domenica 30 settembre 2018

Francesco Bonazzi per la Verità - Sarà anche il senatore semplice ma Matteo Renzi maneggia ancora una fitta rete di potere del Partito democratico.

(dagospia.com) – 
Francesco Bonazzi per la Verità – Certo, sarà anche il semplice «senatore di Firenze», come si è presentato su Linkedin con insospettabile understatement, però Matteo Renzi maneggia ancora una fitta rete di potere.
Il segretario ombra del Pd, forte di un controllo largamente maggioritario delle truppe parlamentari, ha piazzato un fedelissimo come David Ermini vicepresidente del Csm, ma nel suo arco ha molte frecce ancora ben appuntite, tra istituzioni e aziende pubbliche. Un Renzi-power incredibilmente sopravvissuto alla doppia catastrofe personale del referendum costituzionale e delle elezioni politiche.
Ermini è il caso di questi giorni, il colpo gobbo che non t’ aspetti se non conosci uno come Renzi, che è di quelli che arretra (poco) solo per avanzare, come insegna anche la storia delle prime elezioni primarie perse nel dicembre del 2012. Certo, Ermini è di Figline Valdarno, una dozzina di chilometri da Rignano, è un vecchio amico di Babbo Tiziano, un avanzo di scudo crociato che sa come si naviga nella politica e da avvocato ha difeso i renziani nello scandalo Consip....
Vederlo a Palazzo dei Marescialli in quota Renzi non sorprende, ma comunque fa un certo effetto. Dovrà mettere in riga le toghe, che hanno così «maltrattato» la famiglia Renzi? Non è questo il solo aspetto che lascia perplessi dell’ ascesa di Ermini. Il vicepresidente del Csm è anche altro. Avendo come «superiore» diretto il capo dello Stato, storicamente ne diventa uno dei principali e più ascoltati consiglieri, nonché ambasciatore del Colle presso governo e partiti. Tutto informale, tutta «moral suasion», per carità, ma da sempre funziona così.
Ecco allora che Ermini diventerà un asset importante per il suo «inventore» di Firenze, capace di aprire un altro canale con il Quirinale e di garantirgli informazioni di prima mano. Poi, certo, ci sono anche informazioni di altro genere, non meno riservate. Anzi. Sono quelle che arrivano dai servizi segreti della Repubblica e che hanno un filtro, prima di arrivare alla politica dal governo, nel comitato di controllo parlamentare.
Ed ecco che alla presidenza del Copasir troviamo un altro pasdaran del Bulletto di Rignano come Lorenzo Guerini, il cinquantaduenne ex sindaco di Lodi che Renzi ha trasformato in un capo piddino di prima fascia, facendolo in rapida successione portavoce, vicesegretario e coordinatore.
Giglio magico che più magico non si può. Il Copasir è stato nel tempo guidato da personaggi come Francesco Rutelli, Beppe Pisanu e Franco Frattini e ha il dono di rendere coloro che lo hanno gestito più intoccabili di una reliquia.
E se c’ è tanta saggezza democristiana nel presidiare cadreghe del genere anche solo per pararsi le spalle quando ci si ritira, ecco che Renzi ha raccolto la lezione scudocrociata del babbo Tiziano anche per quanto riguarda il potere economico. Un esempio? Al vertice dell’ Acri, l’ associazione delle casse di risparmio guidata dall’ ottuagenario Giuseppe Guzzetti (ex avvocato della Dc comasca) che tra le mille cose è anche socio di minoranza della Cassa depositi e prestiti, lo statista di Rignano può contare su Umberto Tombari.
Eletto vicepresidente ad aprile, Tombari è dal 2014 presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, è professore di diritto commerciale all’ ateneo fiorentino e nel suo studio si sono formati Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd, e Maria Elena Boschi, entrambi poi regalati alla nazione.
La Cassa di Firenze ha in pancia una partecipazione d’ oro, ovvero un pacchetto del 3,2% di Intesa Sanpaolo. E già che siamo in zona banche, come non dimenticare Marco Morelli, amministratore delegato di quel Monte dei Paschi di Siena che, si tende sempre a dimenticare è ormai di tutti noi, visto che per salvarlo l’ ex ministro Pier Carlo Padoan (poi candidato con scarso stile proprio a Siena) ne ha rilevato con soldi pubblici il 68%. Per mettere Morelli come capo azienda, consigliato dagli amici di Jp Morgan, Renzi junior due anni fa fece fuori senza tanti complimenti un altro banchiere rosso come Fabrizio Viola.
E a proposito di società quotate a Piazza Affari, ma a saldo controllo di Stato, se il blitz di Luigi Di Maio e Matteo Salvini ha scardinato il cuore del potere renziano su treni e trenini sostituendo l’ ad Renato Mazzoncini con Gianfranco Battisti e il presidente Gioia Ghezzi con Gianluigi Castelli, nelle altre big di Stato ancora ci sono vari fedelisssimi dell’ ex premier.
In Enel, ad esempio, alla presidenza c’ è la manager Patrizia Grieco e in consiglio di amministrazione siede un altro avvocato del Giglio magico come Alberto Bianchi, nel cui studio legale di Firenze nacquero le fondazioni Big Bang e Open, ovvero le casseforti del renzismo duro e (diversamente) puro.
«Dietro all’ attacco giudiziario sul caso Consip c’ è un disegno che punta a eliminare Renzi», ebbe a lamentarsi Bianchi nel marzo 2017 parlando con Il Foglio. Foderato in varie poltrone di pregio, l’ avvocato fiorentino non percepì che là sotto, in strada, chi puntava a eliminare l’ amico Renzi era, più semplicemente, l’ elettorato.
Ma il «senatore di Firenze» ha almeno altre due simpatizzanti anche nel consiglio dell’ Eni: si tratta della presidente Emma Marcegaglia e del consigliere indipendente Diva Moriani, in quota Enzo Manes, il finanziere messo da Renzi alla guida del non profit.
In Leonardo-Finmeccanica, invece, ci s’ imbatte in Fabrizio Landi, consigliere e renziano della prima ora. Mentre all’ Enav, quotata in Borsa nel 2016 e incaricata di controllare il traffico aereo civile, Renzi ha messo personalmente come amministratore delegato Roberto Scaramella. Il giorno che dovesse abbandonare il Paese, saprà trovargli lo slot giusto.---

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