese Fumio Kishida
Sergej Lavrov con il suo omologo giapponese Fumio Kishida
Domanda: In cosa consiste, in concreto, il nuovo approccio al tema di cosiddetti “territori settentrionali” annunciato dal Primo Ministro Shinzo Abe a Soci non molto tempo fa ?
Sergey Lavrov: Nulla che non sia già stato discusso in precedenza. Questo, in sostanza, significa che il nostro dialogo ritorna al solco tracciato già nel 2003 durante un summit russo-giapponese del 2003 e confermato nel 2013, quando il Primo Ministro giapponese Shinzo Abe venne in Russia in visita ufficiale.
L’idea è che al fine di far fronte ad ogni nuovo problema che emerge, o ai problemi più vecchi, abbiamo bisogno di sviluppare le nostre relazioni in tutte le direzioni, e renderle pienamente sviluppate e strategiche. Questo riguarda i legami commerciali ed economici, particolarmente nel campo degli investimenti (reciproci) e degli scambi umanitari che sono ardentemente desiderati dai nostri popoli. E questo riguarda anche in parte non piccola la nostra cooperazione in materie attinenti la sicurezza e la stabilità strategica. Comunque desideriamo che i nostro colleghi giapponesi impostino in piena autonomia il loro indirizzo di politica estera.
Domanda: E’ più difficile avere a che fare con diplomatici occidentali o orientali?
Sergey Lavrov: Come sia avere a che fare con diplomatici occidentali e orientali, se per orientali intende Asiatici ed Africani, direi che tutto dipende dalla persona. Ci sono colleghi occidentali che fingono di non rendersi conto di non aver nulla da dire, o che agiscono in maniera molto diretta, e ci sono i nostri interlocutori Cinesi e Giapponesi, che sono più esperti e preparati. Dipende tutto dalla persona.
Lo stile della diplomazia in Asia differisce leggermente, come ovvio, da quello occidentale. E’ più delicato, sottile, raffinato e meno arrogante. In passato solo gli Stati Uniti dettavano la loro volontà a tutti, e lo fanno ancora. Non molto tempo addietro il Presidente USA Barack Obama ha detto che gli Stati Uniti dovrebbero determinare da soli tutte le regole globali, mentre gli altri, inclusa la Cina, che lui ha richiamato (ma evidentemente anche la Russia), dovrebbero obbedire a queste regole. Sfortunatamente questa malattia incancrenita sarà dura da curare, ma passerà. E’ rimarchevole che l’Europa stia seguendo questo esempio, ricorrendo ad abitudini simili e adottando costumi simili, andando dritto alle sanzioni alla prima avvisaglia di un problema. In passato questa era una caratteristica dei soli Stati Uniti. Ma si sistemerà tutto da solo, col tempo.
Domanda: Un quinto delle più di mille domande che abbiamo ricevuto dal nostro pubblico riguarda l’Ucraina. Il processo di Minsk fu lanciato più di anno fa. Molti credono che stia fallendo e che non produrrà risultati positivi. Ci sono speranze che il Pacchetto di Minsk possa essere attuato?
Sergey Lavrov:  Naturalmente c’è ancora speranza. Dobbiamo continuare a chiedere la sua attuazione, come abbiamo fatto fin ora. Gli accordi di Minsk sono stati coordinati nel corso di difficilissimi colloqui di alto livello e poi firmati da Kiev, Donetsk, Lugansk,  dalla Russia, dalla Francia e dalla Germania. Sono l’unico documento che elenca gli obblighi contratti dalle parti in conflitto e le garanzie offerte dagli Europei e dalla Russia. Non dobbiamo consentire che questi accordi facciano la fine degli accordi siglati da Viktor Yanukovych, Arseny Yatsenyuk, Vitaly Klitschko e Oleg Tyagnibok nella notte del 21 febbraio 2014, in presenza e con la testimonianza dei rappresentanti di Francia, Germania e Polonia,  solo per essere violati la mattina del giorno successivo. E i nostri colleghi di Francia, Germania e Polonia rimasero in vergognoso silenzio. Se permettiamo a quelli che misero in atto il colpo di Stato e che attualmente costituiscono la principale forza politica nella dirigenza ucraina, di seguire lo stesso schema riguardo al Pacchetto di Minsk, tutti noi perderemo la faccia, incluso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha approvato gli Accordi di Minsk una volta sottoscritti nella loro forma attuale, senza suggerire alcuna correzione.
Il Presidente dell’Ucraina Petro Poroshenko e il Ministro degli Esteri Klimkin hanno rilasciato dichiarazioni contrastanti riguardo al loro impegno per la realizzazione degli accordi di Minsk, dicendo una cosa al loro popolo e provando di agire in maniera più costruttiva agli incontri con i loro interlocutori stranieri. Speriamo che almeno parte delle loro dichiarazioni abbiano seguito. La situazione è semplicissima. Stanno ancora discutendo se venga prima l’uovo o la gallina, e quale sia il prossimo passo da farsi. La sicurezza è diventata contro ogni previsione l’argomento chiave per il Presidente Poroshenko. Ora parla non solo di cessate il fuoco, ma della introduzione di forze internazionali per assicurare la sicurezza nel territorio del Donbass. Il che non è previsto negli accordi di Minsk. Il Donbass non sarà mai d’accordo, e secondo gli accordi di Minsk tutti i passi verso una sistemazione devono essere coordinati con il Donbass.
A proposito della sicurezza sulla linea di contatto, siamo fermamente a favore di un rafforzamento del ruolo e della responsabilità della  missione OSCE, per l’aumento del numero degli osservatori in modo che possano sovraintendere alla creazione di una distanza di sicurezza fra le parti in conflitto, come concordato, e possano anche controllare i magazzini di stoccaggio degli armamenti delle parti. In sostanza, è possibile rimandare il processo all’infinito parlando ogni volta di sicurezza insufficiente. Kiev insiste sul fatto che le loro riforme politiche inizieranno solo quando la sicurezza è mantenuta al 100% per diverse settimane o addirittura per mesi. E’ una posizione non realistica. Nulla del genere è mai stato ottenuto in alcun altro conflitto, senza prima una regolazione degli aspetti politici. A tal proposito tutte le palle sono nella metà campo ucraina. Mi riferisco, in primo luogo, allo statuto speciale del Donbass, che è stato stabilito negli accordi di Minsk e che ora ha bisogno di essere formalizzato in una legge e protetto dalla costituzione. C’è poi la questione dell’amnistia, visto che l’amnistia è parte dell’accordo ora che la marea del conflitto sta rifluendo. Una legge di amnistia è stata scritta e adottata dalla Verkhovna Rada (il parlamento), ma il Presidente Poroshenko non l’ha firmata. Non so il motivo. Ci dicono che l’amnistia può essere approvata solo sulla base di una legge del 1996, secondo la quale tutti i sospetti devono richiedere individualmente l’amnistia e la sua applicazione sarà valutata di caso in caso dalle corti Ucraine. Questo non è quanto concordato, e certamente impedirà l’applicazione degli accordi di Minsk. Infine, dovranno essere tenute delle elezioni dopo che lo statuto speciale del Donbass sarà formalizzato nella costituzione assieme alla legge sull’amnistia. Tutti queste questioni (le elezioni, la legge sullo statuto speciale, e le modifiche della costituzione in osservanza al pacchetto di Minsk, che chiaramente le richiede) devono essere coordinate con le aree delle regioni di Donetsk e Lugansk interessate dal conflitto.
Nulla di tutto ciò è stato fatto, nonostante gli sforzi compiuti all’interno del Gruppo di Contatto, unico contesto in cui un dialogo diretto fra Kiev Donetsk e Lugansk è possibile, e all’interno del Formato Normandia, che non può sostituire il Gruppo di Contatto e non importa quanto Kiev, o anche Berlino o Parigi, possano desiderarlo. Siamo consci del loro stato d’animo e abbiamo sentito proposte secondo cui quattro parti (Francia, Germania, Russia e Ucraina) dovrebbero negoziare un accordo, dopo di che starebbe alla Russia convincere il Donbass ad aderirvi. Quando spieghiamo che un dialogo diretto fra il Donbass è Kiev è quanto occorre, un rappresentante tedesco chiese cinicamente e abbastanza insolentemente perché insistiamo su un dialogo diretto se basterebbe un quarto d’ ora alla Russia per allineare il Donbass al suo volere. Questo è precisamente ciò che ha detto.
Domanda: Sarebbe meglio se fossero loro ad allineare Kiev.
Sergey Lavrov: E’ esattamente quanto avevo in mente di dire in conclusione alla risposta alla Sua domanda. Credo che non solo i Tedeschi ed i Francesi, ma molti altri in Europa e negli Stati Uniti vedano che Kiev sta eludendo gli impegni assunti dal Presidente dell’Ucraina.
Domanda: Ho lavorato nel Donbass fin dall’inizio e sono stato testimone del referendum dell’11 maggio. E’ molto difficile spiegare alla gente perché il referendum della Crimea è stato riconosciuto e quello di Donetsk e Lugansk, corretto e onesto tanto quanto quello della Crimea, svoltosi in presenza di noi giornalisti, no.
Abbiamo ricevuto telefonate proprio su questo argomento:” perché la Russia ha fatto meno attenzione al sud est Ucraina? Il Donbass devastato è peggio della Crimea in fiore?”
“Chiamo da Donetsk. Non abbandonate il Donbass. E’ terra russa e qui vivono Russi. Siamo nei guai, e aspettiamo il vostro aiuto. Senza, non sopravviveremo. Per favore, non abbandonateci.”
Perché la Russia non prende posizione nel senso che qualora l’Ucraina continui a sabotare il Processo di Minsk, la Russia riconoscerà ufficialmente le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, e stabilirà con loro trattati, così come ha fatto con l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud?
Sergey LavrovIn primo luogo, non abbiamo abbandonato il sud-est dell’Ucraina, e lo ricordiamo sempre. Siamo attivi nel sostenerlo, e non solo politicamente. Questi sforzi includono aiuti umanitari ed iniziative per risolvere i problemi economici e per assicurare condizioni di vita adeguate, inclusi specifici compiti che erano stati assunti da Francia e Germania. Questi paesi si erano offerti di rendere operativo il sistema bancario, ma non sono stati in grado di farlo, e lo hanno riconosciuto. Questo tanto per dire che è bene fidarsi delle persone con cui si ha a che fare, me è meglio farlo sui propri mezzi. La Russia è impegnata a risolvere questo ed altri problemi connessi con le condizioni di vita nel Donbass, e continueremo a farlo.
Fra le altre previsioni degli accordi di Minsk sullo statuto speciale per il Donbass c’è il diritto di gestire direttamente e senza restrizioni le relazioni economiche e non con la Federazione Russa. Questa è una componente essenziale, che ha indotto sia la Russia che Donetsk a sostenere gli accordi Minsk.
Per quanto riguarda i referendum, siete a conoscenza delle condizioni nelle quali il referendum fu tenuto in Crimea e di cosa successe nelle regioni di Donetsk e Lugansk. Dopo il referendum nel Donbass, i capi delle repubbliche autoproclamate non rifiutarono di tenere un dialogo con Kiev. E’ stato questo dialogo che condusse al Pacchetto di Minsk.
Domanda: Parlavano di indipendenza.
Sergey LavrovMi consenta di ripetere che loro non hanno mai rifiutato il dialogo con Kiev. E’ vero che proclamarono l’indipendenza, ma nello stesso tempo affermarono che erano aperti a negoziati. La Russia, la Germania e la Francia hanno sostenuto questi colloqui, che hanno spianato la strada agli Accordi di Minsk. Si può sbattere la porta e seguire l’esempio di quelli che minacciano riconoscimenti, sanzioni e simili, incapaci come sono di far uso di strumenti diplomatici. Io sono fermamente convinto che un approccio simile sia fortemente controproducente. Darebbe un pretesto all’Occidente per smettere di esercitare pressioni su Kiev, per dirla con grande moderazione. Kiev è sotto pressione. Non smaniano di dirlo pubblicamente, ma quando parlano agli Ucraini a porte chiuse (noi lo sappiamo per certo) sono davvero fermi nel chiedere che tutti gli accordi stipulati a Minsk siano rispettati.
Penso sia molto importante assicurarsi che i documenti firmati e approvati dal Consiglio di Sicurezza siano attuati, e non serve altro, a tal fine, che l’essere ligi alle loro prescrizioni. Siamo in una situazione unica. Al momento non esiste alcuna possibilità che questo documento possa essere sostituito con qualsiasi altra cosa, e non nessuno tenta nemmeno di opporvi qualche alternativa. Non può essere contestato. Se ora diciamo che la nostra pazienza ha un limite e che prenderemo altre strade, loro diranno semplicemente: andate pure. In quel caso, l’occidente smetterà di esercitare pressioni sulle autorità ucraine.
Il Donbass non è l’unica ragione per mantenere una pressione sull’Ucraina. Il mandato della missione OSCE si estende a tutta l’Ucraina. La Russia insiste continuamente sul fatto che i rapporti della missione non devono riguardare solo il Donbass e la linea di contatto, ma anche tutte le altre regioni dell’Ucraina. Regioni in cui succedono cose orribili. Nonostante i nostri colleghi OSCE fanno risultare le cose migliori di quanto non stiano in realtà, tuttavia sono consapevoli della violazione dei diritti delle minoranze, inclusi gli Ungheresi, e della presenza di regioni infiltrate dalla mafia come la Transcarpazia. In molti cosi parlamentari della Verkhovna Rada stanno dietro al crimine organizzato, anche se i rapporti omettono di farne menzione.
E’ per questa regione che abbiamo bisogno di preservare questa cornice legale internazionale e di salvaguardarla in tutti i modi possibili dai tentativi di minarla dall’interno o dall’esterno.
Mikhail Zurabov, ambasciatore a Kiev, pesantemente contestato dall'intervistatrice;
Mikhail Zurabov, ambasciatore a Kiev, pesantemente contestato dall’intervistatrice;
Domanda: Vorrei continuare parlando di Maidan. Ho lavorato per otto anni e ho visto gli eventi del Maidan svilupparsi sotto i miei occhi. Io credo che, per la parte che ha visto la diplomazia russa coinvolta, sia stato un completa fallimento. Già nell’aprile 2013 la Komsomolskaya Pravda scrisse che gli umori generali in Galizia erano a favore di una guerra contro i Russi. Non hanno fatto niente per nascondere i loro piani. Lo abbiamo scritto, ma nessuno ci ha considerati. Tutti gli osservatori politici filo-russi che lavoravano in Ucraina al tempo hanno raccontato di non aver potuto in nessun modo smuovere l’Ambasciatore Mikhail Zurabov e nemmeno incontrarlo. Gli incontri con l’Ambasciatore si tengono una volta all’anno, il 12 giugno, durante le celebrazioni del Giorno della Russia, di solito sono accompagnati da vodka e birre. Non ci sono altre opportunità. La Russia non era pronta quando il Maidan esplose, ed ha osservato passiva lo svolgersi degli eventi. Abbiamo ricevuto molte domande sul perché l’ Ambasciatore in Ucraina, Mikhail Zurabov, sia ancora in carica.
Sergey Lavrov: Non credo che questo sia un argomento che si può discutere in pubblico.
Domanda:  Perché no? Riguarda la diplomazia internazionale della Russia.
Sergey Lavrov: L’ Ambasciatore Mikhail Zurabov può rispondere al Ministro degli Esteri russo, alla Duma di Stato ed alla Assemblea Federale Russa. Non sono sicuro di capire l’essenza della Sua domanda.
Domanda: Quel che voglio dire è che Maidan ci ha colti impreparati.
Sergey Lavrov: Sì, proprio questo. Ha detto che noi abbiamo perso a Maidan. Se ne è così certo, e se davvero si dice così spesso che la diplomazia russa ha fallito, che alternative vengono implicitamente proposte? Cosa avremmo dovuto fare, se la gente è così sicura che sia stato un nostro fallimento?
Domanda: L’ Ambasciata USA non ha risparmiato sulla propaganda contro di noi, e ha pagato siti che costano un migliaio di dollari l’uno (noccioline per un paese grande dome il nostro). Questi siti hanno infangato la nostra reputazione per un decennio. Gli americani non hanno nascosto di aver speso 5 miliardi in propaganda contro la Russia e a loro dire per la libertà di parola. Le nostre ambasciate sono totalmente carenti di iniziativa. La voce di un Ambasciatore americano è sempre ascoltata e la voce dei nostri è sempre in sordina, con pochissime eccezioni. Posso citare il Libano come esempio di un paese in cui l’ambasciatore russo, Alexander Zasypkin, sta facendo un gran lavoro.La situazione in Libano è cambiata drasticamente da quando è arrivato, perché la popolazione ascolta continuamente le sue parole. I nostri Ambasciatori sono come bunker: vivono nel loro piccolo mondo e non escono mai fuori.
Prendiamo un altro esempio: l’attuale Ambasciatore Ucraino in Croazia ha semplicemente “violentato” i media locali. Gli è stato concesso addirittura uno spazio fisso su un giornale, nel quale insulta la Russia su base quotidiana. I nostri ragazzi non aprono bocca. Dove sono? Perché si nascondono? Perché non si fanno intervistare? E’ un grosso problema. Lavoro in ogni tipo di paesi e dovunque io vado trovo solo ricevimenti dedicati ad Alexander Pushkin e Pyotr Tchaikovsky. Ma a chi interessano, oggi?
Sergey Lavrov: Non posso essere d’accordo con questo perché gli Ambasciatori russi negli Stati Uniti, in Libano, in Iraq, in Siria e gli inviati speciali della Russia alle Nazioni Unite a New York e negli uffici delle Nazioni Unite a Ginevra sono noti per il fatto di non essere gente che appare regolarmente in TV e tuttavia sono persone che lavorano molto sodo. Dovrebbe capire una cosa: apparire nelle prime pagine dei giornali, nelle televisioni e alla radio è ben lungi dall’essere il compito che devono svolgere, e in molti casi non è nemmeno la parte principale del compito. Ha parlato di pagare per dei siti internet. Per quanto riguarda l’ Ambasciata degli Stati Uniti a Kiev, non ci sono solo queste bustarelle, ma un intero piano del palazzo che ospita i servizi di sicurezza era ed è ancora occupato da impiegati della FBI o della CIA o di entrambe, oltre alla NSA.
Qual’ era l’alternativa? Dovevamo anche noi pagare degli esperti in scienze politiche per allestire dei siti internet? Quando i teppisti sono comparsi a Maidan abbiamo chiesto che si conformassero alla Costituzione Ucraina. Non hanno voluto farlo e come risultato hanno concluso un accordo con Viktor Yanikovich attraverso figure di opposizione. Questo accordo è stato siglato il 21 febbraio e prevedeva che Yanukovich dismettesse i suoi poteri presidenziali di utilizzo della forza e il suo monopolio sull’uso della forza, e accettasse elezioni anticipate. In altre parole, se questo accordo fosse stato attuato, sarebbe stato rimosso democraticamente molto tempo fa (inutile dire, lo sanno tutti, che non sarebbe stato rieletto) e gente come quella che è al governo oggi sarebbe ora al potere ma senza tutte queste vittime e tutte queste distruzioni. Lei cosa suggerisce? Quando questi teppisti hanno incominciato a macchiarsi di eccessi sul Maidan, avremmo dovuto mandare truppe… o cosa? Per favore, me lo dica.
Domanda: Avevamo in mano tutte le carte.
Sergey Lavrov: Cosa intende?
Domanda: Un Presidente regolarmente eletto è fuggito in Russia. E’ avvenuto un colpo di stato in un paese vicino, amico. Il Presidente ci ha chiesto aiuto. Avevamo tutto il diritto di aiutarlo a riportare la situazione sotto controllo. Un pugno di teppisti hanno preso il potere: è un colpo di stato armato. Perché non lo abbiamo fatto?
Glielo spiego io perché: perché continuiamo a trastullarci con una teoria di sovranità statale che ci lega le mani. Gli Americani hanno sviluppato la teoria dell’intervento umanitario, che implica una obbligazione ad intervenire. Nel frattempo noi stiamo a blaterare sulla sovranità e siamo rimasti intrappolati in questo concetto. Noi non produciamo ideologi. Anche noi abbiamo diritto di intervento.
Sergey Lavrov: Evitiamo di girarci attorno. Me lo dica apertamente: pensa che avremmo dovuto mandare le truppe?
Domanda: Si, avremmo dovuto farlo. Era nostro dovere intervenire, con un intervento umanitario.
Sergey Lavrov: Non concordo. Voleva la guerra fra Russia e Ucraina?
Domanda: Non ci sarebbe stata nessuna guerra.
Sergey Lavrov: Sono stati quelli che il colpo di Stato ha portato al potere ad aver progettato la guerra contro il loro stesso popolo. Penso che Russi ed Ucraini siano un popolo solo. Se pensa che avremmo dovuto fare la guerra al nostro stesso popolo, mi trova fermamente in disaccordo.
Domanda: Non si sarebbe trattato di scatenare una guerra, ma di sistemare la banda che aveva preso il potere.
Sergey Lavrov: Ora questa banda gode del sostegno di un gran numero di persone, alcune delle quali indossano uniformi militari, altre no. Basta menzionare i battaglioni della Guardia Nazionale, qualsiasi opinione si possa avere di loro. Ci sono decine di migliaia di persone del genere. Allora: come suggerisce di procedere, verso queste decine di migliaia di Ucraini?
Domanda: Ne hanno raccolti decine di migliaia solo dopo che noi abbiamo assistito passivamente e lasciato che gli avvenimenti si sviluppassero senza intervenire.
Sergey Lavrov: L’esercito ha giurato lealtà al nuovo regime. E il nuovo regime avrebbe ordinato a questo esercito di combattere l’Esercito Russo. E’ una pessima idea, non riesco nemmeno ad immaginarla.
Question: La settimana scorsa è girata una notizia, che ha allarmato molti dei nostri lettori ed ascoltatori, riguardante Nadezda Savchenko. I lettori chiedono cosa ne pensa del rilascio di una criminale che ha ucciso i nostri giornalisti. Pensano che non si farà sfuggire nessuna possibilità di provocare la Russia. Abbiamo fatto la cosa giusta?
Sergey Lavrov: Penso di sì. Dovevamo portare a casa i nostri concittadini, e lo abbiamo fatto. La nostra posizione di principio è scambiare “tutti per tutti”, non solo in situazioni come quella della Savchenko e dei nostri concittadini, ma anche per la realizzazione degli accordi di Minsk. Credo che se la Savchenko giocherà sporco contro di noi questo sarà un grattacapo per le autorità ucraine (ma, dopotutto, chi non gioca sporco contro di noi in Ucraina? In pratica non è rimasto un solo politico ucraino che parlerebbe con noi normalmente).
Domanda: Vero.
Sergey Lavrov: Si tratta di una donna molto particolare. A proposito: sembra parecchio ben pasciuta. Credo che ora chiunque si sia reso conto a cosa servivano i suoi scioperi della fame isterici. Vuole diventare presidente, dichiararci guerra, e vuole anche qualcos’altro.
Domanda: Per il momento se ne va in giro a piedi nudi.timthumb
Domanda: Tutti i paesi del Medio Oriente stanno seguendo dappresso il confronto Russio-Turco. I politologi locali si ricordano bene quando il Presidente Russo Vladimir Putin li ha avvertiti che questa faccenda “non se la sarebbero cavata con qualche pomodoro”. Ora, in ogni caso, le cose sembrano giunte ad una svolta inattesa. Alcuni giorni fa noi per primi abbiamo detto che avremmo voluto ripristinare qualche contatto. Questo magari è molto cristiano, ma che ne è stato del principio “occhio per occhio, dente per dente”? I miei amici orientali e i politologi mi dicono: “Non siete stati voi ad iniziare la guerra alla Turchia e non è colpa vostra se è scoppiata. Ma l’Unione Sovietica non avrebbe mai tollerato che uno dei suoi aerei venisse abbattuto senza ritorsioni. Perché ora i Russi offrono per primi un ramoscello d’olivo? Gli studiosi di scienze politiche orientali hanno l’impressione che la Russia sia stata umiliata dall’Islam.
Sergey Lavrov: Direi che può bastare. Continuare sarebbe come segnare goal giocando da soli. Lei e le persone con cui si relaziona fate affermazioni che sono completamente false e, procedendo da tali errate premesse, traete conclusioni sulla base delle quali valutate il nostro operato.
Non abbiamo mai detto che intendevamo offrire alla Turchia il ramoscello di ulivo o nient’altro del genere. Perché avremmo dovuto? Abbiamo detto che la Turchia deve scusarsi e rimborsare i danni provocati da questo atto criminale, da questo crimine militare. Quando è stato chiesto al Presidente Vladimir Putin  se la Turchia stava intraprendendo qualche iniziativa, ha risposto che loro si stanno facendo sotto utilizzando differenti canali.
Domanda: Siamo pronti a ripristinare le relazioni?
Sergey Lavrov: No, il Presidente Vladimir Putin ha detto che siamo pronti a prendere in considerazione la possibilità, ma prima la Turchia deve fare ciò che deve. Ma perché questa singola frase è estratta dal contesto?
Se volete vedere solo un clima di panico e di disfattismo fra i dirigenti Russi, questa conversazione prenderà una piega difficile. Non è necessario scendere agli insulti per mostrare che si disapprovano le iniziative dei propri interlocutori, e questo è quanto è stato fatto. E, naturalmente, non se la caveranno con un embargo sui pomodori: c’è molto più di questo. Adesso cercano di contattarci attraverso taluni canali riservati, e suggeriscono di costituire dei comitati. A dicembre, quando il Ministro degli Esteri turco mi ha incrociato alla riunione OSCE, ha suggerito che stabilissimo un comitato, o un gruppo, che includesse diplomatici, esperti militari, e ufficiali dei servizi, e non so chi altro.
Domanda: Hanno fatto qualche progresso, negli ultimi sei mesi?
Sergey Lavrov: Naturalmente no. Così le nostre richieste restano immutate.
Domande: Noi chiediamo tre cose: scuse ufficiali, punizione per i responsabili e risarcimento dei danni, giusto?
Sergey Lavrov: Naturalmente.
Domanda: A proposito della Siria. Ho visitato il Curdistan Siriano. I Curdi iracheni e turchi vogliono sapere se la Russia è venuta per rimanere o se si tratta di una operazione a termine. Vogliono che la Russia resti, in modo che emerga in Medio Oriente un secondo polo di potere. Resteremo?
Sergey Lavrov: Un centro di potere in Medio Oriente è già stato stabilito. Non so se è il secondo, o magari il primo centro di potere. Vede, la coalizione a guida USA, percepita da molti come il primo centro di potere, sta semplicemente traccheggiando. Ho parlato con il Segretario di Stato USA John Kerry qualche giorno fa e gli ho chiesto perché hanno smesso di bombardare i terroristi e perché non hanno fatto una singola missione per interrompere le consegne di petrolio alla Turchia.
Question: E cosa ha detto?
Sergey Lavrov: Ha detto che lo stavano facendo. Sono sempre sviati dalla logica fallace secondo cui i terroristi sono mischiati alle simpatiche forze di opposizione, e che bisognerebbe evitare di colpire questa opposizione amichevole mentre si attaccano i terroristi. Ma gli ho ricordato che, alla fine di febbraio, ci avevano garantito che le unità che loro consideravano patriottiche e leali alle loro indicazioni sarebbero state ritirate dalle posizioni occupate da Jabhat al-Nusrah. Sono passati più di tre mesi, e non è stato fatto nulla. Ora ci hanno chiesto ancora diversi giorni prima di applicare il loro piano, secondo il quale tutti quelli che non hanno aderito al cessate il fuoco sono un obiettivo legittimo, senza distinzione se figurino o meno nelle liste dei terroristi. Hanno chiesto diversi altri giorni prima di rispondere, e questi giorni scadono questa settimana.
A questo punto la coalizione è quasi inattiva, mentre miliziani ed equipaggiamento continuano a transitare dal confine turco. Si sta chiaramente preparando un’offensiva, vietata da diversi accordi e risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ci dicono che le unità cosiddette “buone” sono pronte a cessare le violazioni del cessate il fuoco, ma che a tal fine dovrebbe essere lanciato un processo politico. I membri di una delegazione che è stata costituita principalmente con il sostegno turco (il cosiddetto Alto Comitato di Negoziazione) dicono che non possono partecipare ai colloqui perché il Presidente Siriano Bashar Al Assad non si è ancora dimesso. Tutto questo circo va avanti da parecchio.
Ho detto onestamente al mio collega che secondo noi stanno semplicemente cercando di ingannarci. Lui ha giurato che non è così, e che le autorità militari alla fine inizieranno a coordinare le operazioni. Lo ripeto: gli abbiamo già detto chiaramente che questa situazione non ci va bene e che non abbiamo intenzione di continuare a stare a sentire queste storielle. Abbiamo degli obblighi verso il legittimo governo siriano e verso quelle autorità, siamo là su loro richiesta, mentre nessuno ha invitato la “coalizione”. La coalizione a guida USA è stata invitata in Iraq, non in Siria. Ma i governanti siriani hanno detto (e gli Stati Uniti ne sono a conoscenza) che, se la coalizione coordina le operazioni con le Forze Aerospaziali Russe, non protesteranno ufficialmente e li considereranno come interlocutori nella guerra al terrorismo. Ad essere onesti questo è il solo fondamento legale della presenza della coalizione, per quanto fragile sia.
Tutti ammettono che le prime operazioni russe e i primi pochi mesi di intervento hanno radicalmente migliorato la situazione. La Turchia ed i nostri colleghi occidentali vogliono che questa tendenza si fermi e magari che si inverta. Non vogliono vedere il Presidente della Siria Bashar al-Assad rimanere al potere per il semplice fatto che cinque anni fa dissero che doveva andarsene, e non gli importa nulla del popolo della Siria. Ma tutti ora capiscono che non ci sarà nessun processo politico senza al Assad. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e varie decisioni sulla Siria, adottate sin dal 2012 con il nostro attivo coinvolgimento, non contengono alcune domanda o suggerimento relativo alle dimissioni di Bashar al-Assad. Al contrario, dicono che solo il popolo della Siria ha il diritto di decidere il suo futuro, e che il processo politico dovrebbe coinvolgere tutte le forze della società siriana senza eccezioni, incluse le denominazioni etniche, politiche, religiose e tutti i gruppi di opposizione.
Due mesi fa il Presidente Vladimir Putin ha annunciato la decisione di allentare la presenza militare in Siria dopo che l’obiettivo, ovvero prevenire la graduale disintegrazione dello stato che avrebbe condotto alla presa di Damasco da parte dei terroristi, era stato in gran parte conseguito. Le assicuro che attualmente nel paese vi sono forze e risorse sufficienti a neutralizzare le attuali minacce terroristiche. Stiamo affrontando questa questione. E’ solo importante che i nostri colleghi statunitensi capiscano la loro responsabilità. I credo che noi li stiamo mettendo con le spalle al muro. Ma è vero che sono persone molto capaci, astute ed evasive.
Se legge con attenzione i dispacci sullo schieramento delle unità militari russe in loco, vedrà che non ci siamo limitati ad arrivare, piantare le tende, sparacchiare in giro, levare le tende e andarcene. Questo dovrebbe rispondere alla Sua domanda riguardo al fatto se siamo venuti per restare o no.
Domanda: In definitiva, il Segretario di Stato USA John Kerry è stato capace di rispondere alla domanda del nostro Presidente: “vi rendete conto di cosa avete fatto” ?
Sergey Lavrov: Sa, ne ho parlato parecchio con lui. Il Segretario di Stato John Kerry è una persona con cui è molto gradevole parlare. Dallo scorso gennaio ci siamo sentiti al telefono più di 30 volte, e visti di persona quattro volte. Sono sicuro che ci sentiremo e ci incontreremo di nuovo.
Ma quando abbiamo l’occasione di discutere la situazione in Siria, insiste che “qualcosa deve essere fatto, ora”. A questo punto sono costretto a ricordargli quali sono i passi compiuti sin’ora: nel giugno 2012, il Segretario di Stato Hillary Clinton, gli Europei, i Cinesi, gli Arabi, i rappresentanti turchi ed io, firmando il Comunicato di Ginevra. Il documento affermava la necessità di lanciare un processo di transizione politica per formare una struttura unitaria governo – opposizione basata sul reciproco consenso. A quel ponto la Russia portò il documento al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per l’approvazione ma gli Americani rifiutarono di convalidarlo perché non conteneva nulla che gli permettesse di estromettere il Presidente siriano Bashar al Assad o di introdurre sanzioni contro di lui se si fosse rifiutato di andarsene. Gli ho chiesto: “perché avrebbe dovuto esserci una previsione simile? Ne avevamo parlato per sette ore, a Ginevra!”. A quel punto gli Americani si sono rifiutati seccamente di approvare il Comunicato. Un anno dopo venne fuori la minaccia delle armi chimiche. Abbiamo aiutato a risolvere la situazione e abbiamo insistito che la risoluzione adottasse il piano Russo-Americano, con il consenso del governo siriano, per rimuovere ed eliminare le armi chimiche, includesse una sezione che approvava il Comunicato di Ginevra. Ora dicono che il Presidente Siriano Bashar al Assad sta violando il Comunicato. E’ esattamente come nel Donbass: il principio è il dialogo diretto. Ma preferiscono evitarlo. Nel Donbass le autorità evitano il dialogo, mentre qui è l’opposizione ad evitarlo. Ecco a voi i nostri colleghi occidentali.
Durante le discussioni con il Segretario di Stato USA John Kerry, gli ho chiesto perché stavano facendo gli stessi errori che avevano già fatto in Iraq nel 2003. Mi ha detto che lui al tempo era senatore che aveva votato contro quella iniziativa. Grande. Bene. Anche Barack Obama votò contro. Si, l’ Iraq è stato un errore. A che mi dice della Libia? Era durante l’ ufficio di Hillary Clinton, ed anche quello è stato un errore. Hanno violato il mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiudeva lo spazio aereo per prevenire attacchi, nonostante il quale loro hanno bombardato il paese con l’aviazione e alla fine hanno brutalmente assassinato il Presidente Muammar Gaddafi, non voglio scendere nel merito di che tipo di persona fosse. E’ stato un crimine di guerra. E adesso la Libia è inondata di terroristi che riforniscono le milizie, mentre le armi arrivano in Mali, nella Repubblica Centrafricana ed in Ciad. Ma l’errore è stato, mi ha detto Kerry, non tanto nel violare il mandato delle Nazioni Unite, bensì nel non schierare truppe di terra assieme agli attacchi aerei, per consolidare la situazione e fare fuori i terroristi. Gli ho ricordato in che modo le truppe sono state portate in Afganistan ed in Iraq per combattere i terroristi, come poi hanno dovuto ritirarsi, lasciando questi paesi allo sbando, per dirla con Zhvanevsky, come donne abbandonate nello sconforto. L’Afganistan e l’ Iraq sono stati abbandonati in situazioni ben peggiori: il primo sull’orlo della disintegrazione, il secondo squassato dalla guerra civile. Gli Americani concordano sul fatto che è stato un errore, ma preferiscono il chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. Vogliono che seguiamo la loro agenda ma anche noi abbiamo la nostra agenda in Siria. E’ chiaro che dobbiamo cercare di coordinare i nostri approcci mostrando qualche forma di rispetto per le lezioni che la storia ci ha impartito.
La repressione turca ha colpito pesantemente le città curde: nella foto Dyarbakir
La repressione turca ha colpito pesantemente le città curde: nella foto Dyarbakir
Domanda: I Curdi di Turchia hanno chiesto alla Russia di rendere pubblica la sua posizione sul genocidio di Curdi in corso. Per esempio, la città di Diyarbakir, assieme a molte altre, è stata completamente rasa al suolo. In Turchia si svolge una guerra civile, ma la Russia non intercede. I Curdi siriani si chiedono perché la Russia stia rifornendo di Armi Massoud Barzani [un capo Curdo dell’Iraq] ma non i Curdi siriani che stanno combattendo sul serio l’ISIS. Il Curdistan iracheno è un procuratore statunitense, e Massoud Barzani è un politico pro turco che ha permesso alle truppe turche di entrare nel Curdistan Iracheno.
Anche i guerriglieri del PKK, che stanno combattendo nelle Montagne di Qamdil, hanno a loro volta chiesto assistenza, almeno il tipo di assistenza diplomatica che l’ Unione Sovietica era solita fornire, se non possiamo aiutarli militarmente.
Sergey Lavrov: Stiamo fornendo questo tipo di assistenza. Probabilmente dovremmo parlare più spesso di questo problema, sebbene la portavoce del Ministero degli Esteri, Maria Zakharova, menzioni regolarmente la questione del genocidio dei Curdi in Turchia durante le sue conferenze stampa.
In linea di principio parliamo spesso della posizione della Turchia sui Curdi. Chiediamo solo una cosa: che la Turchia ritiri le truppe che ha mandato in Iraq con il pretesto di rinforzare la sovranità irachena, come ha detto l’ex Primo Ministro turco Ahmet Davutoglu Questo è inaccettabile. Credo che la condotta della Turchia meriti una più elevata attenzione da parte dei nostri interlocutori occidentali. Loro credono che gli “alleati” risolveranno i problemi da soli. Questa posizione non è condivisibile. Quando la Turchia ha violato lo spazio aereo greco, dopo che la Russia ha emesso diversi fermi comunicati, il Segretario Generale della NATO Stoltemberg ha detto che “entrambi sono alleati della NATO” e  possono risolvere i problemi fra loro. Primo: che ne dite di Cipro, che non è un membro della NATO, e che vede i propri cieli regolarmente violati dall’aviazione turca? Significa che se uno è membro della NATO può fare qualsiasi cosa? L’ Unione Europea ha lo stesso problema: gli stati dell’Unione Europea non sono responsabili davanti al Consiglio d’Europa. Dicono che considerano le violazioni dei diritti umani solo dei membri che non fanno parte dell’Unione Europea, visto che loro hanno un procedura speciale interna alla UE.
Continueremo ad insistere che la Turchia fermi le sue attività arbitrarie in Iraq, in primo luogo riguardo ai Curdi. A parte ovvie aspirazioni neo Ottomane, ci sono anche considerazioni economiche: la Turchia cerca di stabilire un punto di appoggio (nel Curdistan iracheno) e aspetta l’esito della battaglia di Mosul per stabilire un controllo sui suoi campi petroliferi. A quel punto la Turchia aspetterà la reazione della comunità internazionale. Nel frattempo l’Iraq sarà stato fatto a pezzi, ma quello che per loro conta è che la Turchia sia ben piantata nella zona. E’ ovvio. Per questo concordo pienamente con Lei e con i suoi interlocutori curdi.
Per quanto riguarda il Curdistan iracheno, mandiamo armi per combattere i terroristi sia all’Iraq che al Curdistan iracheno su accordo del governo iracheno e con il suo consenso. Questo è l’unico principio in base al quale operiamo.
I Curdi siriani ricevono supporto aereo ed altre forme di assistenza. Francamente siamo stati attivi nel convincere il governo siriano a cooperare con i Curdi invece di tentare di restringere il loro futuro ruolo nello stato siriano, e questo tentativo non si è risolto in un completo insuccesso.
Naturalmente nessuno ha esultato quando il Partito dell’Unione Democratica (PYD) ha proclamato lo stato di regione federale, ma si è trattato solo di una reazione alla posizione turca. Abbiamo concordato che i colloqui di Ginevra sulla Siria devono essere inclusivi in termini di partecipazione. Purtroppo il PYD, che rappresenta il 15% della popolazione siriana, è stato bandito dai colloqui perché un paese, la Turchia, ha posto il veto alla sua partecipazione. Quando abbiamo espresso il nostro sdegno per questo comportamento, dicendo che i Curdi avrebbero dovuto fruire della possibilità di partecipare ai negoziati, i nostri Americani ed altri interlocutori e l’ inviato speciale per la Siria del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura, ci hanno detto che se i Curdi fossero venuti a Ginevra, il Gruppo di Riyad (l’Alto Comitato per i Negoziati) avrebbe abbandonato il tavolo e interrotto la cooperazione. Ma quel gruppo non cooperava se non per mettere i bastoni fra le ruote nelle trattative in ogni occasione. E il Sig. Staffan de Mistura non ha protestato in alcun modo contro questo comportamento, sebbene noi gli avessimo suggerito di tenere la prossima tornata negoziale prima del Ramadan. Lui progetta di riprendere i colloqui entro due settimane, o addirittura dopo il Ramadan, a causa degli ultimatum avanzati da questo gruppo capriccioso. Loro pensavano che la presenza dei Curdi avrebbe avuto un effetto negativo, ma tanto l’effetto è stato lo stesso anche senza. L’ [opposizione] ha mostrato i suoi veri colori.
C’è poi stato un secondo caso di abbandono: Mohammed Alloush di Jaysh al-Islam si è ritirato dal colloqui di pace. Jaysh al-Islam è un gruppo terrorista ed estremista. Comunque sono stati fatti tentativi di giustificare le sue azioni, probabilmente perché si credeva che le operazioni di Jaysh al-Islam’s avrebbero indebolito le posizioni del Presidente Bashar Assad. La tattica di usare i terroristi per ottenere i propri scopi e regolare i conti con loro dopo che loro hanno fatto il lavoretto è una strategia a vicolo cieco. Anche parecchi membri dell’Alto Comitato per i Negoziati, che rappresentavano l’ opposizione moderata hanno abbandonato le trattative. Credo che tutti i negoziatori della opposizione radicale alla fine abbandoneranno i colloqui. Quindi abbiamo bisogno di agire velocemente, e i Curdi devono partecipare al processo di Ginevra. Discutere la costituzione o qualsiasi altra struttura che dovrebbe essere formata dal Governo siriano assieme all’opposizione senza i Curdi produrrà il fallimento dei negoziati.
Domanda: Lei è una delle tre figure politiche più rispettate in Russia: quali sono i suoi piani per il futuro?
Sergey Lavrov: Ad essere onesti, non ho mai fatto piani nella mia vita: le cose sono piuttosto venute secondo il loro naturale sviluppo. Mi è stato offerto di lavorare in vari posti, ma sempre nell’ambito del Ministero degli Esteri. All’inizio ebbi una proposta di lavorare in Sri Lanka, poi nel Dipartimento per le Organizzazioni Economiche Internazionali. Quando Andrej Kozyrev lasciò l’incarico di Ministro degli Esteri della Repubblica Federativa Socialista Sovietica Russa, l’ultimo vice ministro, Vladimir Petrovskij, mi offrì il posto di capo del Dipartimento delle Nazioni Unite nel 1990. Dopo il colpo di Stato [dell’agosto 1991] e prima degli accordi di Belavezha, Andrej Kozyrev mi invitò ad entrare nel Ministero degli Esteri della Repubblica Federativa Socialista Sovietica Russa, e diventare suo vice. Ormai tutto questo non è più un segreto, e non credo che lui me ne vorrà se ne parlo. Gli risposi che non credevo di essere pronto per una mossa simile e che, in ogni caso, non desideravo compierla. Mi chiese il motivo del mio rifiuto. Dissi che ero stato capo dipartimento per solo un anno, e mi ero portato dietro gente che conoscevo e su cui potevo contare. Mi propose di portarmeli tutti nel Ministero degli Esteri della Repubblica Federativa Socialista Sovietica Russa. Dissi che non se ne sarebbero andati dal loro posto. Mi chiese perché no, e risposi che avevano assunto un impegno di servizio per il loro paese. Allora, con toni decisamente alterati, disse che ci stavamo tutti nascondendo sotto le insegne dell’Unione Sovietica, che ce ne stavamo seduti in preda al panico senza sapere cosa sarebbe successo dopo, e nel frattempo lui aveva tutte quelle delegazioni straniere alla porta. Forse ricorderà che diverse delegazioni occidentali, in quel periodo, erano impegnate a bussare alle porte delle varie repubbliche sovietiche. Gli ho ricordato l’accordo fra Mikhail Gorbachev e Boris Yeltsin secondo cui il Ministero degli Esteri Sovietico avrebbe fornito assistenza a tutti i ministeri degli Esteri delle repubbliche sovietiche. Li abbiamo aiutati nel loro bisogno di interpreti e nelle necessità di trasporto. I ministri degli Esteri delle diverse repubbliche al tempo erano ancora ad organici ridotti e non riuscivano a far fronte a tutte le necessità, ma noi li aiutammo.
Lasciai l’ufficio. Andrej Kozyrev era dispiaciuto, infelice. Nonostante questo nessuno mi licenziò dopo questi eventi, e nell’aprile del 1992 Vitaly Churkin ed io fummo nominati vice ministri nel giro di una notte senza che nessuno ci chiedesse nulla.
L’unica volta che ho declinato una proposta fu quando Yevgeny Primakov suggerì che mi trasferissi a Washington. Avevo già passato 18 mesi a New York al tempo. Era un grande uomo, ma le circostanze erano tali per cui non avevo altra scelta se non rifiutare. Quando cercai di respingere la sua offerta, disse che io ero politicamente ignorante e non capivo la situazione. Chiesi perché fosse così insistente nella sua pretesa che assumessi quell’incarico. Disse che pensava fossi la persona migliore per quel posto. Gli chiesi cosa avesse di tanto speciale Washington perché io dovessi andarci. Disse che Washington era il posto più importante. Gli chiesi il permesso di citare il grande pensatore Yevgeny Primakov, che una volta disse che “assistiamo all’emergere di un mondo multipolare, che diventerà un contrappeso al mondo unipolare”. Dissi che questo mondo multipolare stava prendendo forma, ma non a Washington, dove se ti serve fare qualcosa devi prima prendere un appuntamento senza avere nessuna garanzia di riuscire ad ottenerlo, ma a New York, dove devi semplicemente entrare nel palazzo delle Nazioni Unite perché tutti ti vengano incontro, ti portino informazione, la gente che hai bisogno di incontrare e anche quella di cui non hai bisogno affatto. Nelle Nazioni Unite c’è spazio di manovra, perché ci sono 15 persone sedute al Consiglio di Sicurezza (cinque membri permanenti e dieci temporanei) e poi c’è l’ Assemblea Generale, dove puoi lanciare delle idee direttamente, senza dover prima ottenere l’autorizzazione di qualcuno. Yevgeny Primakov  era davvero un grande uomo e alla fine fu d’accordo con me e mi lasciò andare a New York.
Lavrov e Yevgeny Primakov
Lavrov e Yevgeny Primakov
Domanda: Come è possibile traferire il successo in politica estera in un riconoscimento domestico? Crede che si dovrebbe fare un monumento a Yevgeny Primakov? Magari non a Mosca, ma in un’altra regione… a Perm, magari?
Sergey Lavrov: Per come di solito funziona la sincronia fra politica interna ed estera, la priorità consiste nel garantire le migliori condizioni economiche possibili per lo sviluppo della Russia. Questa è la priorità della nostra Concezione di Politica Estera e manterremo lo stesso obiettivo in vigore nella nuova bozza della Concezione di Politica Estera che stiamo preparando su istruzione del Presidente Putin. Questo significa che dobbiamo assicurare un ambiente in cui la nostra impresa non incontri discriminazioni e i nostri cittadini possano viaggiare in giro per il mondo senza temere discriminazioni o illegalità. Purtroppo non riusciamo sempre a garantire tutto questo. Gli Americani, per esempio, “sequestrano” letteralmente la nostra gente in violazione delle leggi dei paesi sul cui territorio questi rapimenti vengono effettuati. Questo è stato il caso di Viktor Bout, Konstantin Yaroshenko, Roman Seleznev e di dozzine di altre persone “prelevate” dall’Europa e da altri paesi.
Ma sono sicuro che questo lavoro porti risultati e, per la verità iniziamo già a vederne i frutti. Se qualche criminale informatico viene arrestato, saremo gli ultimi a cercare di proteggerlo. Dopo tutto, questa gente ruba soldi in Russia e all’estero. Ma dovrebbe essere giudicata qui. Abbiamo la convenzione consolare Russia – USA ed altri accordi che stabiliscono la consegna reciproca dei sospetti nei casi criminali. Ma applicarla è diventato un gran problema, oggi come oggi. Siamo preoccupati, in generale, per la sicurezza dei nostri cittadini che viaggiano all’estero per turismo o semplicemente per affari. Questo è un aspetto importante del nostro lavoro.
Un altro aspetto del nostro lavoro è fare tutto il possibile per assicurare che i governi di paesi in cui abbiamo interessi trattino l’impresa russa con benevolenza e rispetto. Anche in questo abbiamo raccolto alcuni risultati concreti. Naturalmente ci deve essere reciprocità ed anche le imprese devono essere attive in questi sforzi. Ad esempio la Rosatom lavora molto attivamente in diverse parti del mondo ed ha un numero record di ordinazioni. Questo aiuta a creare una base di lungo termine stabile e solida per sviluppare relazioni strategiche con il paese in questione. Il settore dell’energia nucleare è a lungo termine e comprende grandi progetti che riguardano costruzione, istruzione, immagazzinamento e ritrattamento del materiale nucleare esausto.
Vediamo in questo lavoro una possibilità di far uso delle nostre capacità e delle nostre possibilità per sostenere anche le riforme interne, ma naturalmente non è davvero compito del Ministero degli Esteri realizzare riforme e sviluppo.
Per quanto riguarda Yevgeny Primakov, abbiamo già un progetto per ergergli un monumento. Abbiamo preso a carezzare questa idea subito dopo il triste evento della sua dipartita. In aggiunta alle decisione, già presa dal Presidente Vladimir Putin, di immortalare la memoria del sig. Primakov (c’è una medaglia Yevgeny Primakov ed una borsa di studio Yevgeny Primakov all’Istituto Statale di Mosca per le Relazioni Internazionali ed all’Università di Mosca, ed il suo nome è già stato imposto all’Istituto dell’Economia Mondiale e delle Relazioni Internazionali), pensiamo che sarebbe buona cosa fagli un monumento, e ho già in mente di presentare la proposta al Presidente.
Per quanto riguarda la località più adatta, il Sig. Primakov è stato Primo Ministro, direttore del Servizio di Intelligence Estero, Ministro degli Esteri ed Accademico. C’è la casa dove ha vissuto, ma ci piacerebbe piuttosto vedere un suo monumento nella Piazza Smolenskaja, nella piazza fra l’Hotel Belgrado e il complesso del Ministero degli Esteri. Si tratta di un posto dove ci sarebbe sempre gente ad ammirare il monumento e a serbare rispetto alla memoria del Sig. Primakov. Come ho detto, questa materia non è stata ancora esaminata. E’ la prima volta adesso che la proposta è stata espressa in pubblica. Forse sarebbe meglio predisporre prima una proposta ufficiale.
Domanda: Ha ambizioni presidenziali, o nuota assecondando la corrente?
Sergey Lavrov: Mi sento a mio agio in ogni posizione che mi viene assegnata. Potrà sembrare arrogante, ma cerco di rispondere onestamente.
Domanda: Le è stato dato il diritto di fumare ovunque volesse nelle Nazioni Unite. Può farlo anche al Ministero degli Esteri russo?
Sergey Lavrov: Non posso violare la legge russa, ma direi che quelle leggi sono in qualche modo eccessive rispetto ai provvedimenti presi sulla questione in Europa e in altri paesi comparabili. Ci sono molti modi con i quali una persona può indulgere in questa pericolosa abitudine senza creare problemi agli altri. Credo che questa realtà dovrebbe essere recepita nella nostra legislazione.
Domanda: Vuole fumare, ora?
Sergey Lavrov: No. Per la verità non fumo spesso.
Domanda: Oggi è la giornata mondiale senza tabacco, approvata dalle Nazioni Unite. Quando smetterà di fumare?
Sergey Lavrov: oggi non ho fumato. Fumo solo di rado. E faccio sport e gioco a calcio.
Domanda: Le piace andare in canoa? Riuscirà ad andarci quest’anno?
Sergey Lavrov: Lo spero tanto.
Domanda: Ci piacerebbe non vedere più diplomatici russi con doppio o triplo mento e vestiti in abiti moderni. Dopo tutto rappresentano un grande paese. Può ordinargli di fare sport?
Sergey Lavrov: Non amo costringere la gente a fare qualcosa. Ma so che c’è un’ ottima palestra in questo edificio, dove i nostri impiegati giocano a tennis, a pallavolo, a basket e calcetto. Abbiamo anche una piscina. A proposito, è un progetto che era stato sospeso. La costruzione incominciò nel 1986, ed è stata completata solo un paio di anni fa. Ma ora abbiamo tutto quello che serve per spazzare via i “doppi e tripli menti”.
Domanda: Nuota?
Sergey Lavrov: No, preferisco gli sport di squadra. Gioco a calcio e vado in canoa, che è uno sport molto impegnativo. Faccio anche palestra. In breve, cerco di cimentarmi in sport differenti.
Domanda: La portavoce del Ministero degli Esteri,  Maria Zakharova, si è esibita nel ballo popolare Kalinka. Ha visto la sua prova? Nel caso: le è piaciuta?
Sergey Lavrov: Sì e sì.
Question: Balla?
Sergey Lavrov: No, non sono un ballerino.
Domanda: La diplomazia va bene, ma siamo tutti fatti di carne e sangue. Ha mai desiderato tirare un cazzotto a qualcuno durante gli incontri con i suoi colleghi occidentali?
Sergey Lavrov: Più o mano la stessa cosa me l’ha chiesta Ivan Urgant quando sono andato alla sua trasmissione tre anni fa, quando stavo per decollare. Mi ha chiesto se avessi mai insultato qualche collega. Vi invito a cercare quella risposta.
Domanda: Qual è il modo migliore per insegnare ad un bambino ad essere una persona responsabile? L’hanno sculacciata o hanno provato di spiegarle le cose?
Sergey Lavrov: Non mi hanno mai sculacciato. Per quanto riguarda le spiegazioni, alcune parole sono bastoni, alcune carote. E’ inevitabile.
Domanda: Molta gente ha indossato magliette con il suo ritratto e la scritta “amiamo Lavrov”. Che ne pensa di questa “moda politica”?
Sergey Lavrov: Siamo tutti esseri umani e, naturalmente, tutto ciò è lusinghiero. Uno dei miei vecchi compagni di scuola mi ha chiesto anche perché non registro il marchio e non riscuoto i ricavi.
Question: Chi l’ha fatta arrabbiare alla famosa conferenza stampa?
Sergey Lavrov: Non ero arrabbiato. Ho visto il video, in seguito. Ero seduto impassibile.
Question: Ma si è lasciato sfuggire quella parola, vero?
Sergey Lavrov: Chiedo scusa, ma non sono l’unico sorpreso in una circostanza in cui pensava che il microfono fosse spento ed invece era acceso. Anche il Primo Ministro David Cameron e il Presidente USA Barack Obama hanno fatto le loro belle scivolate sul microfono. Una di queste scivolate, per Obama, aveva ad oggetto la difesa anti missili balistici.
Domanda: Ha delle preferenze sul cibo a proposito della cucina nazionale? E’ una buona forchetta?
Sergey Lavrov: No, mangio praticamente di tutto. Se visito paesi con una cucina nazionale particolare, come per esempio Cina, Giappone, Italia e Ungheria, mi piace assaggiare le specialità locali. Sono onnivoro.
Domanda: Se potesse scrivere una lettera a lei stesso bambino, cosa scriverebbe?
Sergey Lavrov: “Caro Sergej, ti aspetta una vita interessante.”
Domanda: E’ stato Ministro degli Esteri della Federazione Russa per un lungo periodo di tempo. Le piacerebbe essere Ministro degli Esteri di un altro paese per un giorno?
Sergey Lavrov: Questo sarebbe interessante. Ci sono diversi paesi che ci hanno dato parecchio fastidio. Mi piacerebbe arrivare per un giorno da quelle parti per mettere fine alle offese.
Domanda: L’idea merita un film di Hollywood.
Sergey Lavrov: Perché di Hollywood? Anche noi abbiamo imparato a fare buoni film.
Domanda: E’ un cinefilo?
Sergey Lavrov: Non esattamente. Ma guardo film spesso.
Domanda: Qual è l’ultimo film che ha visto, e cosa l’ ha impressionata in particolare?
Sergey Lavrov: Mmmm… Sa che non mi viene in mente niente? Mi piacerebbe vedere “Equipaggio” ma credo che non sia ancora uscito in DVD.
Domanda: Possiamo incontrare Sergey Lavrov al cinema?
Sergey Lavrov: Una volta ci andavo, di tanto in tanto. L’ultima volta sono andato al cinema Khudozhestvenny, ma era molto tempo fa.
Domanda: Signor Lavrov, è di dominio pubblico che Lei scrive versi e che è l’autore dell’inno della MGIMO [Università Statale di Mosca per le Relazioni Internazionali, NdR]. Scrive ancora poesie? Sta preparando un libro di poesie per la pubblicazione?
Sergey Lavrov: No, lo facevo una volta. Ma non ho scritto una poesia che abbia senso dalla mia nomina a Ministro degli Esteri. Ho scritto versi per ricevimenti informali e compleanni di amici. Ma dalla mia nomina ho davvero poco tempo libero. D’altra parte anche il periodo di New York non è stato esattamente una passeggiata sulla spiaggia.
Domanda: Alcuni si chiedono se lei dorma.
Sergey Lavrov: Dormo di notte.
Domanda: E quando il suo aereo atterra, è già mattina.
Sergey Lavrov: Cerco di vivere secondo l’orario locale del paese in cui mi trovo.
Domanda: Non deve essere facile adeguare l’orologio biologico.
Sergey Lavrov: Me la cavo. Non so come, ma ciascuno di noi ha il suo metabolismo.
Domanda: Bene. Ancora sui suoi passatempi. Abbiamo una chiamata.
L' I phone con la cover dello Spartak Mosca
L’ Iphone con la cover dello Spartak Mosca
A beneficio dei nostri ascoltatori posso riferire che il Signor Lavrov è seduto davanti allo sfondo con il logo della Komsolmolskaja Pravda. Capisco perché è rosso e bianco. Probabilmente è un omaggio alle sue preferenze calcistiche. E ora la chiamata dal nostro ascoltatore: “Buongiorno, Sig. Lavrov. Non è un segreto che Lei sia un tifoso dello Spartak Mosca. Oggi ci sarà un consiglio dei dirigenti alla nostra squadra del cuore. Verrà fatta chiarezza su chi sarà il prossimo allenatore e quale sarà la strategia di sviluppo del club nel futuro. Lei cosa ne pensa? Forse sarebbe necessario fare arrivare qualche messaggio alla dirigenza, o magari partecipare direttamente alla riunione?
Sergey Lavrov: Onestamente non ero a conoscenza di questo incontro. Dopo la recente staffetta in panchina, seguo le vicende da un punto di osservazione un po’ defilato. Non saprei proprio cosa dire. Non mi hanno invitato alla riunione, ma conosco molti di quelli che vi parteciperanno. Ci incontriamo con regolarità, anche allo stadio, quando lo Spartak gioca a Mosca. Ma non posso fare predizioni o pronostici sulle scelte. Credo che l’allenatore dello Spartak dovrebbe essere qualcuno vicino alla società, un simbolo dello Spartak, almeno un simbolo per quelli della mia generazione. Non sono tanti ad avere queste caratteristiche: uno è Dmitry Alenichev.
Domanda: Ma secondo lei, come tifoso, sì o no?
Sergey Lavrov: Ho appena riposto, no?
Domanda: A proposito, sig. Lavrov, c’era una domanda che volevo farle. C’è una famosa foto di Lei che parla con un cellulare con il logo dello Spartk sul retro…
Sergey Lavrov: Quell’I-Phone mi è stato regalato da mia figlia. C’è una ditta a Mosca che mette i logo sulle cover dei telefoni.
Domanda: Lo usa ancora quel telefono?
Sergey Lavrov: Si lo uso.
Domanda: Sig. Lavrov, la ricerca di una identità russa è una questione pressante oggi come oggi. Cosa la fa sentire russo: la lingua, la cultura, l’educazione o qualcos’altro?
Sergey Lavrov: Tutto questo. Credo che davvero non si scappi dalla lingua che si parla. Lo stesso vale per la cultura e l’educazione, visto che l’educazione è lo strumento per l’immersione nella lingua e nella cultura: che è il tipo di immersione che ti fa sentire come un pesce nell’acqua.
Certo è necessario guardare, vedere e sentire il tuo paese nella carne, per così dire. Mi è sempre piaciuto molto fare escursioni. Quando ero a scuola, dopo le scuole medie, facevamo regolarmente escursioni prima con gli insegnanti e poi da soli. Durante l’università c’erano squadre di tecnica di campeggio per studenti: in Khakasia, a Tuva, a Vladivostok, in Yakuzia. Durante le vacanze invernali andavamo a sciare nel nord: in Carelia, nella regione di Arcangelo. Ho un ricordo fantastico di quel periodo. In Carelia c’erano villaggi abbandonati, case abbandonate, perché le società di registrazione chiudevano e la gente se ne andava altrove. Noi recuperammo un cane, assemblammo una scatola, la issammo su una slitta, e il cane ci portava tutta la roba pesante. Mano a mano che racconto queste cose mi vengono in mente dettagli. E’ prezioso. E’ molto importante vedere e conoscere il proprio paese.
E’ una cosa molto positivo che la Società Geografica Russa abbia inserito questo tipo di attività fra le proprie priorità, e che sia addirittura stato creato un canale TV. Il Presidente Putin sostiene questi sforzi e offre anche una testimonianza personale. Essendo membro della Società Geografica  Russa, cerco di offrire il miglior contributo possibile al loro lavoro.
Domanda: Quanto è importante lo sviluppo di legami fra città gemellate al giorno d’oggi? Questo tipo di rapporti esiste ancora?
Sergey Lavrov:  E’ molto importante. Tanto che ci sono alcuni casi estremi, tipo Kiev e certe città europee, principalmente dei paesi appena entrati nella NATO e nella UE, che hanno interrotto il programma. Sento che ci sono un paio di città che, come forma di protesta, hanno cessato o congelato i loro legami con le città gemellate in Russia. Comunque noi da parte nostra sosteniamo questi programmi attivamente. Non ci occupiamo direttamente delle relazioni territoriali. I contatti sono diretti. Il che è consentito da tutte le nostre leggi. Lo fanno sulla base di documenti attraverso i quali coordinano direttamente i loro scambi economici. Per la maggio parte le città gemelle non si impegnano in rapporti economici (demandati per lo più a rapporti interregionali) ma mantengono scambi culturali umanitari ed educativi. Credo questa sia una forma meravigliosa di cooperazione. In qualche caso aiutano a superare problemi che ostacolano le comunicazioni, o che si presentano in occasione di crisi e conflitti. Per esempio, esiste una organizzazione della Cooperazione Economica nel Mar Nero. E’ un consorzio di città affacciate sul Mar Nero. I documenti statutari dell’organizzazione non escludono la partecipazione, poniamo, di Sukumi. Generalmente a livello profondo, non ufficiale, a livello di queste città e di questi centri, un sacco di cose possono essere gestite molto meglio che a livello di rappresentanze ufficiali degli stati membri dell’ organizzazione. Qualche volta nuovi approcci possono essere individuati nel quadro di città sorelle che gettano le basi per la soluzione di seri problemi politici.
Domanda: Grazie per il suo commento. C’è un’altra domandina da un lettore della Komsomolskaja Pravda. Non possiamo non leggere la sua domanda: “Mi chiamo Alexander Anuchin. Ho 16 anni. L’anno prossimo mi diplomerò alla scuola n. 1414, la vecchia scuola n. 607, che ha frequentato anche lei. Potrebbe visitare la nostra scuola il 1 settembre, in occasione del suo ottantesimo anniversario?”
Sergey Lavrov: Prima di tutto, mi fa molto piacere che questa domanda sia stata mandata in onda. Davvero, è una bella scuola. Provo a sostenerla, anche se forse non sempre come dovrei. In ogni caso ci incontriamo sempre fra compagni di classe. L’anno prossimo festeggeremo i 50 anni dalla fine della scuola. La scuola ha fissato un giorno speciale a febbraio per la riunione degli ex alunni: ci incontriamo in quel giorno. Per quanto riguarda il 1 settembre non posso prendere impegni perché ho già promesso di tenere una presentazione annuale alla MGIMO. Ma di sicuro la visiterò per la festa di febbraio.
Domanda: Signor Lavrov, ci siamo messi d’accordo con i nostri lettori che la persona che avesse fatto la domanda più interessante avrebbe ricevuto un regalo dal Ministro degli Esteri: quale è stata la domanda più interessante, per lei?
Sergey Lavrov: Mi è piaciuta la domanda su quale Ministero degli Esteri vorrei occupare per un giorno. E’ stata la più stimolante.
Domanda: L’autore riceverà uno speciale ombrello diplomatico ed una foto con l’autografo del ministro. Signor Lavrov, da parte nostra, a nome del gruppo editoriale della Komsomolskaja Pravda, vorremmo regalarle un set di 25 CD con i migliori cantanti e cantautori sovietici e russi. Sappiamo tutti che le piacciono le canzoni accompagnate da una chitarra attorno ad un falò.
Sergey Lavrov: Vorrei inviare i miei migliori auguri a tutti i lettori e gli ascoltatori della Komsomolsakja Pravda.
***
Intervista pubblicata sul Sito del Ministero degli Esteri russo il 31 maggio 2016
Traduzione dalla versione in inglese di Marco Bordoni per Saker Italia del 24 giugno 2016

Nessun commento:

Posta un commento