mercoledì 30 marzo 2016

Libia, l’Occidente piazza il suo premier a Tripoli La mossa per accelerare sull’intervento militare

Libia, l’Occidente piazza il suo premier Al Serraj a Tripoli: la mossa per accelerare sull’intervento militare

 Il premier designato del governo di unità nazionale - che non è riconosciuto né da Tobruk né da Tripoli - è giunto "dal mare", attraccando alla base navale di Abusetta (Abu Sittah), che sarà il quartier generale temporaneo. Una forzatura voluta dalle Nazioni Unite: ora "è urgente un pacifico e ordinato passaggio dei poteri", ha detto l’inviato speciale dell’Onu, Martin Kobler. Ma le premesse sembrano non esserci: più volte negli ultimi giorni le autorità islamiste tripoline hanno respinto l’insediamento, minacciando una "lunga guerra".
Fayez Al Serraj, premier designato del governo di unità nazionale voluto dalle Nazioni Unite, è giunto a Tripoli. Ancora non ha ottenuto la fiducia dal parlamento di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, né tantomeno è riconosciuto dagli islamisti che controllano l’ex capitale e che nei giorni scorsi avevano minacciato una reazione armata nel caso in cui Al Serraj fosse effettivamente giunto a Tripoli. Diversi media libici riferiscono che alcuni componenti del consiglio presidenziale sono giunti “dal mare“, attraccando alla base navale di Abusetta (Abu Sittah). Il governo di unità libico “userà la base navale” dove è arrivato da Tunisi “come quartier generale temporaneo in attesa che sia garantita la sicurezza in un’altra sede a Tripoli“....

Una forzatura voluta dalle Nazioni Unite per accelerare il processo di formazione di un esecutivo che possa fare da interlocutore con i governi occidentali e chiedere un intervento militare della comunità internazionale, i cui membri potrebbero intervenire in base alla risoluzione 2259 delle Nazioni Unite adottata il 23 dicembre 2015. “Sosteniamo con forza i responsabili” del consiglio presidenziale libico arrivato a Tripoli, ha detto l’inviato speciale dell’Onu, Martin Kobler, ed è “pronta ad assicurare il necessario sostegno e assistenza”. Ora “è urgente un pacifico e ordinato passaggio dei poteri“. Ma le premesse perché la transizione sia pacifica e ordinata sembrano non esserci.
Il 27 marzo le principali milizie libiche avevano respinto l’insediamento, esortando la popolazione a opporsi a “un governo designato dalle Nazioni Unite”. In un comunicato diffuso nella capitale, i capi militari avevano definito questo esecutivo “illegale” e hanno avvertito che il suo eventuale insediamento a Tripoli trascinerebbe la città “in un conflitto armato permanente“.
La notizia è stata accolta con favore dalla comunità internazionale. “E’ un altro passo avanti per la stabilizzazione della Libia – ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni – sulla base della determinazione del premier Serraj e del Consiglio presidenziale sono ora possibili nuovi progressi per il popolo libico. L’Italia è stata sempre in prima linea con numerose iniziative diplomatiche per l’obiettivo della stabilizzazione della Libia”.
Dodici giorni di annunci e minacce – Al Serraj aveva annunciato l’intenzione di insediare l’esecutivo a Tripoli il 18 marzo. L’operazione sarebbe avvenuta “entro pochi giorni”, aveva annunciato il premier designato in un’intervista a Libya Tv, emittente basata in Giordania, precisando che un piano di sicurezza è stato concordato con la polizia e alcune milizie che agiscono nella capitale libica, senza precisare quali. Il primo ministro aveva rivelato alcuni dettagli dell’intesa, spiegando che le milizie resteranno confinate nelle loro basi finché non si sarà stabilito come i loro membri saranno riassorbiti nella polizia, nell’esercito o aiutati nel loro reinserimento nella società.

Le principali milizie libiche avevano immediatamente respinto l’insediamento. “Faremo una lunga guerra contro chiunque tenterà di far entrare il governo di unità nazionale a Tripoli”, aveva minacciato poche ore dopo un gruppo libico vicino a Fajr Libya, la coalizione al potere a Tripoli, “i comandanti fondatori della cellula di crisi dei rivoluzionari della Libia”, aggiungendo che il gruppo ha promesso di annientare chiunque proverà a proteggere il Consiglio presidenziale del governo di intesa nazionale, definito un “gruppo di traditori“.
Lo stesso giorno un video diffuso in rete da ‘Wilayat Barqa‘, ovvero la ‘Provincia della Cirenaica’, branca libica dell’Isis, minacciava: “La nostra guerra (contro il governo di Concordia, ndr) è la stessa guerra contro i governi che l’hanno preceduto”, scandiva un miliziano del Califfato a volto coperto – questo governo apostata non vivrà in sicurezza, ma (il suo insediamento, ndr) sarà occasione per incendiare il terreno sotto i piedi degli apostati e i loro padroni”, ha minacciato il jihadista con il volto coperto, paventando lo spettro di “un nuovo Iraq” in Libia nel caso in cui ci fosse un “intervento dei crociati” per sostenere Al Serraj.
Il giorno successivo, il 19 marzo, Al Serraj riceveva tuttavia l’endorsement della potente fazione di Misurata, architrave della coalizione Fajr Libia con 280 milizie, che in un testo diffuso dal Consiglio municipale, dichiarava il proprio “appoggio totale” al governo di unità nazionale. L’accordo politico alla base del governo, si legge, “è il miglior quadro” in cui “mettere fine alle crisi” della Libia. La municipalità inoltre lanciava “un appello ai tutti i libici” a “sostenere il governo”. Un cambio di rotta molto importante: Misurata ha giocato un ruolo fondamentale nella rivoluzione libica e nella permanenza al potere del governo filo-islamico. Pur non omogenei, i suoi circa 40 mila uomini rendono Misurata la città libica militarmente più potente del Paese.
Ma Tripoli non cambiava idea e il 24 marzo con un comunicato “pubblicato dalla sede del governo”, “milizie armate” annunciavano la formazione di una “Camera operativa per impedire l’accesso di qualsiasi governo illegittimo a Tripoli”, riferiva il sito dell’emittente Libyàs Channel. “Respingiamo gli sforzi finalizzati a dare il permesso al governo di mettere piede a Tripoli senza consenso”, si afferma ancora nella dichiarazione in cui si chiede “alla comunità internazionale di aiutare le parti libiche a creare un vero governo di accordo” nazionale.
Il 25 marzo il governo islamico dichiarava addirittura lo stato d’emergenza e annunciava di aver incaricato Ministero della Difesa, milizie e apparato di sicurezza di “aumentare le pattuglie i e posti di blocco”......

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