domenica 13 marzo 2016

Pier Luigi Battista - Pd, c’eravamo tanto odiati: la scissione tra dinosauri e usurpatore

Oggi la minoranza si mette sulla riva del fiume e aspetta che il segretario anneghi prima di averla del tutto «asfaltata». Solo lo sfascio a destra salva dall’autodistruzione




 Nel Partito democratico sembra svanito ogni residuo di sentire comune. Si detestano, si vogliono male, non credono più in un destino condiviso. Matteo Renzi, nel commentare l’intervista di Massimo D’Alema a Aldo Cazzullo per il Corriere in cui si profilava l’ombra di una scissione, riesuma la categoria dell’«odio» politico come chiave per decifrare l’aggressività dalemiana. Il conflitto tra linee politiche, che pure dovrebbe modellare i rapporti anche tempestosi tra componenti dello stesso partito, diventa inconciliabilità comportamentale, addirittura incompatibilità psicologica: «gufi» contro «arroganti».

Una scissione emotiva silenziosa
Persino nei partiti italiani più devastati dal morbo correntizio non si era mai sperimentato, come affiora in ogni dichiarazione degli esponenti della minoranza Pd, il desiderio potentissimo di una sonora sconfitta elettorale del proprio simbolo. Una scissione emotiva silenziosa, che prelude alla speranza di una botta nelle urne come antefatto per la cacciata del segretario vissuto come un «usurpatore». E del resto, non si ricorda un segretario di un partito che prevede una democrazia interna di anime diverse, dunque non monolitico e autoritario come fu per esempio il Pci, rivendicare ripetutamente di aver «asfaltato» la minoranza interna.......


Il centrodestra è in una condizione di agonia
Se per il Pd le conseguenze di questo auto-cannibalismo non saranno catastrofiche è solo perché l’antagonista di sempre, il centrodestra, è in una condizione di agonia, comunque di dissoluzione. Ma come avviene nei matrimoni che si sfasciano, le colpe di un tale avvitamento nell’odio reciproco sono ben distribuite nella coppia. Renzi e il suo cerchio magico non mancano occasione per umiliare gli oppositori interni, bollati come una banda di stagionati conservatori immersi nel vecchiume di una sinistra condannata perennemente alla sconfitta, chiamati a chinare il capo e a non ostacolare l’azione del capo decisionista.
Errori marchiani, come a Napoli con il rifiuto del ricorso di Bassolino
In questo clima di continua battaglia per «asfaltare» la minoranza, a volte commettono errori marchiani, come è avvenuto a Napoli quando hanno deciso di non accogliere con futili pretesti formali il ricorso di Bassolino sulla regolarità di primarie macchiate dalle scene che si sono viste nei filmati. A volte peccano di presunzione, come è accaduto in Liguria con la scelta di un candidato, pur legittimato da primarie peraltro altrettanto contestate, che ha fatto infuriare la sinistra interna fino alla vittoria dell’avversario di centrodestra. Ma sempre con l’intenzione, visibile ad occhio nudo, di liberarsi una volta per tutte di questa molesta minoranza di dinosauri, anche con l’ausilio parlamentare di truppe straniere come i «verdiniani».
La minoranza si mette sulla riva del fiume
I dinosauri della minoranza, peraltro, conducono la loro battaglia appellandosi di continuo al loro potere di veto e di interdizione, salvo allinearsi con il segretario Renzi nei voti parlamentari decisivi: come è accaduto al Senato, dove la riforma costituzionale è stata votata dopo aver tuonato per mesi sulla sua inammissibile e pericolosa connotazione autoritaria. Oggi la minoranza si mette sulla riva del fiume e aspetta che il segretario anneghi prima di averla definitivamente «asfaltata».
La difficoltà a costruire qualcosa a sinistra del Pd
Non rompe, come pure si è azzardato a dire Massimo D’Alema, perché sa che fuori del Pd non potrebbe raggiungere un consenso elettorale significativo. Sa che fuori del perimetro piddino troverebbe rissosità, confusione, personalismi, rendite di posizione, microapparati in perenne guerra tra loro. Nessuno, oltre ai parenti più stretti e agli osservatori più maniacalmente attaccati alle minuzie della vita politica, potrebbe riuscire a capire perché i Fassina, i Civati, i Cofferati, i D’Attorre, quelli che sono usciti dal Pd rifiutando di restare aggrappati alla «ditta» come vuole Pier Luigi Bersani, non si siano finora messi insieme per costruire qualcosa a sinistra del Pd che sia minimamente credibile.
La paura delle deriva frena la minoranza dalla rottura
Ed è per la paura di questa deriva che la minoranza che ancora ha deciso di stare dentro e di non rompere secondo la linea dettata da D’Alema, preferisce acquattarsi nella speranza di uno scivolone dell’«usurpatore», a Roma e a Napoli in primis. Un partito che scommette contro se stesso rischia molto. E anche un leader che deve vincere per sconfiggere la minoranza interna rischia di correre una partita anomala. I separati in casa rischiano di odiarsi troppo, con il pericolo di una rovina che potrebbe seppellirli. Solo grazie alla debolezza dell’avversario possono evitare derive catastrofiche. Ma per quanto?
12 marzo 2016 (modifica il 13 marzo 2016------------------------

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