(Marcello Veneziani) –
Eccolo, il Grande Fratello, il Mega Conduttore dello schermo televisivo, che gestisce un programma no stop a reti unificate, dove si ripete sempre lo stesso Copione, si attacca sempre lo stesso Nemico, si recita lo stesso Precetto, politicamente corretto. Il Conduttore Unico ha la voce di Fabio Fazio, le labbra di Lilli Gruber, il sorriso prestampato di Giovanni Floris, lo sguardo di Lucia Annunziata, la barbetta di Zoro, gli occhialini di Corrado Formigli, i riccioli ormai canuti di Enrico Mentana… È un Macro-Conduttore, una specie di Intervistatore Collettivo che pascola lo stesso gregge di opinionisti, più qualche pecora nera per dare una parvenza di pluralismo. Il Bersaglio convergente della compagnia di giro è Matteo Salvini, ubicato in Casa Pound; il percorso è sempre lo stesso, ossessivo, monotono fino alla nausea e si avvale del medesimo repertorio retorico, ideologico, emozionale che passa per l’accoglienza, i rom e i migranti, l’antifascismo, l’antirazzismo, l’antisovranismo, l’antifamiglia, e l’intimidazione finale: altrimenti siamo fuori dall’Europa, ci fanno fallire....
La campagna elettorale per le Europee che si va concludendo è stato il suo ultimo, vistoso campo d’applicazione. I criteri della par condicio sono saltati, la vena totalitaria e monomaniacale del Politicamente Corretto è stata imposta con pochissime diserzioni e qualche benemerito distinguo. Ha suscitato scalpore e controversie anche in casa Rai la chiusura anticipata e poi revocata del programma di Fazio prima del rush finale elettorale. Il programma fazioso è stato l’apoteosi della campagna antiSalvini e proSinistra, con sfregio della libertà plurale e del servizio pubblico, pagato anche da chi non la pensa come lui.
Ma il caso Fazio è solo la punta di un fenomeno molto più vasto e profondo. C’è un Racconto Dominante che viene ogni giorno somministrato dalla Tv. Il Grande Fratello orwelliano si snoda in un talk show fiume che è una staffetta a rullo continuo tra quei programmi e quei tedofori, più quasi tutti i telegiornali della Rai, della Sette, di Sky; più oasi di ristorazione in fiction e docufilm solitamente omogenei al Prodotto Identico Lordo.
E il nemico come risponde? Coi tweet, coi video, con i comizi, i gesti, i selfie. E soprattutto con i flussi spontanei dei sondaggi che lo danno comunque vincente. Guerra impari, asimmetrica. Ma la guerra mediatica in realtà è più radicale e si sta polarizzando intorno a due antagonisti. Da una parte c’è la tv (e i suoi alleati di carta stampata, a partire dai cosiddetti Giornaloni), dall’altra c’è il selvaggio mondo dei social, il far west delle opinioni in libertà. Ovvero quel che i suoi spregiatori reputano il mondo inaffidabile delle fake news, delle dicerie e degli haters, gli odiatori e i diffamatori. A cui si contrappone il mondo televisivo dell’informazione somministrata, a senso unico, a coro variabile e messaggio univoco. Bufale contro opinioni prefabbricate, populismo contro censura, guerriglia di volontari contro esercito regolare e ben pagato. Il Grande Fratello del video contro i Mille Orfanelli dei social. E’ la guerra civile dell’informazione, in Italia e non solo.
Il tema del giorno per chi detiene il potere ideologico, mediatico e politico è come controllare, allineare, conformare la vasta prateria dei social, come filtrare le loro opinioni. E come far passare divieti e censure per il loro contrario, come garanzie di libertà e di rispetto della democrazia. L’alibi, naturalmente, è che sorgono troppe maldicenze incontrollate, troppe notizie false, troppa post-verità e questo non si può certo negare; ma l’intenzione finale è quella di disarmare l’ultima area incontrollabile di dissenso, l’ultimo residuo di sovranità della rete e di autonomia e di libertà degli utenti. Accade così che vi sia un pressing formidabile sui grandi social perché adottino regolamenti, codici etici, comitati di sorveglianza, commissioni di censura, polizie ideologiche, strategie repressive. La più accanita Inquisitrice in casa nostra è Laura Boldrini. Il primo sotto pressione è Zuckenberg, ma non è il solo.
E i primi risultati arrivano. Il dossier di Avaaz, le ventitré pagine di facebook chiuse nei giorni scorsi, con due milioni e quattrocentomila follower, i milioni di account censurati e interdetti. Si comincia dai casi oggettivamente più evidenti ma poi chissà dove si arriva se si applica estensivamente il criterio punitivo verso chi è difforme sui temi “eticamente sensibili”: dalle opinioni considerate reati ai giudizi storici liquidati indistintamente come negazionismo. Nascono osservatori, congregazioni del sant’uffizio e tribunali interni, come la war room di Dublino. E nascono casi inquietanti. Come per esempio quello di Google che istituisce un comitato etico e chiama un ventaglio di esperti e studiosi, quasi tutti di orientamento progressista, liberal o radical. Ma chiama anche il presidente della Heritage Foundation, Kay Coles James, di orientamento conservatore. Le sue opinioni vengono bollate dai suoi detrattori come “scientificamente inesatte e eticamente sbagliate”. James viene accusato di negazionismo perché critica le teorie del cambiamento climatico ed è considerato un nemico dell’umanità perché “combatte l’avanzamento dei diritti di genere”.
Risultato: la sua presenza genera reazioni, veti e dimissioni, fino a che Google rinuncia al comitato etico. L’alternativa era l’epurazione del componente che la pensava diversamente. Un episodio, e un esempio che descrive bene il clima e la tendenza. Eccolo il Big Brother all’opera nei social, gemello omozigote del Grande Fratello del video, che si occupa di allineare i prodotti nella Fabbrica dell’Informazione. E non dovremmo preoccuparci?
Panorama n.21 2019
Nessun commento:
Posta un commento