domenica 12 maggio 2019

Arata rompe il silenzio: «Io e Siri siamo amici, ma non l’ho corrotto»

Arata rompe il silenzio: «Io e Siri siamo amici, ma non l’ho corrotto»

PS: Di Maio sicuro  <<Siri è colpevole">>...al condizionale... <<E se fosse vero il contrario?...>>...!
umberto marabese
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«Quando vedranno i miei telefoni e i computer, ma soprattutto quando esamineranno i miei conti correnti, si renderanno conto che io non ho commesso alcun reato». Paolo Arata, 69 anni, l’imprenditore indagato per corruzione con il sottosegretario leghista Armando Siri, continua negare ogni accusa. Siri è stato costretto a lasciare il governo. Lui, accanto al suo avvocato Gaetano Scalise, ripete che «da questa storia uscirò pulito. Sono accuse che feriscono me, e la mia famiglia».
Lei è già stato interrogato. Crede di aver convinto i magistrati?
«Non so se li ho convinti, ma le cose che ho riferito hanno un sicuro riscontro anche nei messaggi e nelle e-mail».
Che rapporti ha con Armando Siri?...
«Ho sempre avuto un rapporto di stima ed amicizia, e sebbene la nostra frequentazione sia iniziata solo un paio di anni fa, l’ho potuto apprezzare per le sue capacità intellettuali e politiche. Adesso sono veramente costernato per quello che sta subendo senza colpa, mortificato perché è stato ingiustamente rimosso dal governo».
Come vi siete conosciuti?
«Mi sembra mi sia stato presentato in un incontro a Milano prima che lui diventasse senatore. Non ricordo se fossi con mio figlio Federico».
Lo stesso Federico che è stato assunto a Palazzo Chigi dal sottosegretario Giancarlo Giorgetti?
«Non è stato assunto, si tratta di una consulenza ancora in itinere, come hanno ben chiarito fonti di governo. In ogni caso mio figlio è completamente estraneo all’indagine, ha un percorso professionale e di vita del tutto autonomo».
Lei nelle conversazioni intercettate si vantava di poter contare su Siri. Le aveva fornito garanzie?
«Non abbiamo mai avuto interlocuzioni nel corso delle quali si possa parlare di garanzie di alcun tipo».
Ma dall’indagine risulta che lei avrebbe suggerito, a Siri, la proposta di modifica della legge sugli incentivi.
«In realtà tutto l’iter dell’emendamento veniva portato avanti dall’associazione del mini-eolico, il Cpem. E infatti giovedì scorso il presidente dell’associazione ha rivendicato la paternità dell’emendamento e la trasparenza dell’iter intrapreso per la sua approvazione. Peraltro ci tengo a precisare che l’iter è iniziato con il precedente governo nell’autunno del 2017».
Lei parlava di 30 mila euro.
«Non ho mai parlato con il senatore Siri di denaro, e non gli ho mai fatto promesse di alcun tipo».
Lei è socio di Vito Nicastri, non le crea problemi condividere gli affari con un imprenditore accusato di reati di mafia?
«Non sono mai stato socio di Nicastri né condivido affari. Ci tengo a precisare che la nostra frequentazione lavorativa è iniziata a seguito dell’acquisto di una società d’investimento in Sicilia che mi è stata ceduta da un imprenditore di Milano. È un imprenditore che avevo conosciuto attraverso un professionista affermato del settore energetico che è stato mio socio nell’affare».
Quando?
«L’investimento risale al 2015. Per la realizzazione dell’investimento, questa cedente si avvaleva di una struttura tecnica, peraltro all’epoca affermata e qualificata che stava sviluppando il primo grande impianto solare-termodinamico, all’interno della quale operava anche Nicastri».
Quindi ha avuto rapporti con Vito Nicastri?
«Sì, nel 2016 e nel 2017. Ma i nostri rapporti si sono conclusi quando ebbe problemi con la giustizia. Quando venne arrestato per fatti completamente estranei alle mie attività, io mi recai, sollecitato anche dalla società milanese quotata in borsa con la quale volevamo realizzare alcuni impianti di biometano in Sicilia, presso gli uffici della Dia di Trapani insieme a mio figlio Francesco.
Perché?
«Parlai con il comandante perché ero preoccupato di quanto stava avvenendo e dunque decidere se proseguire o meno l’attività del biometano. Dissi anche al colonnello che il figlio di Nicastri stava collaborando con la società come dipendente insieme a mio figlio Francesco. Ricordo che il colonnello ci tranquillizzò, invitandoci a proseguire nell’attività. Solo oggi credo che quanto ci venne riferito dalla Dia potrebbe avere avuto finalità investigative. Ma noi, che non conoscevamo né il territorio né le dinamiche, da quelle parole ci sentimmo rassicurati».
Secondo gli investigatori lei voleva crearsi un alibi.
«Credo che la notizia sia stata fatta trapelare in questi termini, ma è indubbio che la mia condotta sia indice di trasparenza. La mia storia professionale dimostra che sono sempre stato al servizio del Paese, e basta esaminare le mie risorse finanziarie per verificare che quando ho deciso di intraprendere attività imprenditoriali sono state una perdita secca per la mia famiglia. Per questo spero che i magistrati vogliano controllare anche i miei conti correnti, scopriranno che le società sono state finanziate esclusivamente con risorse della mia famiglia, completamente tracciabili».
Ha mai parlato con Siri di Nicastri?
«Assolutamente no, non ce ne sarebbe stato motivo».
È vero che si è speso per far ottenere a Siri un posto nel governo?
«No. Anche perché non ho nella Lega alcun ruolo politico. Mi sono limitato a parlare bene di Siri con le persone che conosco avendone considerazione e stima».
Da tempo lei risulta in contatto con i leghisti, tanto che nel 2017 è stato relatore del convegno della Lega sull’energia. È amico di Salvini?
«Non sono amico di Salvini. L’ho incontrato una sola volta in occasione del convegno al quale ero stato invitato come relatore insieme ad altri sette esperti, proprio per le conoscenze tecniche che ho nel settore energetico e ambientale».
Chi sono i suoi amici all’interno del Carroccio?
«Non ho amici nella Lega».
Nemmeno Giorgetti?
«L’ultima volta che l’ho visto è stato in occasione del famoso convegno del marzo 2017. Ma da quando è a Palazzo Chigi non l’ho mai più visto e sentito».

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