martedì 13 novembre 2018

Maurizio Belpietro: “I colleghi che oggi si indignano dovrebbero vergognarsi”



(dagospia.com) – Maurizio Belpietro per la Verità – 
Sono stato licenziato una prima volta nel 1997 e una seconda nel 2016. Ai miei editori non piaceva che scrivessi contro il potente di turno, consentendo da direttore la pubblicazione di notizie che gli altri giornali non pubblicavano. Nel corso degli anni sono stato più volte escluso da trasmissioni televisive perché le mie domande o le mie riflessioni non erano gradite a qualcuno.
Ciò nonostante non ho mai fatto la vittima e, soprattutto, non ho mai ricevuto alcuna solidarietà non solo da sindacato o dall’Ordine dei giornalisti, ma neppure dai tanti valorosi colleghi che oggi si indignano per le parole dei vari Di Battista o Di Maio.
Premetto: non sono un tifoso pentastellato, anzi, tre quarti delle idee propugnate dai tifosi di Beppe Grillo mi sembrano strampalate. Non mi convince il reddito di cittadinanza, anche se riconosco che qualche cosa per i poveri bisogna pur fare. Non mi piace il decreto dignità, perché temo che blocchi un mercato del lavoro che è già bloccato. Trovo che le obiezioni contro il gasdotto pugliese e la linea ad alta velocità Torino-Lione siano frutto di un pregiudizio ambientalista sciocco....

E, come ho scritto, sono pure contrario alla cancellazione della prescrizione, perché un processo deve avere un inizio e una fine e non rimanere vivo in eterno. Tuttavia, pur non essendo grillino e non condividendo quasi nulla di ciò che piace ai grillini, la polemica sulle frasi contro i giornalisti pronunciate dai 5 stelle mi fa ridere.
Dopo l’assoluzione di Virginia Raggi e le parole violente e volgari di Di Battista e Di Maio, che hanno accusato i giornalisti di essere puttane, alcuni noti colleghi si sono offesi, mentre esponenti del sindacato di categoria addirittura hanno deciso di organizzare per oggi un flash mob, ovvero una manifestazione silenziosa per protestare contro chi, secondo loro, avrebbe infamato i cronisti.
A me non piacciono gli insulti e credo in vita mia di non aver mai dato della puttana o del cornuto a qualcuno. Posso aver contestato anche duramente alcune tesi, ma ho sempre cercato di mantenermi sul filo dell’educazione, peraltro quasi mai ricambiato. Già, perché nella mia carriera di giornalista e direttore mi sono sentito dire di tutto. Nonostante avessi pagato con il licenziamento la mia indipendenza, politici, colleghi e anche persone qualunque mi hanno via via classificato come verme, leccaculo, servo, eccetera eccetera.
Tuttavia, nonostante gli apprezzamenti insultanti, nessuno tra i valenti colleghi che ora si indignano si è mai alzato per pronunciare una parola in difesa della libertà, non dico della mia trascurabile persona, ma della stampa. A causa delle mie idee, certamente discutibili, come quelle di chiunque altro, sono stato trattato come un paria, ossia come una sottospecie di giornalista a cui non riconoscere la dignità di fare questo mestiere.
Ma i colleghi che oggi manifestano turbati, dov’erano quando, pur pubblicando notizie vere, io e altri colleghi venivamo etichettati dalla politica come operai della macchina del fango? Dov’erano questi uomini dalla schiena dritta quando parlavano del sottoscritto e di altri giornalisti come degli appartenenti a una misteriosa e sconosciuta struttura Delta che lavorava per disinformare? Che facevano il sindacato e l’ Ordine dei giornalisti quando Matteo Renzi alla Leopolda compilava la lista di proscrizione dei giornali non graditi al Pd?
Ve lo dico subito: quelli che oggi si indignano quando noi raccontavamo fatti veri come quelli che riguardavano l’ ex capo di An, Gianfranco Fini, davano manforte ai picchiatori che ci menavano. Invece di verificare i fatti per come erano rappresentati, i cari giornalisti indipendenti lavoravano per denigrarci e descriverci come persone losche, animati da fini diversi da quelli incarnati dall’autonominatasi élite del giornalismo.
Oggi, quegli stessi colleghi che ci tenevano a distanza ed evitavano di stringerci la mano quasi che noi, giornalisti di destra, fossimo persone da cui stare alla larga, sono finiti nel mirino dei nuovi potenti, i quali li trattano proprio come loro trattavano noi. I termini sono più o meno gli stessi: pennivendoli, puttane, servi e così via. E ciò ha generato il turbamento di cui vi abbiamo appena dato conto.
Ovviamente non gioiamo di fronte a ciò. Come ho detto, a me non piacciono gli insulti e se fossi nei panni del vicepremier pentastellato o del suo sodale guatemalteco Di Battista misurerei le parole. Tuttavia, non si può non ricordare che ne ha uccisi più la spada che le parole, nel senso che, anche senza insultarli, Renzi ha fatto fuori più giornalisti di quanti al momento ne abbiano fatti secchi i 5 stelle. E però non c’ è stato nessun Mattarella che abbia fatto sentire la propria voce.
Un’ultima considerazione. Poche settimane dopo essere stata scelta dai romani per guidare la Capitale, Virginia Raggi è stata oggetto di una vera e propria campagna giornalistica. Ancora non si era insediata e già i cronisti le stavano addosso come mai erano stati addosso ai vari Rutelli, Veltroni e Marino. Sin dal principio niente le è stato risparmiato: gli adoranti giornalisti che ascoltavano incantati le chiacchiere di Walter Ego Veltroni, all’improvviso si erano trasformati in segugi accaniti.
Ribadisco: non sono grillino e anzi dirò di più, io credo che Virginia Raggi non sia all’altezza di guidare una città complessa e corrotta come Roma. Tuttavia, se lei non è all’altezza, i giornalisti che in questi anni l’hanno attaccata con ogni pretesto rappresentano la bassezza di una professione ridotta a tappetino dei potenti. Indignatevi quanto volete per le frasi di Di Maio e compagni, ma ogni tanto dovreste vergognarvi un po’ anche di voi.---

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