By Umberto De Giovannangeli - Huffpost
L'uomo forte della Cirenaica ha rafforzato il patto con quelli di Misurata. Khalifa Haftar ha "blindato" con i suoi fedelissimi il parlamento di Tobruk. L'ex ufficiale di Gheddafi ha portato nel suo campo alcune delle più potenti tribù della Tripolitania, stabilendo una nuova ripartizione dei proventi petroliferi. E su queste basi ha aperto un canale diplomatico "sotterraneo" con l'Italia. Il messaggio è chiaro. La proposta, riferiscono a HuffPost fonti di Bengasi vicine ad Haftar, è così sintetizzabile: trattare una onorevole uscita di scena dell'attuale primo ministro del governo di Accordo nazionale, Fayaz al- Sarraj (per lui potrebbe esserci un posto da ambasciatore in una sede prestigiosa) per essere, l'Italia, parte attiva e riconosciuta nella "nuova Libia" post voto. Altrimenti, aggiungono le fonti, per il premier sotto assedio, si prospetta un esilio forzato.
I contatti sono già stati avviati e, in questo contesto, rientra anche la possibilità di un cambio di ambasciatore a Tripoli, visto che l'attuale, Giuseppe Perrone, ufficialmente in "ferie", è stato considerato da Haftar e dal parlamento di Tobruk "persona non gradita" per aver sostenuto pubblicamente quella che, al momento, resta la posizione ufficiale di Roma: l'impossibilità di tenere le elezioni, presidenziali e legislative, il 10 dicembre 2018, come vorrebbe Haftar, sostenuto da Francia ed Egitto. Durante una riunione tenutasi giovedì 6 settembre, con una trentina di leader tribali, trasmessa in diretta dall'emittente televisiva libica Al Hadath, il maresciallo Haftar, comandante dell'Esercito Nazionale Libico sostenuto dal parlamento di Tobruk, la cui legittimità non è riconosciuta dalla comunità internazionale, si è detto pronto a marciare su Tripoli...
Si è trattato delle prime dichiarazioni del militare, che controlla la gran parte della Cirenaica, dall'inizio degli scontri tra milizie rivali nella capitale libica. In diverse occasioni, il maresciallo libico ha assicurato che l'Esercito Nazionale Libico è pronto a marciare su Tripoli e che la cattura della capitale sarà "rapida". A tale scopo, Haftar ha rivelato di essere in contatto diretto con alcune milizie presenti nelle città di Misurata e Zentan. Durante la diretta, il generale ha annunciato che alcune milizie presenti a Tripoli sarebbero pronte a prendere d'assalto la città. "Gli scontri degli ultimi giorni stanno cambiando la geografia della presenza delle milizie nella capitale", ha detto il militare. "Non lasceremo cadere Tripoli, lì il popolo libico dovrà vivere in sicurezza".
Per quanto riguarda la Costituzione, Haftar ha detto che il progetto deve essere posticipato fino a dopo le elezioni e non prima. "Altrimenti, il popolo libico rifiuterà la nuova Costituzione". Il "Generale" ha riaffermato il proprio sostegno alle elezioni e al riconoscimento dei loro risultati "nella misura in cui siano trasparenti". "A Parigi c'è stato un accordo politico con le parti rivali in Libia, ma tutti gli accordi politici sono vani" (o "non sono utili"), ha sentenziato sempre secondo quanto riporta il sito Alwasat. "Noi rispettiamo l'accordo di Parigi", ha comunque aggiunto. Il riferimento, implicito, all'intesa raggiunta (ma non sottoscritta) nella capitale francese nel maggio scorso indicando la data del 10 dicembre per svolgere elezioni. Quanto alla situazione sul campo, secondo i dati diffusi dall'ospedale di Tripoli, nel corso dei combattimenti che hanno sconvolto la città nei giorni scorsi hanno perso la vita 78 persone e altre 313 sono rimaste ferite.
Ecco perché chi ha la possibilità, cerca di lasciare Tripoli e il Paese con la famiglia. Come riporta il Corriere della Sera, in un video-reportage di Lorenzo Cremonesi, i negozi sono chiusi, la popolazione cerca di rifornirsi di cibo e acqua e si mette in coda per fare il pieno alle auto in quei pochi benzinai ancora aperti in città. Le persone scappano dai centri coinvolti negli scontri militari: "Vogliamo andare in Italia, anche se sappiamo che i porti sono chiusi – affermano -. Meglio partire che restare qui". I tempi di Haftar sono politicamente calibrati: o c'è l'accordo, anche con l'Italia, altrimenti il golpe scatterà prima di novembre, prima, cioè, della Conferenza sulla Libia che Roma vorrebbe organizzare, col sostegno Usa, per l'appunto a novembre. Accordo o golpe: scegliere. E presto. Anche perché in ballo non ci sono "solo" gli affari (una torta, tra petrolio e ricostruzione, calcolata in oltre 130 miliardi di euro), ma anche sicurezza e migranti. E una tragedia umanitaria che è sempre più apocalittica. Sono "atrocità indicibili" quelle a cui vengono sottoposti migranti e rifugiati che vivono a Tripoli. Lo denuncia l'Unhcr, l'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. I pesanti scontri nella capitale della Libia hanno portato a un "drastico deterioramento" della situazione sia dei migranti che vivono nelle aree urbane, sia dei richiedenti asilo in stato di detenzione.
L'Unhcr riferisce di stupri, rapimenti e torture, perpetrate anche a danno di bambini. Una donna ha raccontato che criminali sconosciuti hanno rapito suo marito, l'hanno violentata e hanno torturato suo figlio di un anno. Il bambino - stando al racconto della donna - sarebbe stato denudato e molestato sessualmente dai criminali. Molti rifugiati erano detenuti in aree vicine agli scontri e a rischio di essere colpiti dai razzi. "Migliaia sono fuggiti dai centri di detenzione, in un disperato tentativo di salvare le loro vite", riferisce l'agenzia, che da sempre "si oppone alla detenzione di rifugiati e richiedenti asilo" ma è presente ovunque si trovino per fornire loro assistenza L'Unhcr chiede con fermezza che vengano messe in atto alternative alla detenzione, compreso l'uso immediato della struttura di raccolta e partenza a Tripoli, che fungerà da piattaforma per raggiungere la sicurezza in paesi terzi e che sarà gestita dal Ministero degli interni libico e dall'Agenzia Onu. La struttura, già pronta per l'uso, può ospitare 1.000 rifugiati, vulnerabili e richiedenti. L'Unhcr chiede inoltre "una forte azione istituzionale per colpire i trafficanti responsabili". Quella delle torture ai danni di donne e bambini non è l'unica denuncia che ha fatto l'Alto Commissario Onu per i rifugiati. (Unhcr). Ha fatto sapere anche di avere "affidabili informazioni" sul fatto che scafisti e trafficanti di esseri umani si spaccino per agenti delle Nazioni Unite in Libia. In questo modo riescono ad arrivare più facilmente ai migranti. L'Unhcr sostiene che ciò avvenga in diverse parti del Paese nordafricano.
"Questi criminali sono stati individuati a punti di sbarco e ai crocevia dei traffici, sono stati visti con giubbotti e oggetti con le insegne simili a quelle dell'Alto Commissariato", ha dichiarato l'Agenzia attraverso un comunicato. Le informazioni in questione arrivano in parte da "rifugiati che dicono di essere stati venduti a trafficanti in Libia e sottoposti a maltrattamenti e torture, a volte dopo essere stati intercettati in mare". Nella nota, l'Unhcr segnala anche il "drastico deterioramento" della situazione nelle strade di Tripoli, teatro di pesanti scontri tra le diverse fazioni in lotta per il controllo della città. Molti di loro erano trattenuti in aree vicine agli scontri divenute obiettivo dei razzi, e in migliaia sono fuggiti dai centri di detenzione nel disperato tentativo di salvare le proprie vite. Resta il fatto che a sette anni dall'abbattimento del regime di Muammar Gheddafi, e dall'eliminazione dello scomodo (per i segreti di cui era depositario) Colonnello, non si è riusciti a mettere in campo, da parte della comunità internazionale, uno straccio di "institution building", un piano di costruzione di istituzioni democratiche, di partiti, di una magistratura indipendente, insomma, una parvenza di Stato. Semmai, si è operato in senso inverso. Smantellando quel poco che esisteva di esercito libico, salvo poi accorgersi della necessità, per contenere l'"invasione" dei migranti, di costruire una parvenza di Guardia costiera, magari arruolando ex trafficanti di esseri umani.
Delle oltre 100 tribù in cui è frazionato l'enorme territorio di circa 1 milione e 760 mila km quadrati (più di sei volte l'estensione dell'Italia), le più grandi, attorno a cui orbitano le altre sotto-tribù, sono quattro: i Warfalla e i Ghadafa, appunto, e i Meqarha e gli Zuwayya. Ramificati nella parte orientale del Paese a sud di Bengasi, gli Zuwayya si trovano nella zona strategica del deserto libico, attraversata dalle condutture di petrolio. Mentre i Warfalla controllano la parte sud-occidentale del Paese lungo il confine con l'Algeria.E non meno decisiva fu il passaggio tra le fila degli insorti della tribù Zintan, originaria della città omonima situata a sud di Tripoli. Sette anni dopo, le stesse tribù, frazionatesi in milizie e sotto gruppi, sono quelle che dettano legge nel non Stato libico, nel quale i capi di governo sono solo figure di contorno, buone per presenziare ad una conferenza internazionale ma privi di autorità, e autorevolezza, anche rispetto ai sindaci, emanazione diretta delle tribù. Governare questo caos attraverso lo strumento militare esterno è pura follia. Chi di guerra e strategie militari se ne intende, conviene che per provare a percorrere questa strada, vorrebbe dire impegnate, in tempi che si calcolano in anni, non meno di 50mila soldati, boots on the ground, mettendo in conto perdite significative, insostenibili per le opinioni pubbliche interne.
Resta la via diplomatica, che per non rivelarsi senza uscita, avrebbe bisogno di un'azione unitaria dell'Europa (l'interesse dell'amministrazione Trump per la Libia è pari a zero) in sintonia con attori regionali che hanno incidenza nei vari campi miliziani e tribali (Egitto, Turchia, Emirati Arabi Uniti, in primis). Ma anche questo lavoro di ricucitura è tutto da realizzare. Intanto, Haftar estende le sue alleanze, interne ed esterne. E negozia. Sulla base della convinzione che "l'85 % dei libici è con me".
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