mercoledì 29 novembre 2017

Idee per PdMinniti: Come Netanyahu libera Israele degli immigrati neri

Qualche giorno fa un giornale italiano, di quelli “di destra”,  invitava Minniti ad adottare il metodo  Netanyahu per liberarsi de migranti, profughi o clandestini africani.   Sarei curioso di vedere se i media, i nostri partiti e l’Europa  – che dico? L’ONU  –  manterrebbero   il rispettoso silenzio che  tributano ai metodi israeliani.  Ne ha parlato Haaretz in un’inchiesta.
Si tenga presente che  gli africani che arrivano in  Sion sono soprattutto eritrei che fuggono dalla loro dittatura,  a  cui la Germania concede asilo politico nell’81 per cento dei casi, e da il permesso di soggiorno nel 99%.
Invece:
Preliminarmente, Israele si è dotata di una legge che permette di detenere indefinitamente i clandestini senza documenti  – spesso rastrellati  in vere  e proprie retate, mentre fanno qualche tipo di lavoretto clandestino,  per esempio gli uomini di fatica negli alberghi.  Dopotutto, è  il metodo di detenzione amministrativa (ossia senza accusa e senza processo) che usano contro centinaia di palestinesi.
Secondo, Sion ha risolto il problema di rimandare questi disgraziati in Africa: non al  loro paese, ma in Ruanda e Uganda.  Netanyahu ha stretto un accordo con questi due paesi: i quali  hanno accettato di “accogliere” , dietro pagamento  – da parte di Israele –  di 5 mila dollari a profugo.    Gli eritrei beccati e detenuti lo fanno – come dubitarne? – su base volontaria, mica costretti. Semplicemente,  i  commissari ebraici addetti alla lotta contro l’immigrazione clandestina  pongono ciascun prigionieri  davanti al dilemma: o restare  qui  nel centro di detenzione per sempre (ce n’è uno enorme nel deserto del Negev a Holot) a godere della generosa ospitalità carceraria talmudica, o  spiccare il volo per il Ruanda, dove (viene loro promesso) avranno un permesso di soggiorno e di lavoro....

Così li soccorrono in Israele.
Si tratta, racconta il giornalista Lior Birger di Haaretz  che ha condotto una approfondita inchiesta sul destino di  espulsi, di  africani  che vivono in Israele da anni; solo che, una volta presi nelle retate e incarcerati, accettano “volontariamente” la proposta.   Sembra che  a chi accetta, Israele dia una buonuscita di 3500 dollari. Che verranno spesi come poi si saprà.
“Appena arrivano all’aeroporto di Kigali in Ruanda”, racconta Birger, “gli espulsi si vedono confiscare la sola documentazione   di cui dispongono, il lasciapassare che gli israeliani hanno consegnato loro all’imbarco.  Li rinchiudono in certe camere d’albergo, poi li si informa che devono lasciare il paese al più presto.  I ruandesi li affidano a trafficanti che, dietro pagamento di centinaia  (talora migliaia)   di dollari li trasferiscono in Uganda, poi li contrabbandano nel Sud Sudan, da lì in Sudan, e  di là in Libia, dove- promettono- potranno tentare di raggiungere l’Europa”.
Alcuni dei negri che la CNN ha scoperto vendere in aste di schiavi in  Tripolitania, e per il quale l’Alto Commissario per i diritti umani dell’Onu, Zeid Raad Al Hussein ha accusato l’Italia di aver fatto un patto “disumano” con  i libici, vengono da queste espulsioni “concordate” con Sion,che nessuno rimprovera di “disumanità”:
Eppure, dice Birger, il giornalista che ha rintracciato e interrogato decine di questi espulsi.  “secondo le decine di testimonianze che abbiamo raccolto tra i sopravvissuti, ritengo che centinaia di questi profughi sono morti per i maltrattamenti subiti in Libia e annegati nel Mediterraneo”.
Fra quelli di cui Birger ha raccolto le storie, c’è un Dawit (non il suo vero nome) che ha rintracciato a Berlino. Ha vissuto 5 anni a Tel Aviv, lavorando in un ristorante. A sentir lui, è  stato  proprio mentre si recava al commissariato per rinnovare   il permesso di soggiorno provvisorio  che è stato preso, ed immediatamente spedito nel centro di detenzione di Holot, nel Negev; qui è stato messo sotto pressione,  dice, gli hanno dato la scelta fra restare in quel campo per anni, o partire per il Ruanda.  Dawit ha ceduto ed è partito: con la giovane moglie, incinta al secondo mese.  E’ accaduto due anni fa.  Sono riusciti ad arrivare fino in Libia. Qui i trafficanti hanno messo Dawit su una imbarcazione, e sua moglie in un’altra; questa ha fatto presto naufrago, con centinaia di disgraziati a bordo. Non ha più visto sua moglie.
Tesfay vive adesso in una cittadina tedesca.   Anche lui ha  abitato in Israele  per anni, faceva le pulizie e l’uomo di fatica  nella zona turistica di Eilat.  Espulso da  Sion nel dicembre 2015, ha la stessa storia da raccontare. “Abbiamo lasciato la Libia alle 4 del mattino su un grossa imbarcazione; due ore dopo, il motore ha cessato di funzionare … su 500 che eravamo a bordo, ci siamo salvati in un centinaio. Su quella barca, quelli provenienti da Israele eravamo in dieci; tre siamo sopravvissuti”.
Secondo un servizio di Al Jazeera del gennaio scorso, dopo che Israele ha alzato i 600 chilometri di recinzione fra  la sua terra e l’Egitto,   l’arrivo di clandestini è ridotto praticamente a zero.  I richiedenti asilo in Israele sono 45 mila.  Netanyahu li ha chiamati “infiltrati” che possono mettere in pericolo, demograficamente, l ‘identità di Israele come Stato  ebraico.
Il ministro Minniti potrebbe provare ad  usare lo  stesso argomento in sede UE o all’ONU  – “L’afflusso di africani infiltrati  mette in pericolo l’identità italica” – e vedere l’effetto che fa.
Israele ha dovuto escogitare l’accordo e il pagamento con Ruanda e Uganda, per  aggirare il diritto internazionale, che vieta  l’espulsione dei richiedenti asilo verso il paese d’origine dove sarebbero perseguitati.  Ma ha riconosciuto  solo lo 0,15 % delle domande d’asilo. E fornisce gli altri solo di un permesso temporaneo, da rinnovare ogni pochi mesi, che non dà alcun  accesso a sanità, istruzione o previdenze sociali (cui avrebbero diritto perle norme internazionali).  Ogni tanto vengono presi in retate ed incarcerati ad Holot, dove possono restare senza processo  per mesi. “I richiedenti asilo e gli attivisti israeliani  – ha spiegato i il servizio di Al Jazeera  –   dicono che questo trattamento è stato progettato per rompere gli spiriti dei richiedenti asilo e fare pressione per essere “volontariamente” deportati in paesi come l’Uganda e il Ruanda”.
In ogni caso, la faccenda ha un certo costo  per lo Stato  ebraico: 5 mila a testa per il Ruanda, 3500  ad ogni espulso, l’aereo … Ma sarebbe superfluo chiedersi chi paga il conto.

Hollywood dona 53 milioni a Tsahal

Proprio il 2  novembre scorso s’è tenuta a Los Angeles il Gala degli Amici delle Israel Defense Forces, ossia dei sostenitori americani dell’esercito israeliano  – un evento che  ogni anno riunisce la crema di Hollywood e di Sylicon Valley.  Organizzato dal miliardario Haim Saban, il gala ha visto quest’anno  1200   invitati al Beverly Hilton Hotel che, incitati dagli attori presenti, Gerard Butler, David Foster Melissa Rivers e Arnold Schwarzenegger,hanno messo mano al portafoglio, in una vera e propria gara di generosità: 53,8 milioni di dollari raccolti, un record di cui Haim Saban si è rallegrato: “Mostra la   grande e nobile missione degli amici dell’esercito di difesa israeliano di fornire agli eroi dello IDF programmi educativi e previdenziali”.  Il gala, che si tiene da 11 anni, raccoglie di solito, per gli eroi,  sui 33 milioni di dollari l’anno.  Quest’anno la cifra-record è stata raggiunta dalla donazione di Larry Ellison, co-fondatore e presidente di Oracle, che da solo, fra gli applausi,  ha versato per gli eroi 16,6 milioni di dollari: andranno ad allestire con tutte le comodità un nuovo campo di addestramento  per le unità di  fanteria mista.

Soros dona a se stesso 18 miliardi

Naturalmente a  Tsahal è mancata la donazione di Georges Soros:  quella radunata al gala di BeverlyHill è la “destra” ebraica guerrafondaia e adoratrice di Netanyahu, mentre Soros è “di sinistra”, detesta Netanyahu e ne è detestato, invece  di eserciti vuole diffondere i principi della democrazia nell’Europa orientale, anzi più precisamente della “società aperta”: ondate di immigrati neri, limitazione delle nascite,  aborto, diritti LGBTQ….. A questo scopo ha fondato la sua “charity”, la Open Society.   A questa il magnate, 89 anni,ha donato 18 miliardi di dollari ad ottobre,  evidentemente destiando ai nobili scopi progressisti che promuove i profitti del suo Soros Fund Management, che vale 26 miliardi.
Persino il Wall Street Journal, ed è tutto dire,  ha criticato questa donazione così generosa, spiegando che Soros ha così eluso  le tasse sui profitti.  Per legge, quando un ricco dona ad una Fondazione “senza scopo di lucro” o “caritativa”, azioni e obbligazioni, può detrarre fino al 20% del loro  valore di mercato dalla sua tassazione personale, e  continuare la deduzione per cinque anni.  Di fatto, dopo questa manovra, Soros non deve nulla al fisco americano. Zero.
“E  forse la più grande elusione fiscale nella storia degli Usa”, ha scritto  il Wall Street Journal, “e nessuno a destra od a sinistra ha alzato un sopracciglio”. Eppure il giornale della finanza dovrebbe saperlo. Non a caso gli  Stati Uniti sono strapieni di prestigiose Fondazioni, che si chiamano Fondazione Rockefeller, Fondazione Ford, Bill & Melinda Gates Foundation, Bloomberg Philantropies, Council  on Foreign Relations, eccetera: le grandi  famiglie miliardarie invece che al fisco danno parte dei loro profitti a questi entit privati – che pagano e stipendiano i più brillanti studiosi,  non a caso li chiamano “Think Taks”, serbatoi di pensiero. A quale scopo? Diffondere il verbo e suggerire al governo della superpotenza i programmi politici che appunto, i donatori desiderano.
“Soros, come Bloomberg, hanno fatto delle loro fondazioni delle massicce operazioni di lobbiyng per promuovere le loro cause di sinistra presso i governi”, lamenta il Wall Street Journal, aggiungendo  che la famiglia del grande donatore, di quei 18 miliardi, continua ad avere di fatto il  controllo e la proprietà, anche  per decenni, anche perché   la fondazione “può assumere un membro della famiglia con stipendio a sei cifre per “amministrare” la fondazione stessa, il cordone ombelicale non è mai tagliato”.  E’ così,  conclude il giornale, che “mentre  l’1 per cento al  vertice  paga un’aliquota fiscale del 23%  sui propri redditi, lo 0,001% paga   solo il 18”.  E’ il bello delle plutocrazie: la  tassa sulle persone fisiche regressiva. Più  sei povero, più sei tassato.
Mark Zuckerberg ha annunciato che darà il 99 per cento dei suoi profitti, che fa con Facebook, alla fondazione di famiglia.

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