Nell’Iliade la donna era preda e schiava. Poi, nell’Odissea, avviene un ribaltamento: l’eroe diventa l’oggetto del desiderio di una dea.
(di ANTONIO SOCCI – Libero) –
È stato l’anno della guerra dei sessi, almeno a dar retta ai media. Uomini contro donne e viceversa: un tema che sta già nei codici genetici dell’Occidente, per esempio nei poemi omerici.
La guerra di Troia comincia perché la bella Elena, moglie del re di Sparta, Menelao, viene rapita del principe troiano Paride. Da lì si scatena il finimondo.
La poveretta è innocente accade tutto per le trame degli dèi – ma si trova sballottata da un marito-padrone all’altro e poi pure colpevolizzata per i tanti morti della criminale imbecillità maschile. Così Euripide le fa dire: «Io, che pure tanto ho sofferto, sono maledetta,/ ritenuta da tutti traditrice di mio marito/ e rea d’aver acceso una guerra tremenda per la Grecia».
Che a quel tempo la sorte della donna fosse quella della preda, del bottino di guerra, per bestiali appetiti maschili, è chiaro anche dalla storia iniziale dell’Iliade: l’orribile vicenda di stupro di cui è vittima Criseide, schiava sessuale del bestione Agamennone che maltratta suo padre Crise, andato a riprenderla e così fa infuriare Apollo di cui Crise era sacerdote...