lunedì 30 settembre 2013

Dal blog di "Beppe Grillo": Passaparola - In fuga dal senato. di Dario Fo

FONTE:
http://www.beppegrillo.it/2013/09/passaparola_in_1.html 

Franca, la donna con la quale ho trascorso quasi tutta la mia vita e che da qualche mese mi ha lasciato, ha detto e ripetuto, nei suoi scritti e negli interventi sia in teatro che in dibattiti pubblici, che noi stiamo vivendo in una società il cui programma fondamentale è: disinformare. Cioè attraverso la gran parte degli interventi televisivi, radiofonici, giornalistici, arrivare a ubriacare un pubblico a forza di fandonie e notizie scandalistiche ad effetto per giungere a ipnotizzare la gente dentro una caterva di interventi banali, vuoti di ogni valore culturale e soprattutto manipolati, cioè falsi.
Perciò Franca ha voluto lasciare soprattutto ai giovani e in particolare alle donne questo scritto, frutto di un’esperienza che parte dalla sua giovinezza, dalle lotte sociali, gli interventi contro lo sfruttamento del lavoro spesso mafioso, contro le guerre di conquista camuffate da battaglie per la pace ma tempestate di cadaveri... Fino alla sua ultima esperienza, quella in Senato, e alle sue sofferte dimissioni. Dario Fo
Il Passaparola di Dario Fo.
Un benvenuto a tutti quanti. Sono qui per presentarvi un libro scritto da Franca, la donna con la quale ho trascorso quasi tutta la mia vita e che da qualche mese mi ha lasciato. Ci ha lasciato, figli, nipoti, amici... tanti amici, e in tutti noi che le volevamo bene, e siamo in tanti, ha lasciato un gran vuoto, davvero incolmabile. Ma prima di lasciarci, Franca ci ha regalato una memoria di sé, una specie di diario, a mio avviso e anche a giudizio di quanti l’hanno letto in questi giorni, molto bello, soprattutto importante. Perché importante? Perché oltre all’ironia e al sarcasmo verso molti personaggi innominabili della nostra storia più o meno recente, ci dà informazioni spesso inedite ed essenziali per capire in che folle mondo stiamo vivendo specie qui nel nostro paese: l’Italia......

Ma Franca, attenti, con questo libro di denuncia non ha voluto far scandalo, ha voluto informare... Lei ha detto e ripetuto, nei suoi scritti e negli interventi sia in teatro che in dibattiti pubblici, che noi stiamo vivendo in una società il cui programma fondamentale è: disinformare. Cioè attraverso la gran parte degli interventi televisivi, radiofonici, giornalistici, arrivare a ubriacare un pubblico a forza di fandonie e notizie scandalistiche ad effetto per giungere a ipnotizzare la gente dentro una caterva di interventi banali, vuoti di ogni valore culturale e soprattutto manipolati, cioè falsi.
Perciò Franca ha voluto lasciare soprattutto ai giovani e in particolare alle donne questo scritto, frutto di un’esperienza che parte dalla sua giovinezza, dalle lotte sociali, gli interventi contro lo sfruttamento del lavoro spesso mafioso, contro le guerre di conquista camuffate da battaglie per la pace ma tempestate di cadaveri... Fino alla sua ultima esperienza, quella in Senato, e alle sue sofferte dimissioni.
Sia chiaro, Franca non ha accettato d’entrare in Senato per provare qualcosa di diverso, gratificante, e soprattutto non ha pensato di guadagnarsi l’accesso grazie alla designazione di un leader padrone di un partito che sceglie i degni di tanto onore e stipendio secondo quello che gli garba... “Tu mi stai simpatico, hai una bell’aria di servitore di fede, voglio dire fedele e compiacente... vai, ti faccio onorevole! E anche te bella figliola... tu da che schieramento politico vieni? Come? Li hai passati tutti? Simpatica... accomodati sulla tua poltrona... e tu...? Sei pulito? Intendo giuridicamente... hai condanne per furto, truffa, affari loschi... Molte? Beh, vedremo di rimediare..Io so come si fa. accomodati...” “Vengo anch’io” “No, tu no... mi stai antipatico, tirati più in là...” “Perché?” “Perché così mi va!... Un momento, chi è quella bella ragazza che è con te.... La tua figliola? Beh, torna qua!”
Stavo dicendo che Franca è arrivata in Senato grazie al voto ottenuto dalla gente: mezzo milione di preferenze ha ricevuto. E soprattutto ha accettato l’incarico convinta di poter essere utile a quella stragrande popolazione che da anni si aspetta leggi non ad personam ma per tutti, specie per i non abbienti, spesso privi di ogni tutela... per riuscire a far rispettare il diritto ad un lavoro dove le morti bianche siano finalmente cancellate... il conflitto d’interesse, l’accoglienza civile degli emigranti..
A proposito, mi dimenticavo di dirvi il titolo di questo suo memoriale, eccovelo: In fuga dal Senato. Sulla copertina del libro ho dipinto un’immagine di Franca che in bicicletta se ne esce da Palazzo Madama, pedalando nell’aria felice.
Bene, a questo punto non mi resta che leggervene un brano in particolare. Per darvi un’idea del taglio narrativo e della violenza drammatica che in molti casi viene prodotta in questi scritti vi offriamo un capitolo: L’uranio impoverito produce leucemia ma i militari ne sono immuni per legge. Eccovelo:
La battaglia che in Senato mi ha maggiormente coinvolta è senz’altro quella a proposito dell’uranio impoverito. Fin dal tempo della guerra nella ex Iugoslavia e in Kosovo i nostri ragazzi arruolati nell’esercito si sono trovati in terre dove sono state compiute violenze indicibili, la più feroce delle quali è stata la pulizia etnica perpetrata dai serbi nei confronti dei bosniaci. Pensiamo alle donne aggredite e violentate perché dessero alla luce figli «bastardi» rifiutati anche dalle loro famiglie di appartenenza.
Nel nostro ufficio al Senato è arrivato a fine settembre 2006 il dottor Domenico Leggiero, ex pilota di guerra e socio fondatore dell’Osservatorio militare, un comitato di studio, ricerca e individuazione delle possibili soluzioni alle problematiche afferenti (scusate il linguaggio un po’ erudito) la tutela e il riconoscimento dei diritti del personale delle forze armate. Egli mi parla delle condizioni attuali delle vittime dell’uranio impoverito, delle loro famiglie, delle sofferenze per la morte di giovani soldati, del silenzio delle istituzioni e dei media. Le parole gli escono di bocca spesso a fatica, è completamente coinvolto in questa terribile vicenda. Mi chiede di attivarmi affinché si instauri velocemente una commissione d’inchiesta su questa sciagura. Quando ci salutiamo ho addosso un senso di impotenza e disperazione. Mi attivo subito perché questa commissione venga creata.
Il presidente del Senato Marini sancirà l’esistenza della commissione a novembre ma, nonostante le richieste, per riunirsi bisognerà aspettare tre mesi. Perché? Ma è risaputo, questo è il decalogo fondamentale per il comportamento in Senato: cioè aspettare, rimandare, dilazionare, attendere tempi migliori all’infinito. Alla prima riunione del 13 febbraio 2007 siamo tutti presenti: 21 senatori. Eleggiamo presidente Lidia Menapace.
Decido di rivolgermi direttamente a lei per porre fine allo strazio delle numerose famiglie delle vittime che, da mesi e mesi, subiscono il grave sopruso del silenzio: giovani spesso in fin di vita dimenticati dalla Commissione difesa, abbandonati economicamente dallo Stato. Qui prendo fiato e alzo il volume della voce per dire: «Bisogna assolutamente iniziare a lavorare sul serio: basta con i rinvii!».
Arriviamo a marzo 2007. È passato quasi un mese e in serata ho avuto la rara possibilità di intervenire a proposito dell’uranio impoverito durante la trasmissione Caterpillar, di Radio2. Il conduttore mi chiede: «Cos’è questo uranio impoverito e da dove viene?».
Rispondo: «È un metallo pesante, radioattivo, ad alta capacità piroforica e con un bassissimo contenuto di plutonio che lo rende perfetto per costruire ordigni bellici. Quel materiale, prelevato ed esaminato dagli americani dopo un’esplosione, ha evidenziato la presenza di un particolato talmente sottile in grado di procurare seri danni a chi, mancando di protezione, lo respira: cancro, leucemie, gravissime patologie e malformazioni nella prole. In poche parole guai a mettere incinta la propria moglie, la propria amante o la fidanzata, si rischia di mettere al mondo dei piccoli malformati».
La trasmissione continua con un altro mio intervento, nel quale ricordo che i Balcani si sono dimostrati un teatro di guerra diverso da quello iracheno, ma altrettanto importante dal punto di vista della «sperimentazione attiva»: si calcola che 30.000 tonnellate di uranio impoverito siano state scaricate sul suolo della ex Repubblica di Iugoslavia. Le truppe americane sono equipaggiate con indumenti particolarmente protettivi. I nostri militari invece se ne vanno in giro per quelle terre indossando magliette leggere, così come leggera è la stoffa dei pantaloni.
Scrive a questo proposito il quotidiano «la Repubblica»:
Siamo in missione di pace! Già, missione di pace, come se ci fosse bisogno dei soldati dove c’è pace. Le leve del grande burattinaio si sono mosse, l’opinione pubblica sa solo ciò che deve sapere, pacifisti o militaristi, americani o antiamericani. Intanto i nostri soldati, che non possono e non devono porsi questi problemi, eseguono gli ordini e vanno a occupare tutte quelle zone lasciate a chi, come al solito, arriva per ultimo. Non potevano più scegliere, gli unici posti liberi erano quelle latrine dentro le quali erano finite 30.000 tonnellate di merda allo stato puro. I nostri soldati si sono schierati lì e da lì, uno alla volta, sono rientrati portando con sé la morte. Eccovi alcuni dei loro nomi: Salvatore Vacca, Andrea Antonaci, Corrado Di Giacobbe, Giuseppe Benetti, Luigi D’Alessio, Fabio Cappellaro, Filippo Pilia e tanti, tanti altri fino ad arrivare a domenica scorsa, quando alle 15.30 del pomeriggio, all’Oncologico di Milano, si spegne la quarantaseiesima vittima dell’uranio impoverito: Giorgio Parlangeri, 28 anni, due missioni nei Balcani, cancro ai polmoni. I professori dell’équipe medica, dopo aver visitato i militari ammalati, hanno sentenziato: «Affetti da morbo letale». Ma si sono ben guardati dall’indicarne la causa e la provenienza. Nessuna allusione all’uranio.
Il giorno dopo ho partecipato con Carlotta, la mia assistente, a un’assemblea organizzata dal sindacato all’interno del ministero dell’Economia e delle Finanze, in via XX Settembre, proprio a casa di Tommaso Padoa-Schioppa. Sono stata accolta con molta simpatia. Mi hanno addirittura applaudita. Che bizzarria.
In quella serata mi hanno dato l’occasione di prendere la parola e trattare ancora dell’uranio impoverito. Ho raccontato dei giovani nostri militari che ho conosciuto di persona, quasi tutti provenienti dal Kosovo, dove si sono ammalati di leucemia, e ho ribadito come quasi tutti i medici dell’esercito tendano a minimizzare il problema e a farlo archiviare come accidentale. Al contrario, i medici responsabili delle truppe americane hanno stampato e distribuito dei dvd dove descrivono scientificamente come si possano identificare gli oggetti tossici e come si possa evitare di contrarre il morbo in zona di guerra. Ai militari italiani non si parla mai di morbo letale e non viene distribuito alcun documento o materiale d’informazione poiché, in questo caso, dovrebbero anche ammettere la provenienza della leucemia o del cancro che tolgono la vita ai nostri soldati. La quasi totalità dei colleghi presenti, compreso il ministro, si dimostra a dir poco sgomenta e ascolta la mia conclusione con attenzione e disagio. Ecco come chiudo:
"Chiedo a tutti i presenti: come possiamo noi impostare un’inchiesta con dei responsabili che insabbiano ogni verità scientifica? Vi vedo piuttosto perplessi e confusi, come del resto sono a mia volta; vista l’impotenza ad agire a cui sono costretta, la mia intenzione è di presentare tra qualche giorno le mie dimissioni dal Senato”.
Si produce un silenzio totale. Padoa-Schioppa si avvicina e mi prende una mano: «Non posso che sentirmi solidale con la tua rabbia; a ogni modo, pensaci bene».
Il giorno dopo ne discuto con Carlotta e Marisa Pizza, un’altra delle mie assistenti e appresso decido che l’ultima mia possibilità è quella di informare la gente, e soprattutto i miei elettori, di cosa continua a succedere nelle zone di guerra, facendo intervistare quei militari che sono stati colpiti da queste patologie mortali.
Non potendo di certo rivolgermi alla Rai, che davanti a queste tragedie scantona di regola con la velocità di una pantegana inseguita da un gatto selvatico, mi metto in contatto con Antonio Ricci, l’ideatore della trasmissione Striscia la notizia, il quale con gran senso di responsabilità civile mi mette a disposizione un’intera troupe televisiva. Qui bisogna aprire un breve commento sui mezzi d’informazione. In certi momenti sei costretto ad usufruire di un’emittente televisiva di cui non condividi il programma, anzi ti trovi ad essere palesemente contrario. Ma ti rendi conto che questa è l’unica rete disposta a darti uno spazio per un’informazione civile e addirittura disperata. E quindi bisogna arrivare a trarne profitto, e questa non è una furbescheria ma una coscienza del che fare. A dimostrazione di ciò ecco che il 31 marzo appare sul teleschermo un servizio di Gimmy Ghione sull’uranio impoverito, dove a mia volta appaio in veste di speaker e presento un soldato, Angelo Ciaccio, un giovane colpito da leucemia fulminante. E subito appresso faccio conoscere al pubblico altri suoi commilitoni che, a loro volta, denunciano la medesima condizione e le difficoltà di ottenere un riconoscimento da parte dei responsabili del Ministero della Difesa. Al termine viene mandato in onda anche il conto corrente della nostra sottoscrizione. Speriamo. Sono tante le famiglie che hanno bisogno di aiuto.
Qualche giorno dopo riceviamo molte donazioni, piccole cifre ma date col cuore, tra cui 500 euro dal senatore Fernando Rossi, l’unico oltre me su 315 senatori che abbia dimostrato, con generosità, interesse per la tragedia dei nostri soldati.
Vorrei spaccarmi la testa contro il muro per il senso di impotenza che provo. Con impaccio e timidezza parlo con le mamme, i padri che hanno perso il figlio, i fratelli... Mi vengono a trovare al Senato, ricevo lettere così dolorose da togliermi il sorriso per giorni. E non è nostra intenzione creare scandalo a ogni costo ma ottenere almeno giustizia. Penso all’inefficienza-indifferenza del nostro Stato e alla difficoltà di coinvolgere questi miei colleghi che pensano solo alla carriera e ad accumulare cariche che procurino loro particolari vantaggi.
Per fortuna, in tanto senso di débâcle, trovo scampo felice nell’effetto prodotto dalla trasmissione messa in onda da Antonio Ricci, in cui viene fatto l’elenco dei militari colpiti dal morbo e vengono mostrate le immagini delle terre diventate una trappola mortale per le popolazioni e per i nostri militari.
Ora pare che nella commissione che si occupa del problema si stia muovendo qualcosa. È molto delicato e importante il lavoro che l’Osservatorio militare e il dottor Leggiero in prima persona stanno portando avanti, contro tutto e contro tutti, occupandosi con grande impegno dei 515 soldati colpiti da carcinomi, leucemie e altre terribili patologie contratte durante il servizio militare.
Di lì a qualche mese riusciamo a organizzare una manifestazione contro l’impiego dell’uranio impoverito per la produzione di armamenti. Intervengono molte persone e associazioni e otteniamo una particolare rilievo d’informazione.
Finalmente, il 9 ottobre 2007, dopo otto mesi di attività e tanta insistenza, il ministro della Difesa Arturo Parisi si decide a incontrare la commissione. Era ora! La norma del dilatare, attendere e procrastinare fino all’infinito finalmente è crollata!
Nel suo intervento Parisi dichiara che il suo ministero è seriamente coinvolto nel problema dell’uranio impoverito (oh, bontà vostra!) e ammette che i cittadini non dimostrano fiducia nelle dichiarazioni e nell’operato dei responsabili militari. C’è un’evidente diffidenza nei confronti del nostro operato. Ohhh, finalmente gli è venuto il dubbio!
Quindi, con la solita logica secondo cui è difficile arrivare a una visione condivisa del problema, ecco che il ministro indica gli ostacoli che si pongono davanti alla scienza tecnologicamente complessa delle armi e dei loro effetti imprevedibili. Aggiungiamo noi che questo succede specialmente quando ci sono di mezzo i generali e i vivaci interessi dell’industria bellica da una parte e le vittime innocenti, oltretutto prive di qualsiasi protezione, dall’altra.
Oh meraviglioso, dopo un anno e più di sprezzante silenzio, ecco che s’affaccia un piccolo ripensamento. Il ministero della Difesa – prosegue Parisi – non intende in alcun modo sottovalutare il fenomeno. I militari che hanno contratto malattie tumorali nelle ultime guerre risultano essere un totale di 255. Di questi 37 sono morti.
Qualcuno del nostro gruppo interviene: «Fermi tutti, le informazioni sulle vittime che ci state proponendo sono errate. Il nostro osservatorio denuncia un valore molto più elevato: coloro che hanno contratto il morbo sono 312, di cui 77 con decorso fatale. Morti».
Il ministro rivede le cifre e si dice d’accordo sull’analisi dei responsabili della commissione. Come diceva sant’Ambrogio, «l’importante è ravvedersi, se poi ti scappa di scusarti, sii benedetto».
La discussione sull’uranio impoverito riprende alcuni giorni dopo, e tocca a me intervenire davanti alla commissione e al ministro.
Altro titolo: Come diceva Kant il disordine è la polvere costante distribuita tra gli ingranaggi del potere.
Signor ministro e onorevoli colleghi, desidero approfondire alcuni aspetti con voi. Innanzitutto ringrazio il ministro per la sua presenza. L’onorevole Parisi ci informa che «mai prima d’ora è stata fatta un’opera di centralizzazione dei dati» che risultano essere dispersi su «una struttura articolata in periferia, con centinaia di archivi cartacei sparsi sul territorio». Bene, bella notizia!
Facendo un rapido riassunto della mole della documentazione emerge che si debbono analizzare i dati relativi alle missioni nei Balcani, in Libano, in Afghanistan e in Iraq, dal 1996 al 2006. Ultimamente, fra le novità a proposito dell’uranio impoverito, si è scoperto che nel poligono di tiro di Quirra, in Sardegna, in uno spazio gigantesco di addirittura 12.000 ettari, per anni si sono esercitati militari con armi di diversa potenza e calibro, armi tra le quali numerose sono quelle all’uranio impoverito. A testimonianza di ciò è stato trovato anche un agnello morto vicino al poligono sardo. Aveva naturalmente pascolato mangiando l’erba contaminata. Ora mi chiedo: e i nostri soldati si sono anche loro inchinati a brucare quell’erba? L’università che ha analizzato l’animale, il Politecnico di Torino, ha rilevato tracce di uranio impoverito fra le membra dell’agnello e guarda caso molti dei militari malati e deceduti negli ultimi anni si sono esercitati in quel poligono prima di scoprire di essere rimasti contaminati a loro volta.
Nell’ottobre del 2012, cioè quattro anni dopo essere uscita dal Senato, troverò una notizia che mi darà grande soddisfazione: il Tribunale di Roma ha sentenziato che la morte di numerosi nostri militari, dai Balcani in poi, non è stata provocata dalla somministrazione di vaccini infetti, come indegnamente avevano dichiarato i medici del ministero della Difesa, ma dall’esplosione di ordigni all’uranio impoverito. Lo stabilisce un’inchiesta degli istituti di ricerca delle Università di Modena e Reggio Emilia. Secondo quegli scienziati, sono più di duecento i militari morti e più di duemila quelli ammalati perché vittime di contaminazione da uranio impoverito. La sentenza del tribunale ha sancito che il ministero della Difesa deve pagare per tutto questo, rimborsando le molte famiglie che hanno subito la morte dei propri figli. Per avere un’idea di quanto costeranno i risarcimenti in totale, vi basti sapere che lo stesso tribunale ha stabilito che per il solo Andrea Antonacci, contaminato nei Balcani e morto nella sua casa a Lecce, la cifra che lo Stato dovrà rimborsare alla famiglia è di quasi un milione di euro.
Allora non è vero che non serve lottare contro le solite regole dello Stato. Qualche volta, insistendo, si riesce anche a fare giustizia.
Grazie per l’attenzione. Spero che ci si senta ancora per altri capitoli di questo valore.

Il libro di Franca Rame: "In fuga dal Senato", Edizione Chiarelettere uscirà il 4 ottobre.

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