martedì 17 novembre 2015

Antonio Cipriani - La guerra delle chiacchiere contro l'Isis

Siamo in guerra e in tutte le guerre a morire sono le persone comuni, sotto qualsiasi bandiera abbiano vissuto. Fondamentalismi, bellicismi paraculi. 

La città in fiamme, street art, TorinoLa città in fiamme, street art, Torino

di Antonio Cipriani

La notte di terrore di Parigi dimostra, anzi conferma una cosa su tutte le altre: siamo indifesi. E che questi ultimi decenni di corsa al riarmo mondiale, alla sicurezza anche a danno della democrazia, alle guerre contro tutto e contro tutti, delle città blindate e delle paure costanti, non sono serviti certo a difenderci. Non sono serviti questi decenni di sangue e bombe, di droni e paure, di esaltazione di intellettuali del piffero a tenere sicuro il mondo, a spegnere i focolai di terrorismo. Anzi, non volendo certo semplificare una situazione assai complessa, possiamo però dire che l'intero sistema bellico-finanziario nato dopo la caduta del muro di Berlino, per motivi che un giorno forse gli storici riusciranno a spiegarci, ha costruito questo destino di orrore e instabilità nel mondo e di riflesso nel cuore delle nostre città, che fanno parte del mondo.
Probabilmente un giorno capiremo che gli stregoni delle analisi geopolitiche e dell'intelligence, i think tank tanto celebrati, hanno fatto ridere i polli. Per incompetenza (è una possibilità che questa epoca non nega ai vertici) o per superficialità. Per miopia o ignoranza storica, incapacità di capire che la storia infila le radici in un terreno che è quello della mentalità. E che questo terreno precede ogni azione, facendone seccare gli entusiasmi o alimentandone gli eccessi. Dipende da come viene coltivato....


Di questo parliamo. Di imbecilli, di statisti e di ideologi, di filosofi e analisti strategici che chissà se in buona o cattiva fede, dall'alto della loro supponenza, hanno sottovalutato il terreno sul quale si muovevano con il Risiko delle loro corbellerie rozze, con l'esportazione ignorante di questa democrazia stracciata, asimmetrica di povertà e ricchezze, di poteri veri finanziari e cittadini senza alcun valore. Che si basa sull'ingiustizia di sistema e sulle armi per difenderla. E tra le armi, oltre a quelle che ammazzano le persone in guerra, ci sono quelle della comunicazione di massa, pericolose perché capaci di una narrazione sempre tossica. Così ha scritto sapientemente Tiziano Terzani.
"Purtroppo, oggi, sul palcoscenico del mondo noi occidentali siamo insieme i soli protagonisti ed i soli spettatori, e così, attraverso le nostre televisioni ed i nostri giornali, non ascoltiamo che le nostre ragioni, non proviamo che il nostro dolore".
Terzani, non Oriana Fallaci icona insopportabile con i suoi scritti di livore e rabbia, senza un minimo di umanità e di pensiero. Scritti di pancia e osannati semplicemente perché lei è stata una grande sostenitrice delle guerre di George W. Bush. Di quelle guerre stupide e fasciste, imperialiste senza comprensione per i diritti del mondo, che sono state scatenate contro popoli inermi (non contro il terrorismo) grazie a un vergognoso cumulo di bufale, di notizie false fatte passare per vere grazie a un tam tam mediatico senza precedenti. E oggi i media complici di quelle efferatezze esaltano la Fallaci? Ridicoli. Penosi tutti, i politici, i giornalisti e gli intellettuali che in un paese a sovranità limitata come l'Italia ancora non hanno la coscienza di ammettere che quel bidone di immondizia politico-militare-mediatico è servito da innesco a molti degli attuali orrori del Medio Oriente.
Questo è il terreno arido del nostro tempo. Questo dominio del profitto e della guerra che nel tempo ha inaridito le nostre coscienza, ha reso secco il terreno sul quale far germogliare idee di giustizia, cultura e saperi. Dove l'idea di pace sembra cancellata a vantaggio di insicurezza e guerra. Una volta preventiva, o chirurgica, umanitaria. Guerra sempre imperialista, in difesa dei mercati e del privilegio di una parte residuale del mondo su tutte le altre. Guerra dove a morire sono sempre i poveracci di tutto il mondo. Per un drone, per un bombardamento, per un colpo di cannone. In un'asimmetria strampalata che finisce con il lasciare a terra senza vita uomini e donne comuni. In Siria come a Parigi, dove ieri si è combattuta una declinazione di questa follia che vede in campo l'ingiustizia in nome di ogni Dio: dal Dio della finanza a quello del fondamentalismo religioso.
Perché siamo davvero in guerra, una guerra che le vittime innocenti di Parigi neanche immaginavano di poter incontrare. Che nessun bambino bruciato da una bomba in un lembo di mondo sconosciuto merita di provare sulla pelle. Una guerra dove a morire sono le persone comuni, sotto qualsiasi bandiera abbiano vissuto. E che ci vede in prima linea che se non vogliamo, anche se giriamo la testa dall'altra parte e ci dichiariamo storicamente accoglienti, tolleranti, liberali, illuministi: siamo tutti coinvolti perché un sistema che non ci piace, ma ci stritola e ci domina con una macchina del consenso mostruosa, è rappresentato anche a nostro nome da politici che esercitano nel mondo politiche estere militarizzate, violente, oppressive. Scrive bene su Famiglia Cristiana Fulvio Scaglione:
Abbiamo provato a tagliare qualche canale tra l'Isis e i suoi padrini? No. Abbiamo provato a svuotare il Medio Oriente di un po' di armi? No, al contrario l'abbiamo riempito, con l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ai primi posti nell'importazione di armi, vendute (a loro e ad altri) dai cinque Paei che siedono nel Consiglio di Sicurezza (sicurezza?) dell'Onu: Usa, Francia, Gran Bretagna, Cina e Russia.
Solo l'altro giorno, il nostro premier Renzi (che come tutti ora parla di attacco all'umanità) era in Arabia Saudita a celebrare gli appalti raccolti presso il regime islamico più integralista, più legato all'Isis e più dedito al sostegno di tutte le forme di estremismo islamico del mondo. E nessuno, degli odierni balbettatori, ha speso una parola per ricordare (a Renzi come a tutti gli altri) che il denaro, a dispetto dei proverbi, qualche volta puzza.
Libertà, ricchezza, comodità e sprechi in casa pagati con la schiavitù di altri popoli, con la disperazione per fame di uomini, donne e bambini costretti alla fuga per sopravvivere; dei migranti che scappano dalle loro terre devastate e dalla propaganda sempre più accesa dei predicatori d'odio in nome di Dio e contro l'Occidente. E che quando portano la guerra nel cuore dell'Occidente, come a Parigi, lasciano stese sul selciato altri esseri umani inermi, vittime innocenti di fanatismo. E mentre la politica finge di piangere e reagisce bombardando altri innocenti ad al-Raqqa, continuiamo a fare affari sul sangue degli innocenti, a vendere oro le armi, a tenere alta la bandiera del neo-liberismo senza pietà.
Per questo la guerra è già persa nella contraddizione del nostro tempo. Ci costringe a scelte che non vogliamo, a schierarci nel nome della sicurezza contro i crudeli terroristi, togliendoci nel contempo libertà e possibilità di dissenso, spaccandoci il cuore come fosse una mela per riderci sopra e disegnare, sull'odio e sul capitale, un mondo peggiore. Insicuro e feroce. Belluino. Che si può dominare solo con le armi. Ben sapendo, epigoni degli imbecilli che li hanno preceduti, che non è vero perché non può essere vero. Che solo il dialogo e una cultura del rispetto che salga dal basso possono cambiare la storia, perché oggi più che mai occorre ribellarsi alla narrazione tossica e affermare la pace, il valore dimenticato della giustizia sociale, dell'uguaglianza, della legalità per tutti se a fare le regole sono tutti e non pochi, della fraternità senza distinzioni di razza. Occorre restare umani, come diveca Vik, e dissodare il terreno arido del tempo. Non arrendersi al monologo del profitto e dei suoi maggiordomi della politica e dei predicatori d'odio che attingono dall'ingiustizia la loro forza distruttrice. Dobbiamo fare la nostra parte contro questa aberrazione. E non con le candeline in piazza, ma riprendendoci il senso etico della politica ed impedendo all'apparato bellico-finanziario-politico di scegliere al nostro posto

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