(di Igor Pellicciari (docente Università di Urbino – Università Statale di Mosca per le Relazioni Internazionali) –
A commentare il famigerato (ed un po’ comico) affaire leghista in Russia c’è il rischio, come diresti tu Maestro Dagonov, che scappi alla grande la frizione.
Per prima cosa sarebbe il caso di analizzare i fatti certi per poi arrivare a fare qualche supposizione su cosa sia realmente avvenuto e perché.
Ma sappiamo che in Italia la tentazione di commentare prima ancora di raccontare e’ forte – in questo come in altri casi.
Ricapitolando.
Ad oggi sappiamo che alcuni individui pare molto collegati alla Lega si sarebbero avventurati in un incontro nella lobby di un albergo a Mosca con dei partner russi, cercando di mettersi al centro di una transazione di petrolio ceduto a prezzi di favore per ottenere, nel rivenderlo, una marginalità di ben 65 milioni di Euro – da spartire in modi e forme non chiare, anche perché ad oggi pare che l’affare non sia andato in porto, nemmeno in minima parte.
Le prime domande spontanee da porsi sono: ....
1) e’ credibile questo incontro?
2) quale era il suo obiettivo e chi ne ha trasmesso la registrazione dei dialoghi, degni della parodia di uno spy movie di serie B?
Sulla prima questione– la dinamica dell’episodio più che un incontro al vertice ricorda una trappola orchestrata ad arte per fare abboccare degli ingenui interlocutori stranieri, esaltati da luoghi comuni sulla Russia paese dei balocchi e calatisi nel ruolo delle spie venute dal freddo.
Chi vive a Mosca sa perfettamente che seguendo una tradizione iniziata nel periodo sovietico per motivi di controllo e rafforzatasi di recente per motivi di sicurezza anti-terrorismo, tutte le lobby degli alberghi 5 stelle nella zona del Cremlino (e spesso anche quelli nelle immediate vicinanze) pullulano di telecamere di sicurezza e microfoni ad alta definizione.
L’Hotel Metropol si trova ad un centinaio di metri dalla zona del Cremlino e a pochissima distanza dalla Lubyanka (l´ austero palazzo dove hanno sede centrale i servizi di intelligence russa dell’ ex-KGB, oggi FSB) e della omonima stazione della metropolitana dove pochi anni or sono un sanguinoso attentato terroristico riuscì a fare deflagrare una bomba.
Insomma si tratta di una zona presidiatissima e un luogo osservato di default – non proprio un posto discreto dove discutere dei dettagli di una operazione a dir poco delicata.
Inoltre, non si capisce perché’ degli interlocutori russi che giocano in casa scelgano un posto cosi informale ed esposto come la lobby di un Hotel centralissimo per incontrarsi – come se abbiano la necessità di nascondersi goffamente da quelle stesse istituzioni che governano e controllano stabilmente.
La Russia e’ paese molto istituzionale con fortissimo senso della liturgia formale nei luoghi di potere. A differenza della tradizione latina, dove regnano incontrastati “pranzi e cene di lavoro”, le principali questioni in Russia, specie quando di parla di ‘’Aiuti di Stato’’, vengono decise negli uffici preposti e discussi dalle persone direttamente responsabili.
Non c’è’ motivo alcuno politico o funzionale di affidarsi come in Italia ad un sottobosco contiguo che operi in zone di semi-ombra e border-line.
Insomma la Russia non agisce né negozia così quando decide di aiutare qualcuno.
Se per i locali moscoviti questa del Metropolè una location irrituale, a dir poco non credibile se non rischiosa, altro discorso e’ per gli italiani coinvolti – che si muovono in maniera molto ingenua in un contesto che dimostrano di conoscere poco a partire dalla lingua che non parlano, per nulla (??!).
All’epoca del PCI e dei partiti veri tradizionali vi era una generazione di politici alla Togliatti, Pajetta & Co. che a momenti si esprimevano meglio in Russo che in Italiano perché avevano studiato e vissuto per anni a Mosca. Nel contesto fluido dell’affarismo trasversale della seconda/terza repubblica, i partiti non hanno veri quadri intermedi e devono obtorto collo affidarsi a soggetti improvvisati.
A costoro basta fare alcuni viaggi a Mosca in coda a qualche missione istituzionale e avere magari una fidanzata dell’area (russa o bielorussa, che differenza fa ?) per considerarsi già esperti tout courtdel paese.
E lasciarsi trascinare in un trip mentale convinti di essere agenti che muovono le fila del gioco, soggiogati però dal narcisismo di apparire a cene ufficiali ed in prima fila a conferenze stampa ed incontri, invece di tenere un profilo bassissimo come un ruolo del genere, se interpretato seriamente, richiederebbe.
Come avvenuto nel caso del vice-cancelliere austriaco Strache, la trappola e’ scattata ed ha funzionato benissimo, giocando sull’ignoranza, narcisismo protagonista, provincialismo internazionalista delle vittime predestinate nonché – ma questo va dimostrato – su un senso di affarismo tutto italico, dove si parte sperando di fare un Golden Golda 65 milioni ma poi ci si accontenta male che vada anche di 65.000 euro quando si capisce che probabilmente non si quaglierà nulla.
Riguardo la seconda domanda che ci siamo posti – e’ più semplice rispondere a quale fosse l’obiettivo di questa trappola rispetto a chi ne sia stato il vero mandante.
Una cosa infatti è certa. Questo episodio già da ora ha dato una forte e immediata ridimensionata ad un muoversi internazionale leghista piuttosto contraddittorio, che pretendeva di applicare a russi ed americani la stessa strategia (o meglio dire, tattica) del doppio forno usata in Italia, dove si può governare al centro con i 5Stelle restando alleati con Berlusconi a livello regionale.
I recenti viaggi di Giorgetti e Salvini negli States – seguiti dalla visita di Putin a luglio a Roma hanno fatto emergere con chiarezza imbarazzante una spregiudicatezza nel volere tenere, a seconda dei casi, posizioni a parole super trumpiane o turbo filo-russe, non curanti del fatto che USA e Russia siano in una fase dei loro rapporti non facile e delicatissima.
Si sono dimenticati che l´Italia del secondo dopo guerra è un paese filo-atlantico a sovranità limitata e non è autorizzata a muoversi nelle relazioni Internazionali come play maker autonomo.
E poi c’è l’attitudine Salviniana -tipica di un leader la cui immagine si sovrappone a quella del suo partito- di ripetere l’errore compiuto a suo tempo da Berlusconi con Forza Italia. Ovvero di cercare di essere non semplicemente in buoni rapporti con USA e Russia ma di diventare l’amico personale da pacca sulla spalla ai due Presidenti, personalizzando così proclami di amicizia ma anche contraddizioni.
E’ uno split brain che ha innervosito sopratutto il versante americano, infastidito da queste accelerazioni non concordate sul versante Russo da parte del leader di un paese alleato sì – ma non di pari livello e con la nomea storica di essere inaffidabile.
La Russia se l´è presa di meno.
Al Cremlino accettano benissimo che l’Italia appartenga al campo opposto atlantico e per essere amici di Mosca in questa fase basta non cadere nell’ isteria russo-fobica che ha da tempo pervaso molte delle cancellerie europee.
E però anche Mosca è rimasta sorpresa – quando non infastidita – nel constatare che Salvini, vero campione della critica alle sanzioni alla Russia quando era all’opposizione; una volta giunto al governo ha preferito fare la voce grossa con l’Europa sulla questione dei migranti mentre si è fatto di nebbia sul cavallo di battaglia storico di alleggerire la pressione su Mosca.
Sul rinnovo delle sanzioni europee contro il Cremlino il governo Conte ha seguito docilmente la linea del rigore tedesca ed ha fatto molta meno opposizione in Consiglio Europeo di quando abbia fatto a suo tempo –addirittura – Renzi.
Pista americana e russa a parte, vi è poi una terza ipotesi sul possibile mandante dell’ affaire del Metropol che sta girando in queste ore a Mosca, molto meno sofisticata e più banale delle precedenti.
E’ una ipotesi che appassiona meno gli analisti ma che risveglia l’italico interesse per il gossip in salsa politica, tanto caro alle nostre cronache.
Essa vorrebbe l’esca del Metropol essere il risultato di una faida tutta interna ai salviniani che operano su Mosca, ovvero tra quanti cercano di accreditarsi come il rappresentante primo e vero del leader leghista al Cremlino.
E’ questa una posizione a cui in molti puntano che oltre ad uno status prestigioso politico, assicura anche di riflesso un grande potere negoziale e di indirizzo delle numerose relazioni tra Italia e Russia, in tutti i campi.
Vista da questa prospettiva, il vero obiettivo iniziale della trappola della intercettazione sarebbe non tanto Salvini, quanto lo stesso Savoini – che, risvolti penali a parte, vede oramai compromesso il suo ruolo futuro di ambasciatore leghista a Mosca – a tutto vantaggio di quanti ancora puntano all’ambito ruolo.
Quale delle ipotesi riportate qui sopra è quella vera?
O forse, come nei migliori spy movie di serie B – sono un po’ vere tutte e tre?
Come dici tu, Maestro Dagonov, ah saperlo…
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