mercoledì 15 marzo 2017

L'ambasciatore USA a Roma John Phillips: «Di questo passo, l’economia italiana non tornerà ai livelli pre crisi almeno fino al 2025».


Il dispaccio segreto dell’ambasciata Usa: “L’Italia si riprenderà solo nel 2025”

Un crudo report a Washington prima dell’ultima visita di Renzi di ottobre: “La riforma costituzionale sbloccherà piani importanti, banche vulnerabili”.
INVIATO A NEW YORK
Fa tremare i polsi, la previsione dell’ambasciatore americano a Roma John Phillips: «Di questo passo, l’economia italiana non tornerà ai livelli pre crisi almeno fino al 2025». Dieci anni di vacche magre, che «allargheranno ulteriormente il gap tra il Paese e i suoi pari europei meglio performanti». Un giudizio che impressiona per la sua gravità, mentre l’Italia si divide in scontri e diatribe fuori dal tempo, e per la sua vicinanza, dato che sta in un rapporto scritto appena sei mesi fa. 

È il 4 ottobre del 2016, quando Phillips invia al segretario di Stato John Kerry questo cable classificato Secret, che La Stampa ha ottenuto nel rispetto delle leggi americane. S’intitola «Italy: Scenesetter for the Official Visit of PM Matteo Renzi, October 18», e serve a preparare la Casa Bianca per la visita del premier, e l’ultima cena di Stato offerta da Obama. L’Europa traballa sotto il peso della Brexit e dell’ondata populista, l’America va verso la sorprendente elezione di Donald Trump, e l’Italia si prepara a votare nel referendum costituzionale. L’appoggio di Washington per Renzi è netto, perché lo vede come una delle poche ancore di stabilità rimaste, e sul referendum va oltre la politica: «Se approvata, la riforma costituzionale restituirebbe anche all’esecutivo la competenza esclusiva per le grandi infrastrutture, l’energia e altri progetti di sviluppo di interesse nazionale. Sotto il sistema attuale - spiega Phillips - il governo centrale e quelli locali condividono “competenze concorrenti”....
La derivante sovrapposizione burocratica dà a ciascuna autorità locale un potere di veto de facto, che risulta in costi elevati e imprevedibili, e frequenti ritardi per i grandi progetti. Ciò complica i tentativi dell’Italia di attirare investimenti stranieri e aggiornare la rete delle infrastrutture». Dunque Washington appoggia il referendum anche per ragioni economiche molto concrete: «Questa riforma dovrebbe sbloccare progetti critici che l’opposizione regionale ha ritardato per anni, come la Trans Adriatic Pipeline e la diffusione nazionale dell’high speed broadband (la banda larga, ndr)».  

Il paragrafo intitolato «Economy Slowly Recovering from Recession» spiega nel dettaglio le preoccupazioni degli americani: «L’Italia è emersa da tre anni di recessione nel primo trimestre del 2015, ma il Pil rimane oltre nove punti sotto il suo picco pre crisi, e resta ben al di sotto della media europea. Il 27 settembre il governo ha abbassato l’obiettivo di crescita, a causa del significativo apprezzamento dell’euro, la continua assenza di inflazione e l’incertezza globale seguita alla Brexit. Come lascito della crisi finanziaria, Roma ha aumentato il debito pubblico a 2,1 trilioni di euro, cioè il 132% del Pil, un livello secondo solo alla Grecia». Phillips chiarisce anche il motivo concreto della preoccupazione: «La capacità fiscale dell’Italia resterà severamente limitata per decenni, incluse nuove spese per la difesa». Quindi segue la raggelante previsione sull’economia, che non si riprenderà almeno fino al 2025. 

Phillips nota che Roma è una forte sostenitrice della Transatlantic Trade and Investment Partnership, cioè l’accordo per i liberi commerci tra Usa e Ue che Obama sostiene. L’America è il suo primo mercato fuori dall’Europa, e quello che cresce più velocemente: «Le esportazioni chiave verso gli Usa sono le auto, come la Jeep Renegade e la Fiat 500, i prodotti farmaceutici e i macchinari industriali». Purtroppo, però, «l’Italia è solo all’ottavo posto nell’Eurozona come destinazione degli investimenti diretti americani, nonostante compagnie come Amazon, Apple, Ge, Cisco e Ibm abbiano annunciato operazioni di grande profilo nel 2016. Il clima degli investimenti è difficile per la burocrazia ingombrante e un sistema sclerotico della giustizia civile. Renzi ha fatto progressi nell’attuare riforme strutturali e misure per stimolare la crescita, ma l’applicazione è a macchia e molto resta ancora da fare».  

L’ambasciatore sottolinea che «la Brexit ha provocato uno shock nei mercati finanziari e nel settore bancario italiano». Secondo Phillips «le banche sono particolarmente vulnerabili agli shock esterni, perché i loro bilanci sono appesantiti da prestiti non performanti che costituiscono il 17% del totale». Per fortuna «non ci sono segni di una corsa agli sportelli o crisi di liquidità. Il sistema bancario rimane solido e, con l’eccezione del Monte dei Paschi di Siena, ha fatto meglio di quanto ci si aspettasse negli “stress test” europei». La prospettiva, però, resta incerta: «Ci vorranno anni, e un solido ritorno alla crescita, affinché le banche italiane si ottimizzino». 

Con queste premesse, il 18 ottobre Renzi viene ricevuto alla Casa Bianca. Poco dopo Trump vince le presidenziali, il referendum costituzionale viene bocciato e il premier si dimette, nonostante Barack gli chieda di rimanere. I problemi però restano gli stessi, perché tutti gli ambasciatori americani degli ultimi venti anni, Sembler e Spogli inviati da Bush, Thorne e Phillips da Obama, hanno condiviso queste riflessioni bipartisan. Probabilmente le ripeterà anche Lew Eisenberg, il finanziere scelto da Trump per Via Veneto, ma intanto l’Italia si divide su altro.--------- 

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