lunedì 23 novembre 2015

Il ritorno del viceré Bassolino: l'ex inquisito farà neri i compagni del Pd



PS: "...Ottima candidatura di un personaggio verace pd, alla faccia di Renzi et compagnia sua, i quali farebbero bene ad auto-rottamarsi. Che poi non sia il massimo, va bene uguale....." Se hanno candidato De Luca...!...questi sono i porta bandiera del Pd...lotta di bande armate di indagini ...!
umberto marabese
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Da rottamato a riciclato, "o' governatore" vuole riprendersi il trono di Napoli e regolare i conti con De Luca e De Mita. Ma trema anche il premier per la faida delle primarie.
Siccome la fortuna è cieca e la sfiga ci vede benissimo, San Gennaro nel dubbio sta per concedere una nuova grazia. Non ai napoletani; a tal Bassolino Antonio da Afragola, viceré conclamato di Napoli e Campania, per due volte nella polvere per due volte sugli altar.Torna Votantonio, dunque.....




La candidatura è svelata su Twitter e Facebook, come i tempi dettano. Dopo sei mesi di tira e molla che sono bastati a farlo dipingere come un conte di Montecristo, l'Edmond Dantès che deve prendersi le sue rivincite a largo giro, cominciando dagli ex amici per finire al destino cinico e baro; ai tanti che l'hanno abbandonato trascinandolo fin sui crinali dei pensieri più neri, all'antico rivale De Luca, le cui fortune paiono coincidere con le disgrazie sue. Uno schiaffone per l'ottuagenario Ciriaco De Mita, che lo ha dato per spacciato tante volte, e tante volte raggirato; un altro ai cortigiani infedeli che oggi sembrano pronti a lanciare la vendicativa rimonta, ma non hanno battuto ciglio quando mordeva la polvere - non metaforica - di rifiuti e inchieste giudiziarie. Masaniello è tornato, sta tornando; è cresciuto, sta crescendo. Un guanto di sfida pure per Renzi, e la sua imberbe filosofia di rottamazione, della quale il furbo Tonino s'è impadronito chiedendo a gran voce le primarie, «poi decido». A chi gli fa notare che forse con le primarie il potere già boccheggiante del Pd napoletano rischia di collassare, Bassolino con la solita voce arrochita dai milioni di sigarette del passato (prima Nazionali senza filtro, poi Ms, poi Marlboro, tutte avidamente trangugiate più che fumate, fino al tracollo ospedaliero di tre anni fa), ripete: «Anche Renzi è figlio delle primarie, non può rifiutarle». Chi di primarie ferisce, di primarie perisce: specie a Napoli, dove la gara interna s'è sempre vissuta alla stregua di guerra tra bande di camorra. Votantonio, allora. Per i salotti della Gaiola e di piazza dei Martiri, della Riviera di Chiaia e salita Monte di Dio, nei quali si discetta ancora della baronessa Pimentel Fonseca del '99 (1799, non propriamente ieri), di meglio di Bassolino al momento non si vede. «Ai tempi gli abbiamo regalato la città e lui andò forte, poi ci sono stati tutti i problemi e i pasticci. Il vero disastro è che da allora la città non ha prodotto niente... Non c'è altro, ma lui non dovrebbe essere contento di questo. Comunque, vedremo», dice l'intramontabile Mirella Barracco. Un'apertura di credito con la condizionale.Avreste dovuto vederlo, Bassolino, figlio del giardiniere capo del Comune di Afragola, nelle assemblee operaie all'Italsider di Bagnoli degli inizi anni Ottanta. Era da poco nominato «responsabile della commissione per il Mezzogiorno», dopo essere approdato nel 1972 al Comitato centrale del Pci. La politica gli era entrata nelle vene a 17 anni, nel '64, e si racconta che papà Gaetano, liberale, si fosse piantato a braccia conserte sotto il palco per non farlo parlare nel suo primo comizio, fino all'arrivo dei carabinieri. Magari ci fosse riuscito, istradandolo verso una carriera di medico. Tonino, invece, amava le assemblee operaie, nelle quali si muoveva come un topo nel formaggio. Più che ascoltare i compagni della fabbrica, ne intuiva gli umori a naso, e glieli rilanciava come fossero sue idee di lotta, fino a placare la rabbia operaia. Ingraiano, era stato spedito da Chiaromonte e Geremicca a farsi le ossa ad Avellino, probabilmente anche per quella spiacevole difficoltà di pronuncia che a Napoli viene definita cacaglio (divenne presto il suo soprannome). Tonino cacagliava, più che parlare. Eppure proprio la balbuzie donava al capo popolo l'allure del pensatore sofferente e la vicinanza della solidarietà istintiva. Camaleontismo puro, perché Bassolino il potere lo perseguiva come pochi. Fino all'occasione d'oro del '93: cominciano i dieci anni di Risorgimento napoletano splendenti più nella buona stampa che nella vita reale della gente. Atti meritori, come l'inizio dei lavori per un metrò oggi fiore all'occhiello della città, assieme a errori e rimozioni. Il bassolinismo intanto s'affermava come cultura conformistica a ogni livello, com'era stato negli anni '50 per il laurismo; fu l'avvento di una cultura popolare più che piccolo borghese, cinica e superficiale, destinata a divenire presto facile preda di suggestioni camorristiche.Tonino, nel frattempo, aveva smesso di cacagliare. Gli onori di Palazzo San Giacomo ne avevano fatto un'icona (quasi) alla pari di Maradona e San Gennaro (nell'ordine). Al punto di indurlo a tentare la carriera nazionale, come ministro di D'Alema. L'inevitabile approdo al Lavoro, in via Flavia, gli consente per lo più di far sentire la sua voce sui quotidiani. Le scelte vere sono delegate al migliore dei suoi consulenti, il professor D'Antona. Per cui, quando il 20 maggio '99 D'Antona viene assassinato dalle nuove Br con nove colpi di caricatore (più uno di grazia al cuore), per Bassolino suona l'allarme rosso. Si convince che il prossimo è lui, meglio lasciar perdere. Torna in Campania, l'elezione a governatore è una passeggiata. Altri dieci anni di potere assoluto, con alti meno alti e bassi più bassi. Fino alla caduta lungo la via crucis dei rifiuti e di una politica asfittica, che subisce senza muovere un dito l'avanzata del dominio camorristico. Tra le colpe di don Antonio c'è appunto quella d'essere stato un po' don Abbondio. Ligio alla norma di salvezza del popolo napoletano che recita così: «Quando si' (sei, ndr) incudine statti, quando si' martiello vatti (picchia)». Mai cuor di leone, solo faina e volpe. Se Votantonio tornasse sindaco, sarebbe per inconsistenza degli avversari. Più che conte di Montecristo, Gennaro Iovine di Napoli milionaria. Quello che torna dalla guerra e trova solo rovine: una moglie che lo tradisce, una figlia incinta, un figlio ladro, un'altra nottata da passare.

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