lunedì 30 maggio 2016

Carlo Lottieri - Cara Confindustria le imposte sono da tagliare non da "spostare"..

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Il solito tentativo di far pesare il Leviatano fiscale sulle tasche di qualcun altro
Il nuovo presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha chiesto al governo di «spostare»
 il carico fiscale dal lavoro alle «cose». Tradotto: abbassare la fiscalità sulle imprese e sugli

stipendi e aumentare quella sui consumi. Un atteggiamento da «mors tua, vita mea», un 
tentativo di far pesare il Leviatano fiscale sulle tasche di qualcun altro. Nella fattispecie, dei
 consumatori già abbastanza vessati.


In linea astrattamente teorica, l'associazione che riunisce le aziende dell'industria dovrebbe 

difendere la proprietà e il mercato. In Italia, di conseguenza, dovrebbe tuonare contro la
 tassazione da rapina e la spesa pubblica fuori controllo che stanno letteralmente distruggendo
 il sistema produttivo. Come si sa, non è così. E la riprova si è avuta nel discorso di esordio del
 nuovo presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, che oltre a dire la sua sul referendum 
costituzionale (quasi fosse il segretario di un partitino di seconda fila) ha soprattutto invitato il 
governo a «spostare il carico fiscale alleggerendo quello sul lavoro e sulle imprese e 
aumentando quello sulle cose». Come a dire che le tasse possono pure essere
 bellissime, ma solo quando gravano sugli altri. 

Perché una tale presa di posizione? Innanzitutto bisogna tenere presente che razza di 

capitalismo ha ormai l'Italia, dove lo Stato si è dilatato in ogni ambito e lo spazio delle 
libere relazioni di mercato si è andato restringendo progressivamente. Quando nel 1961 l'Italia
 cresceva al ritmo del 10% l'industria italiana era fatta essenzialmente da imprese che 
producevano beni e servizi sul libero mercato e che dovevano competere. Non mancavano
 nemmeno allora i furbi e gli amici degli amici, ma nell'insieme il boom fu il 
risultato di dinamiche concorrenziali.....
 

Oggi tutto è cambiato e d'altra parte la stessa Confindustria, alcuni anni fa, ha aperto le porte 

ai colossi del parastato (posseduti dal Tesoro o dalla Cassa depositi e prestiti), che oggi sono
 tra i suoi soci più influenti. Stando così le cose, sarebbe irragionevole attendersi da 
Confindustria un'analisi affidabile sui guai dell'Italia. Nello specifico, chiedendo che si tassino 
gli altri il presidente di Confindustria ha interpretato una posizione cinica. Lo Stato continui ad
 aggredire in modo selvaggio le ricchezze degli italiani, ma colpisca altrove. Innalzi l'Iva, ad 
esempio, e penalizzi ulteriormente le case. Si tratta però di un cinismo fuori tempo massimo, 
non privo di tratti autolesionistici e figlio di un'incapacità a capire la situazione. 

Colpire le «cose» non danneggerà forse anche imprenditori e lavoratori? Non sono forse anche 

loro proprietari e consumatori? Ma c'è anche un'altra considerazione da farsi. Perfino chi ha 
realizzato profitti all'ombra dei poteri statali e grazie a finanziamenti, concessioni e altro 
dovrebbe comprendere che quando un'economia crolla come sta avvenendo da noi pure chi
 fino a ieri aveva saputo avvantaggiarsi del sistema finisce per essere spazzato via. È quindi un 
machiavellismo irragionevole quello di chi s'immagina che si possa aiutare le imprese 
(o anche alcune di loro) limitandosi a ridistribuire gli oneri: senza mettere in discussione le 
dimensioni di un prelievo tributario che sta svenando famiglie ed aziende. 

Confindustria non vuole difendere la libertà di tutti di fronte al Leviatano: ne prendiamo atto. 

Sarebbe bene, però, che facesse analisi più affidabili e ne traesse tutte le conseguenze. 

 30 maggio 2016

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