(Maurizio Belpietro – la Verità) –
Per capire il Russiagate, ossia l’ affaire di un presunto traffico di petrolio tra Mosca e Roma che avrebbe fatto arrivare 65 milioni alla Lega, bisogna tornare a un anno fa, all’ inizio delle vacanze estive. Era l’ 8 agosto quando Matteo Renzi apparve a sorpresa da Palazzo Giustiniani in una diretta Facebook, l’ultima prima di partire per le ferie.
«Presto toccherà di nuovo a noi», annunciò perentorio l’ ex presidente del Consiglio, vaticinando una rapida fine dell’ esecutivo.
«A settembre o ottobre vedrete che ci sarà da divertirsi», aggiunse, facendosi sfuggire che il motivo di tanta certezza di poter tornare presto a Palazzo Chigi fosse da ricercarsi in due indagini giudiziarie. La prima quella dei fondi pubblici incassati dal Carroccio: 49 milioni di rimborsi che, secondo lui, avrebbero finito per mettere nei guai la Lega.
La seconda invece riguardante l’attacco di un certo numero di troll al capo dello Stato. Renzi, nella diretta online, si dilungò a spiegare come alcuni siti russi avessero influito sia sul referendum costituzionale del 2016, sia sulla campagna web contro Sergio Mattarella. Partito da falsi profili social, l’attacco contro il presidente della Repubblica non poteva considerarsi casuale, ma, secondo il senatore di Scandicci, un’operazione pilotata. «Ho chiesto al procuratore Pignatone di essere ascoltato come testimone, perché credo che su questa storia delle fake news si giochi il futuro della Stato democratico», concluse l’ex segretario del Pd....
Non sappiamo se poi il procuratore capo di Roma abbia deciso di «ascoltare» Renzi per farsi raccontare di questo fantomatico attacco al cuore dello Stato. Una cosa però è certa: tra i primi a segnalare l’attività di troll russi contro Mattarella ci fu Alberto Nardelli, un giornalista italiano che vive a Londra e lavora per Buzzfeed, il sito che per un po’ ha campato con la falsa notizia delle elezioni americane condizionate da Mosca a favore di Donald Trump e che ora è al centro dell’ attenzione per lo scoop del Russiagate e dei soldi del Cremlino alla Lega.
Nardelli è anche colui che nel 2017 fece esplodere sui media anglosassoni un’altra storia misteriosa, ovvero una specie di golpe messo in atto dal Movimento 5 stelle contro Matteo Renzi e il partito democratico. A parlarne furono sia il New York Times che lo stesso Buzzfeed: «I leader del partito anti establishment, il Movimento 5 stelle, hanno costruito una diffusa rete di siti e di account social media che stanno diffondendo notizie false, teorie cospiratorie e propaganda pro Cremlino a milioni di persone».
In realtà, si scoprì poi che le notizie usate da Nardelli per confezionare queste accuse erano state attinte direttamente dalla ricerca di un giovane informatico, Andrea Stroppa, un mago del computer che nel 2013, quando aveva 17 anni, venne indagato per aver violato alcuni siti. Una vicenda legata ad Anonymus che nel giro gli procurò una certa notorietà e, soprattutto, una segnalazione a Marco Carrai, l’imprenditore prestacasa di Renzi con il pallino della cybersecurity.
Insomma, tanto per ricapitolare: Stroppa, che lavora per Carrai, fa una ricerca in cui si dice che i grillini manipolano le notizie a danno di Renzi e compagni. Nardelli, che prima di scrivere per Buzzfeed ha lavorato per il Consorzio digitale di Roma quando il Comune era amministrato dalla sinistra, rilancia lo scoop che finisce anche sul New York Times. Poi, passato un po’ di tempo, Nardelli se ne esce con la storia dei troll russi contro Mattarella e Renzi si mette davanti alla telecamera per la diretta Facebook e, invece di augurare buone vacanze a tutti, dice che presto 5 stelle e leghisti leveranno le tende e ci sarà da divertirsi, minacciando per di più un suo ritorno a Palazzo Chigi. Il cerchio si è chiuso? No.
Passato un anno, ecco spuntare un nuovo affaire, ossia i fondi russi alla Lega, mascherati da una maxi fornitura di petrolio all’ Eni, da far arrivare in Italia tramite Banca Intesa o qualche altro
istituto di credito. Soldi che alla fine dovevano essere recapitati al partito di Salvini. Il tutto con un intermediario di nome Gianluca Savoini, ex giornalista della Padania, ma soprattutto putiniano convinto, un tipo che da anni naviga ai margini della Lega e che qualche volta è apparso attribuirsi più importanza di quella che abbia, ma che certo si muove con disinvoltura e anche con imprudenza.
C’ è un audio che proverebbe tutto, scrive Buzzfeed, cioè Alberto Nardelli, quello dei troll. E il New York Times rilancia, per la firma di Jason Horowitz, un giornalista che a ridosso del referendum del 2016 scrisse un pezzo in cui, oltre a definire Renzi «il primo ministro che farà ciò che serve per riformare il governo», lo descriveva così: «Con i suoi lineamenti morbidi e la risata contagiosa, può essere affascinante in modo disarmante». Dunque, i protagonisti dello scoop sul Russiagate sono gli stessi di un anno fa e forse non a caso il Pd e Renzi sulla faccenda si sono subito buttati a pesce, anzi da pescicani, parlando addirittura di commissione d’ inchiesta.
Quanto alla sostanza, 65 milioni non sono bruscolini e se davvero fossero finiti nelle casse della Lega non sarebbero certo entrati in una valigia di cartone, ma sarebbero approdati su un conto bancario e da qui segnalati a Banca d’Italia e quindi alla Procura. Dove sono dunque questi soldi? Qualcuno ha visto un bonifico oppure li ha scovati in una cassetta di sicurezza padana? A quanto pare no.
Come nessuno ha visto le tonnellate di petrolio in arrivo da Mosca e di passaggio fra Intesa e Eni. Quindi, per ora al presunto scoop manca la pistola fumante. Un po’ come per i troll che minacciavano Mattarella e lo Stato democratico. Di cui dopo le denunce si occupò il Copasir e pure l’ antiterrorismo, ma – a quanto pare – senza grandi risultati. Infatti stiamo ancora aspettando di divertirci come un anno fa ci promise Renzi.---
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