Benny Gantz si è recato a Londra per incontrare il consigliere per la Sicurezza, Tim Barrow. Con sua grande
sorpresa, il primo ministro, Rishi Sunak, ha voluto fagli sapere di persona che non c’è alcuna possibilità che
Israele diventi uno Stato come gli altri. Il progetto coloniale britannico continua dunque a ostacolare la pace.
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In seguito all’intervento di Washington, Israele ha smesso di massacrare gli abitanti di Gaza e di fare pulizia etnica in Palestina per espandervi i propri insediamenti. Israele ha anche accettato il transito di aiuti umanitari per i civili intrappolati.
Tuttavia nulla è risolto, sia dal punto di vista dei sionisti revisionisti di Benjamin Netanyahu sia di quello di Hamas di Isamil Haniyeh. Questi due schieramenti, che affermano di difendere rispettivamente gli ebrei e gli arabi, stanno in realtà portando avanti il progetto coloniale britannico, formulato nel 1915 da lord Spencer, di una regione incapace di difendersi.
L’unica soluzione, enunciata già nel 1948 dalla risoluzione 181 delle Nazioni unite – tuttavia sempre rifiutata – è quella di un unico Stato bi-nazionale.
Gli Stati uniti, che avevano pianificato di provocare elezioni anticipate in Israele e di esercitare la loro influenza per portare al potere il generale Benny Gantz, sono rimasti delusi [1].
Invitato a Washington, Gantz si è dimostrato meno malleabile del previsto: si è certamente distinto dai “sionisti revisionisti” di Benjamin Netanyahu, riconoscendo il diritto degli arabi di vivere sulla loro terra, ma si è dimostrato determinato a sradicare Hamas da Gaza. Ma l’Hamas storico altro non è che la branca palestinese della Confraternita dei Fratelli mussulmani: uno strumento di dominio del Regno Unito.
Ricordiamoci che Hamas si è ufficialmente staccato dalla Confraternita nel 2017, ma i suoi principali leader ne sono ancora membri e stanno attuando la sua strategia a lungo termine. Durante la guerra contro la Siria, Hamas ha combattuto a fianco della Nato e di Israele contro la Repubblica Araba Siriana.
La corrente di Hamas che ha rotto con la Confraternita si è rappacificata con la Siria. Il 19 ottobre 2022 il presidente Bashar al-Assad ricevette a Damasco il suo leader, Khalil Hayya; tuttavia continua a rifiutarsi di incontrare la corrente dei Fratelli mussulmani guidata da Khaled Meshaal.
Dall’inizio dell’operazione Spade di ferro, Israele dà la caccia e uccide i membri di Hamas che si sono uniti alla Resistenza palestinese, ma risparmia quelli rimasti membri della Confraternita. Per esempio, lo stato-maggiore israeliano ha assassinato a Beirut il numero due dell’ala politica di Hamas, Saleh al-Arouri [2], che era stato espulso dal Qatar per la sua opposizione alla Confraternita dei Fratelli mussulmani.
Sulla via del ritorno in Israele, il generale Gantz ha fatto tappa a Londra. Sappiamo che è stata una sua iniziativa e che il primo ministro Netanyahu ha fatto il possibile per assicurarsi che non beneficiasse dell’immunità diplomatica nel Regno Unito, così correndo il rischio di essere arrestato per complicità in crimini contro l’umanità [3]. Comunque sia, a Londra Gantz ha ribadito quanto già detto a Washington: si è dimostrato ansioso di fermare il massacro di Gaza ma al tempo stesso di continuare l’operazione contro Hamas. Ha confermato ai suoi sconcertati interlocutori di temere quanto loro le minacce pronunciate dal rabbino Uzi Sharbaf alla Conferenza per la Vittoria di Israele [4], ma di voler comunque combattere la Confraternita dei Fratelli mussulmani.
Checché ne dicano i britannici, sono ancora loro a controllare la Confraternita. Ne abbiamo avuto la prova durante le guerre contro la Libia e la Siria: si occuparono delle comunicazioni di questa organizzazione segreta e dell’insieme delle milizie che ne sono emanazione. In taluni casi fornirono armi e intelligence.
Così gli anglosassoni sono tornati al punto di partenza: nel 1915, nel memorandum di Lord Herbert Samuel, Il futuro della Palestina (anteriore alla Dichiarazione di Lord Balfour), intendevano sostenere in Palestina uno Stato ebraico indipendente, ma non abbastanza forte da difendersi.
Successivamente, i seguaci di Volodymyr Jabotinsky, storico alleato di Mussolini, quindi “fascista” nel senso pieno del termine, ruppero con Londra e tentarono di portare avanti il loro progetto coloniale, come fece la Rhodesia poco più tardi. Gli inglesi furono costretti, insieme agli statunitensi, a riciclare i propri nemici durante la guerra fredda. A 75 anni di distanza la situazione è identica: Israele non è abbastanza forte per difendersi da solo, ma gli anglosassoni si rifiutano di sancire alla luce del sole il massacro degli arabi di Palestina. Se armano Israele si coprono pubblicamente di sangue, se non lo fanno perdono l’ultimo residuo dell’Impero britannico [5].
Contrariamente a quanto si crede, la Confraternita dei Fratelli mussulmani non ha mai cercato di stabilire uno Stato palestinese indipendente da uno Stato ebraico (proposta della Commissione coloniale di Lord William Peel, comunemente denominata “soluzione a due Stati”), né uno Stato palestinese federato con uno Stato ebraico, all’interno di uno Stato bi-nazionale (come deciso dalle Nazioni unite). La differenza tra questi due progetti è che il primo garantisce l’uguaglianza degli arabi tra di loro e degli ebrei tra di loro, mentre il secondo garantisce l’uguaglianza di ogni uomo, arabo o ebreo, con ogni altro.
Nella lettera al primo ministro egiziano (filo-britannico) Mustafa el-Nahhas Pasha, Hassan al-Banna, fondatore della Confraternita, gli chiese di preparare «la restaurazione del Califfato, in applicazione dell’unità pretesa dall’islam». Anche l’Hamas del primo periodo proclamò nello statuto di voler edificare uno Stato per i mussulmani (il Califfato). Tuttavia, nel 2017, quando parte della sua base si staccò dalla Confraternita, da poco sconfitta in Siria, Hamas adottò uno statuto in cui auspica uno Stato palestinese indipendente (nel senso della Commissione Peel e della “soluzione a due Stati”). Ma l’ultimo manifesto di Hamas, Our narrative… Operation Al-Aqsa Flood , in [6] cui sono riportate le otto rivendicazioni dell’Hamas storico, segna un ritorno al passato: afferma di respingere l’occupazione israeliana e, soprattutto, non si pronuncia a favore di uno Stato palestinese: l’obiettivo della Confraternita è infatti ripristinare il Califfato, ossia uno Stato sovranazionale per tutti i popoli mussulmani.
Israele si trova a sua volta in un vicolo cieco. Non sa cosa fare. Il gabinetto di guerra (cioè sia i suprematisti di Benjamin Netanyahu sia i democratici di Benny Gantz) vuole distruggere Hamas, anche a Rafah. Tuttavia gli esperti, compresi ex capi dello Shin Bet e del Mossad, sono concordi nel ritenere che il problema non sia una particolare organizzazione, ma la situazione politica che alimenta la Resistenza: la distruzione totale di Hamas favorirebbe la creazione di una nuova rete di Resistenza e non sarebbe una garanzia contro un nuovo 7 Ottobre.
Per inciso, i “sionisti revisionisti” non hanno rinunciato al loro piano di espulsione degli arabi di Palestina («una terra senza popolo per un popolo senza terra»). Dal loro punto di vista, l’installazione, entro due mesi, da parte del Pentagono di un molo galleggiante al largo di Gaza potrebbe rilanciare il loro progetto. L’approdo per gli aiuti umanitari potrebbe trasformarsi, quasi istantaneamente, in approdo in senso inverso, verso l’esilio, come ha denunciato il Fronte popolare di liberazione della Palestina (FLPL). Ricordiamoci che, all’inizio della crisi, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in visita al Cairo aveva annunciato che la Ue era pronta ad accogliere un milione di abitanti di Gaza. Il governo di Netanyahu aveva preso contatti con alcuni Stati africani. La stampa aveva citato il Ciad, il Rwanda e il Congo, che però avevano smentito [7].
Se ci fosse questa svolta, il valico egiziano-palestinese di Rafah perderebbe la sua utilità. Israele ne approfitterebbe per escludere l’Egitto da ogni decisione politica. Il Cairo si è a lungo rifiutato di consentire l’uscita degli abitanti di Gaza verso l’esilio, e solo il mese scorso ha allestito un campo in grado di ospitarne un milione [8].
In pratica, l’intervento degli Stati uniti ha costretto Israele a fermare la pulizia etnica di Gaza e a consentire il passaggio degli aiuti umanitari. È un enorme progresso. Ma Washington non ha aperto la via alla pace, che richiederebbe non solo l’estromissione dei fascisti ebrei ma anche la fine del progetto coloniale britannico in Palestina.
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