“Stiamo considerando la versione dell’omicidio rituale nel modo più serio. Ma non solo, un gruppo considerevole della commissione della Chiesa non ha alcun dubbio su questa spiegazione”. Lo ha dichiarato lunedì il vescovo Tikhoon (Skekunov), che non solo è segretario della Commissione patriarcale che continua gli studi sui resti della famiglia dello Zar massacrata nel 1918, ma è anche ritenuto il consigliere spirituale di Vladimir Putin. Ciò, durante un incontro nel monastero Sretenski di Mosca, e alla presenza del patriarca Kirill, che condivide la spiegazione. Tra i resti della famiglia massacrata, alcuni sono identificati in modo incerto – sarebbero lo zarevic Aleksei e la sorella Maria – per i quali la Chiesa russa non ha ancora dato il permesso di sepoltura. La Chiesa ha canonizzato la famiglia imperiale...
Per padre Tikhon, “il solo fatto che qualcuno abbia ucciso lo zar, anche se dopo la sua abdicazione, in questo modo e che gli assassini si siano divisi le vittime – la testimonianza di Yuroski (il capo del gruppo di bolscevichi che guidò l’esecuzione, ndr) – e che erano in molti a voler essere gli assassini dello zar, dimostra che consideravano l’omicidio come un rituale particolare”.
Immediatamente la comunità ebraica nella Federazione russa, per bocca del rabbino Baruch Gorin, ha protestato con un comunicato all’agenzia Interfax: “Queste dichiarazioni sono un chiaro esempio di oscurantismo medievale. Una teoria del complotto antisemita”.
Il sospetto di un massacro rituale ebraico non è di oggi. Il plotone d’esecuzione che alle 2.30 del 17 luglio 1918, nei sotterranei della casa Ipatiev a Ekaterinburg uccise lo zar, la zarina, i cinque figli, il medico di famiglia ed alcuni servitori, era composto di 12 persone – si disse, a rappresentare le 12 tribù di Israele. I cekisti assassini (alle persone del luogo fu detto che erano “fucilieri lettoni”, ma fra loro c’era anche l’”ungherese” Imre Nagy, futuro capo del governo a Budapest. Molti parlavano tedesco o yiddish. Lasciarono sui muri simboli o segni che furono interpretati come kabbalistici. Soprattutto, l’ufficiale bianco Nikolai A. Sokolov (1882-1924) che, quando le truppe anticomuniste ripresero brevemente Ekaterinburg ai bolscevichi, condusse la prima inchiesta,trovò sul muro, fra l’altro, una scritta in tedesco: “BelsaTZAR ward in selbiger Nacht von seine Knechten umgebrat, “BaldaZAR venne assassinato dai suoi servi nella notte”: erano versi del poeta ebreo Heine ed è una parafrasi della Torah, nel libro di Daniele, “Quella stessa notte Baldassarre re dei Caldei fu ucciso”. E’ il passo dove a re Baldassarre dei caldei viene annunciata l’imminente rovina con le parole “Mene, tekel, peres”, che il profeta ebraico interpreta così: “Mene: YHVH ha computato il tuo regno e vi ha posto fine. Tekel: tu sei stato pesato sulla bilance e trovato scarso. Peres: il tuo regno è diviso e dato ai medi e ai persiani” (Daniele 5, 26-28).
Qualcuno degli assassini bolscevichi aveva interessanti conoscenze rabbiniche. Il capo del plotone d’esecuzione, Yakov Yurovskij (1878-1938) era nato Jankel Movsev, e aveva fatto studi in sinagoga. Il suo braccio destro quella notte, Mikhail A. Medvedev, era probabilmente ebreo, nato Kudrin; fu lui a sparare alla testa dello zar e della granduchessa Marija con la pistola Browning n. 389965 che egli stesso consegnò, nel 1964, prima di morire, al Museo della Rivoluzione. L’incarico di scogliere i corpi nell’acido solforico se lo accollò il chimico Petr Voikov, nato Pinkus Weiner; Philiph (in realtà Isay, un diminutivo yiddish) Isaevic Goloshchyokin, che divenne poi un pezzo grosso della rivoluzione (si deve a lui la morte di 1-2 milioni di persone in Kazakhstan nel 1932-33), si vantava di conservare la testa dello Zar nel suo archicio, in un boccale pieno d’alcol. Il più alto caporione a dare l’ordine del massacro, Yakov Sverdlov, nato Jankel Solomon nel 1885 da un ricco mercane, massone, il più feroce organizzatore del Terrore Rosso contro i contadini e i cosacchi del Don, primo capo dello stato sovietico: per la parte che ebbe nell’eccidio dei Romanov,la città dove avvenne,Ekaterinburg, venne ribattezzata col suo nome, Sverdlovsk; il poeta giudeo David Bergelson lo celebrerà come “orgoglio del popolo ebraico”.
Del resto, prima della Grande Guerra (1914-18) a Varsavia, nei negozi ebraici, si vendeva una cartolina di auguri per lo Yom Kippur in cui si vedeva un rabbino che con la Torah in una mano e un uccello sull’altro braccio: l’uccello portava la testa coronata dello Zar Nicola. E’ l’allusione ad un sacrificio di una gallina bianca praticato dagli ebrei più religiosi nello Yom Kippur: il fedele si fa passare la gallina sopra la testa poi la sgozza e la dissangua, pronunciando la formula: “Questa è una bestia sacrificale, così sia la mia purificazione”. Un tipico sacrificio rituale di sangue,non privo di contatti psichici col voodoo.
Hanno fatto bene gli ebrei russi a protestare. Cosa c’entrano loro con la strage dei Romanov? Sono tutte superstizioni antisemite
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