Fuori i partiti dalla Rai! Matteo Renzi è stato chiarissimo, anche se non particolarmente originale: lo slogan è stato dichiarato ai quattro venti da decine di suoi predecessori che poi hanno farcito la tv di Stato di ex parlamentari, nani, ballerine e propri camerieri. Ora però l’intenzione renziana prende corpo, e spunta perfino dalle fila dei fedelissimi un testo di legge che mette nero su bianco quella che dovrebbe essere la riforma nella testa del governo. E si capisce meglio lo slogan che la governa, tradotto così: vero, fuori i partiti dalla Rai, dentro un solo partito: quello di Renzi. Il testo di riforma dato alle stampe ieri porta la firma di Michele Anzaldi, il deputato renziano che si occupa proprio di tv di Stato da protagonista all’interno della commissione di vigilanza sulla Rai. Nella lunga relazione dice le stesse cose finora anticipate dal premier, che minaccia di fare la sua rivoluzione anche con un decreto legge: “liberare la Rai dal potere dei partiti per farla diventare un’azienda in grado di competere a livello internazionale e di fornire un vero e proprio servizio ai cittadini italiani”. Splendido. Come? Con una soluzione arzigogolata che affida comunque tutti i poteri di nomina alla politica, come è e come è sempre stato. Il consiglio di amministrazione della nuova Rai sarebbe composto da 5 componenti, uno dei quali farebbe il presidente e l’altro l’amministratore delegato. I cinque verrebbero nominati da una fondazione che farebbe da intercapedine fra il ministero dell’Economia (azionista) e la Rai. La fondazione sarebbe composta da 11 membri, tutti scelti dalla politica come sempre è avvenuto.........
Quattro di loro verrebbero nominati dalla commissione parlamentare di vigilanza a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti. In teoria quindi verrebbero scelti dal partito di maggioranza (il Pd) e dai suoi alleati. Ma se passassero la riforma del Senato e la legge elettorale oggi voluta da Renzi, la commissione bicamerale di vigilanza per i due terzi dei voti basterebbe probabilmente il solo Pd (che ha i tre quarti dei nominati nel nuovo Senato e avrebbe con l’Italicum il premio di maggioranza alla Camera). Quindi in prospettiva 4 scelti dal Pd sugli 11 complessivi. Poi un consigliere verrebbe nominato dall’Anci, oggi guidata da Piero Fassino e saldamente in mano al Pd. Ecco 5 consiglieri su 11 del Pd. Un sesto consigliere verrebbe nominato dalla conferenza permanente stato-regioni-province autonome che è dominata dal Pd. Così è già raggiunta la maggioranza di 6 consiglieri Pd su 11 in grado da soli di nominare l’intero consiglio di amministrazione della Rai, presidente e amministratore delegato compresi.
Restano altri 5 consiglieri della Fondazione, e non è affatto detto che siano di diversa provenienza politica. Uno toccherebbe curiosamente a quel Cnel che Renzi vuole abolire ma che intanto è buono per mettere le zampe sulla tv di Stato. Uno nominato dal Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (Cncu), che oggi è presieduto dal sottosegretario Pd Claudio De Vincenti. Uno nominato dall’Accademia dei Lincei, uno dalla conferenza dei rettori delle Università italiane e infine uno dagli stessi dipendenti della Rai e delle sue controllate. Il consiglio della Fondazione a maggioranza assoluta Pd resterebbe in carica sei anni e quindi nominerebbe a sua volta due consigli di amministrazione Rai (che resterebbero in carica 3 anni), raddoppiando così l’impronta politica che oggi ha inevitabilmente qualsiasi vertice della Rai. Naturalmente i consiglieri della fondazione debbono essere (anche quelli attuali della Rai) “persone di indiscussa moralità e indipendenza e di comprovata professionalità e competenza nei settori della comunicazione, dell’audiovisivo, del cinema, delle arti, della cultura, del diritto, dell’economia, dei mezzi di comunicazione, delle reti di comunicazione elettronica, delle nuove tecnologie e dell’Ict”. Però non devono avere mai ricoperto alcun ruolo manageriale in imprese private di ciascuno di quei settori, e la ragione davvero sfugge.
Non possono avere ricoperto “incarichi di governo, incarichi elettivi politici a qualunque livello o ruoli e uffici di rappresentanza nei partiti politici”, ma solo nei due anni precedenti alla nomina. Anche questo non sembra una particolare de-politicizzazione della Rai: la legge attuale vieterebbe quegli stessi incarichi per un anno, qui si raddoppia solo la distanza dagli allori della politica. Ma con queste norme potrebbero diventare presidenti o consiglieri della Fondazione Rai gente come Francesco Rutelli, Romano Prodi,Walter Veltroni, Giovanna Melandri, Gianfranco Fini, Fausto Bertinotti e mille altri uomini politici provvisoriamente in parcheggio. Siccome le stesse regole di esclusione valgono anche per il consiglio di amministrazione della Rai, quello che poi gestirebbe materialmente l’azienda provvedendo alle nomine di reti e testate, non sarà improbabile vedere un Veltroni amministratore delegato dell’azienda o un Prodi presidente. Fuori i partiti dalla Rai? Appunto.
Continua a leggere su L'imbeccata di Franco Bechis
Quattro di loro verrebbero nominati dalla commissione parlamentare di vigilanza a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti. In teoria quindi verrebbero scelti dal partito di maggioranza (il Pd) e dai suoi alleati. Ma se passassero la riforma del Senato e la legge elettorale oggi voluta da Renzi, la commissione bicamerale di vigilanza per i due terzi dei voti basterebbe probabilmente il solo Pd (che ha i tre quarti dei nominati nel nuovo Senato e avrebbe con l’Italicum il premio di maggioranza alla Camera). Quindi in prospettiva 4 scelti dal Pd sugli 11 complessivi. Poi un consigliere verrebbe nominato dall’Anci, oggi guidata da Piero Fassino e saldamente in mano al Pd. Ecco 5 consiglieri su 11 del Pd. Un sesto consigliere verrebbe nominato dalla conferenza permanente stato-regioni-province autonome che è dominata dal Pd. Così è già raggiunta la maggioranza di 6 consiglieri Pd su 11 in grado da soli di nominare l’intero consiglio di amministrazione della Rai, presidente e amministratore delegato compresi.
Restano altri 5 consiglieri della Fondazione, e non è affatto detto che siano di diversa provenienza politica. Uno toccherebbe curiosamente a quel Cnel che Renzi vuole abolire ma che intanto è buono per mettere le zampe sulla tv di Stato. Uno nominato dal Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (Cncu), che oggi è presieduto dal sottosegretario Pd Claudio De Vincenti. Uno nominato dall’Accademia dei Lincei, uno dalla conferenza dei rettori delle Università italiane e infine uno dagli stessi dipendenti della Rai e delle sue controllate. Il consiglio della Fondazione a maggioranza assoluta Pd resterebbe in carica sei anni e quindi nominerebbe a sua volta due consigli di amministrazione Rai (che resterebbero in carica 3 anni), raddoppiando così l’impronta politica che oggi ha inevitabilmente qualsiasi vertice della Rai. Naturalmente i consiglieri della fondazione debbono essere (anche quelli attuali della Rai) “persone di indiscussa moralità e indipendenza e di comprovata professionalità e competenza nei settori della comunicazione, dell’audiovisivo, del cinema, delle arti, della cultura, del diritto, dell’economia, dei mezzi di comunicazione, delle reti di comunicazione elettronica, delle nuove tecnologie e dell’Ict”. Però non devono avere mai ricoperto alcun ruolo manageriale in imprese private di ciascuno di quei settori, e la ragione davvero sfugge.
Non possono avere ricoperto “incarichi di governo, incarichi elettivi politici a qualunque livello o ruoli e uffici di rappresentanza nei partiti politici”, ma solo nei due anni precedenti alla nomina. Anche questo non sembra una particolare de-politicizzazione della Rai: la legge attuale vieterebbe quegli stessi incarichi per un anno, qui si raddoppia solo la distanza dagli allori della politica. Ma con queste norme potrebbero diventare presidenti o consiglieri della Fondazione Rai gente come Francesco Rutelli, Romano Prodi,Walter Veltroni, Giovanna Melandri, Gianfranco Fini, Fausto Bertinotti e mille altri uomini politici provvisoriamente in parcheggio. Siccome le stesse regole di esclusione valgono anche per il consiglio di amministrazione della Rai, quello che poi gestirebbe materialmente l’azienda provvedendo alle nomine di reti e testate, non sarà improbabile vedere un Veltroni amministratore delegato dell’azienda o un Prodi presidente. Fuori i partiti dalla Rai? Appunto.
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