martedì 19 marzo 2013

Marco Biagi: Il 19 marzo 2002 venne assassinato....

Marco Biagi (Bologna, 24 novembre 1950Bologna, 19 marzo 2002) è stato un giuslavorista italiano. Docente di diritto del lavoro in diverse università italiane, a partire dagli anni novanta, ha avuto numerosi incarichi governativi come consulente e consigliere di diversi ministeri del Governo Italiano.
Il 19 marzo 2002 venne assassinato da un commando di terroristi appartenenti alle Nuove Brigate Rosse.
Determinante nella redazione della legge è l'argomentazione sostenuta da Biagi fin dagli anni ottanta nella tesi di laurea con la quale conseguì la cattedra di diritto del lavoro, secondo cui nel codice civile italiano il potere organizzativo e direttivo dell'azienda spetta esclusivamente al datore di lavoro, e non può quindi essere sindacato o sottoposto a giudizio di merito dalla magistratura del lavoro. Nella risoluzione dei licenziamento sarebbe quindi illegittima un'ordinanza di reintegrazione nel posto di lavoro, potendosi la controversia risolvere al massimo con un'indennità pecuniaria. I contratti di lavoro flessibili, piuttosto che la libertà di licenziamento in un contratto a tempo indeterminato, sono visti in questo modo non soltanto come una via per creare o mantenere nuova occupazione, ma come una questione di diritto e legalità nei confronti dell'imprenditore.
I risultati della legge Biagi sono stati oggetto di forti dibattiti: da una parte coloro i quali la difendono, sottolineandone l'effetto positivo sul ricambio dell'occupazione, dall'altra chi la contesta ritenendo che essa abbia soltanto aumentato la precarietà dei lavoratori ed il numero di precari (ossia lavoratori senza garanzie e tutele, anche per lavori che invece ne necessiterebbero).
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PS: Una  vita umana non ha prezzo, c'è chi muore per un'idea propria su come legiferare il  lavoro altrui; c'è chi muore a causa di questo modo di legiferare il lavoro.
umberto marabese


La formula maggiormente discussa è quella del contratto a progetto, una lavoro non subordinato (c.d. lavoro parasubordinato), produttore di redditi che già dal 2001 erano assimilati fiscalmente ai redditi da lavoro dipendente: questa formula è divenuta famosa perché utilizzata come sistema per eludere la legge ed evadere oneri contributivi e il minimo salariale sindacale previsto dal rapporto da lavoro dipendente. Nella realtà la figura contrattuale testé delineata è stata abusivamente modificata nella sua applicazione per tramite di aziende e consulenti in cerca di facili soluzioni al vincolo di un rapporto di lavoro subordinato. In effetti, per voce dello stesso autore della legge, il prof. Michele Tiraboschi, il contratto a progetto avrebbe dovuto proprio rimediare a quella distorsione, in campo di tutela dei lavoratori, generata dall'introduzione delle CO.CO.CO. (collaborazioni coordinate e continuative). Esse, sovente, venivano utilizzate effettivamente per eludere gli obblighi normativi che disciplinano lo svolgimento del rapporto di lavoro di tipo subordinato. Di fatto non sono mancate, nella pratica, pratiche di mutazione dei vecchi contratti di CO.CO.CO. nei nuovi contratti CO.CO.PRO. A ben leggere la norma si può intuire quanto questo aspetto sia lontano dalla volontà del legislatore e, quindi, abusivo. Non sono mancate, infatti, diverse sentenze di merito sulla errata qualificazione di questi rapporti di lavoro, inquadrati come parasubordinati in luogo di effettivi rapporto di subordinazione. (Dott. Giovanni Catania, consulente in Latina)[senza fonte]
La legge in questione è criticata dai giuristi anche solo dal punto di vista puramente tecnico, senza entrare nel merito delle questioni; si tratta di fatto di una legge complicatissima, composta da più di 80 articoli, applicabile solo in piccolissima parte.[senza fonte]
È da rilevare, tuttavia, che la presunta complicazione della norma è in realtà più legata ad aspetti esogeni che ad elementi endogeni interpretativi della norma stessa. Infatti, la difficoltà di applicazione della L. 30/2003 è insita nell'incapacità di alcune componenti sociali di dare corso alla dismissione del contratto di lavoro a tempo indeterminato in cambio di uno più flessibile, ma con scarse o nulle garanzie. L'ostracismo opposto alla legge ha impedito, di fatto, di dar pieno corso agli effetti di questa norma che innegabilmente ha mutato il panorama giuslavoristico italiano. In più occasioni, l'organizzazione testé citata si è rifiutata di aprire un dialogo costruttivo sulla riforma varata opponendo un secco rifiuto alla sua applicazione e richiedendone ripetutamente l'immediata abolizione.[senza fonte]
La legge Biagi, secondo i suoi sostenitori, avrebbe in realtà solamente dettato delle norme per regolarizzare quei rapporti di lavoro, come quello a tempo determinato oppure il job on call, che già esistevano, in una condizione di carente regolamentazione. Tali contratti non sono quindi stati creati dalla legge Biagi (che tuttavia ha introdotto alcune figure contrattuali innovative tuttora messe in discussione, come il "lavoro a chiamata" o come il lavoro in coppia, detto anche job sharing). Secondo i sostenitori della legge, dunque, attraverso la legalizzazione del cosiddetto "lavoro flessibile", la legge Biagi avrebbe ottenuto il risultato di aumentare il numero dei lavoratori occupati regolarmente, offrendo tutele e discipline, sia pure minime, a vantaggio del gran numero di "precari" privi di reali diritti.[senza fonte]

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