NYT: Gaza, una delle guerra più letali del secolo
I morti a Gaza sono quasi il doppio di quelli dichiarati dal ministero della Sanità palestinese. Nello specifico, alle 45mila vittime identificate, ne andrebbero sommate almeno altre 20mila. Ciononostante, le stime sarebbero comunque approssimate, e non di poco, per difetto.
Le accuse di Lancet
È quanto emerge dall’ultimo studio pubblicato sull’autorevole rivista scientifica The Lancet. La ricerca, guidata dalla dottoressa Zeina Jamaluddine della rinomata London School of Hygiene & Tropical Medicine, stima che già a giugno 2024 il numero reale delle “vittime causate da bombardamenti e incursioni israeliane fosse di circa 64mila con un intervallo compreso tra i 55.298 i 78.500”. Nello stesso e identico periodo, il ministero palestinese riportava circa 38mila decessi. Insomma, poco più della metà rispetto alle stime reali.
La notevole discrepanza è dovuta al mancato conteggio di quelle vittime, decedute a causa delle “lesioni traumatiche impossibili da curare, per via delle condizioni estremamente difficili in cui operano i servizi di emergenza nella Striscia”. Sono morti, dunque, da ricondurre ad un sistema sanitario che è stato quasi completamente distrutto.
Per arrivare a queste stime, il team guidato da Jamaluddine ha utilizzato tre principali fonti di dati. La prima è l’elenco delle vittime identificate dai nomi riportati dagli ospedali di Gaza, i pochi ancora attivi e che operano ormai in condizioni estremamente precarie. La seconda comprende i dati raccolti attraverso un questionario online, promosso dalle autorità locali e indirizzato alla popolazione.
La terza fonte, invece, si basa su necrologi e annunci relativi ai decessi pubblicati su social media e siti specializzati. Dopo un lungo e attento processo di eliminazione dei duplicati – trattandosi di liste incomplete e spesso sovrapposte – la conclusione è che a Gaza, fino al 30 giugno scorso, siano state uccise almeno 64mila persone, ovvero il 3% dell’intera popolazione della Striscia. Ed ecco perché, ad oggi, le vittime stimate sono senza ombra di dubbio molte di più.
Un altro dato inquietante è emerso dallo studio scientifico: il 60% delle persone uccise è costituito da donne, bambini e anziani. Stime che stridono, e non poco, con l’obiettivo dichiarato da Tel Aviv, ovvero l’eliminazione dei militanti di Hamas.
NYT: colpire senza freni
Questi numeri tragici e impressionanti sono da ricondurre alla modalità sfrenata con cui è stata condotta di guerra portata avanti da Israele. Dopo quindici mesi, infatti, il New York Times ha redatto una lunga e accurata inchiesta, esaminando decine di documenti militari e intervistando oltre cento soldati e funzionari, tra cui più di 25 persone che hanno partecipato alla selezione, approvazione o esecuzione degli attacchi. Ebbene, le loro testimonianze forniscono un quadro senza precedenti di come “Tel Aviv abbia condotto una delle guerre aeree più letali di questo secolo”.
“Israele – si legge sul NYT – ha allentato le regole per bombardare i combattenti di Hamas, indebolendo il proprio sistema di misure di sicurezza volto a proteggere i civili”. Decine di migliaia di morti palestinesi ne sono la tragica conseguenza.
Molti dei soldati dell’IDF, dal 7 ottobre 2023, hanno ottenuto la facoltà di agire a briglie sciolte. Più precisamente, quello stesso giorno, “la leadership militare israeliana ha emanato un ordine che ha dato inizio a una delle campagne di bombardamenti più intense della guerra contemporanea”.
Le direttive stabilivano che “gli ufficiali avevano l’autorità di accettare il rischio di uccidere fino a 20 civili”, un’autorizzazione che non ha precedenti nella storia militare israeliana. Tradotto nella realtà significava, ad esempio, che l’esercito poteva uccidere i militanti di qualsiasi rango “mentre si trovavano a casa circondati da parenti e vicini, invece di aspettare che fossero soli all’esterno”. Mai prima di allora, gli ufficiali di medio rango avevano avuto così tanta libertà di colpire in maniera indiscriminata, “con un potenziale costo civile tanto elevato”.
Quelle direttive hanno rappresentato l’innesco di un feroce effetto domino. Airwars, un osservatorio dei conflitti con sede a Londra, “ha documentato 136 attacchi che hanno ucciso almeno 15 persone ciascuno nel solo mese di ottobre 2023”. Il numero di vittime è così elevato da non poter essere “comparato con nessun altro conflitto, in qualsiasi parte del mondo, da quando Airwars è stato fondato dieci anni fa”.
Alle drammatiche statistiche, si aggiungono le dichiarazioni dei soldati. Lo stato d’animo prevalente dell’esercito israeliano è stato definito dagli intervistati con la frase “Harbu darbu”. Un’espressione che deriva dall’arabo, ma che viene ampiamente utilizzata in ebraico, che significa “attaccare un nemico senza ritegno”. È quanto avviene nella Striscia di Gaza, dove, seppur “alcuni comandanti si sforzano di mantenere gli standard”, la maggioranza degli ufficiali agisce con la massima arbitrarietà.
Peraltro, anche “l’esercito israeliano ha ammesso che le sue regole d’ingaggio sono cambiate dopo il 7 ottobre”. Tuttavia, nella stessa dichiarazione rilasciata al NYT, Israele ha continuato a ribadire ciò che sostiene irragionevolmente da 15 mesi, e cioè che “l’esercito ha adottato mezzi e metodi conformi alle leggi” di guerra. Di tutt’altro parere è la Corte penale internazionale che, ricordiamo, lo scorso novembre ha emesso dei mandati d’arresto per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, sia per il Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che per l’ex ministro della Difesa, Yoav Gallant.
Si tratta di cose notorie, ma il fatto che lo studio sia stato pubblicato su un’autorevole rivista come Lancet e che il New York Times abbia dato conto, dopo tanto tempo, dell’arbitrarietà con cui agisce l’esercito israeliano è alquanto significativo.

La missione di Witkoff, inviato di Trump
“Venerdì sera scorso, Steven Witkoff (nella foto di apertura), inviato del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump per il Medio Oriente , ha chiamato dal Qatar per dire agli assistenti del primo ministro Benjamin Netanyahu che sarebbe arrivato in Israele il pomeriggio seguente. Gli assistenti [del premier] hanno risposto educatamente che si era nel bel mezzo dello Shabbat, ma che il primo ministro lo avrebbe incontrato volentieri sabato sera”.
“La reazione brusca di Witkoff li ha colti di sorpresa. Ha spiegato loro in un inglese colorito che non gli interessava affatto lo Shabbat. Il suo messaggio è risuonato forte e chiaro. Così, con un insolito deragliamento dalla prassi ufficiale, il primo ministro si è presentato nel suo ufficio per un incontro ufficiale con Witkoff, che è poi tornato in Qatar per suggellare l’accordo”.
Altri retroscena li racconta Amos Harel, secondo il quale la minaccia di Trump di “scatenare l’inferno” se non si fosse raggiunto un accordo prima del suo insediamento, stanno “esercitando una certa pressione su entrambe le parti” (confermando che l’avvertimento di Trump non ero rivolto solo ad Hamas).
L’incontro tra il premier israeliano e Witkoff è stato “teso”, come riferisce il Timesofisrael, e ha avuto un esito positivo, dal momento che sabato sera Netanyahu ha deciso di inviare a Doha, sede delle trattative, “la delegazione di più alto livello, dal momento che comprendeva i vertici del Mossad e del servizio di sicurezza Shin Bet, nonché il capo dell’organismo per la gestione degli ostaggi e per le persone scomparse delle IDF”. La decisione di inviare una delegazione siffatta, commenta Arel, è un altro indicatore del fatto che “un accordo è vicino”.
Peraltro, annota ancora Arel, “sembra che il primo ministro abbia concesso a questa squadra un margine di manovra nei negoziati più ampio rispetto al passato. Nei round precedenti è stato spesso evidente che Netanyahu aveva creato fin dal principio difficoltà ai negoziatori israeliani, conferendo loro un mandato molto limitato”.
Le interferenze di Blinken e le (inutili) pressioni di Biden
L’iniziativa di Trump è stata accompagnata dall’attuale amministrazione Usa, con Biden che ha chiamato Netanyahu al telefono per aumentare la pressione. Mossa, però, del tutto inutile per l’esito dei negoziati, dal momento che il presidente Usa non aveva alcun potere in tal senso prima, tantomeno lo ha ora a fine mandato. Così lo scopo della telefonata si riduce a una trovata propagandistica: Biden vuole finire il suo mandato intestandosi la fine della guerra di Gaza.
Non è il solo a scalpitare. Il Capo del Dipartimento di Stato Tony Blinken ha annunciato una conferenza stampa nella quale si propone di delineare il futuro di Gaza. Mossa non solo inutile, dal momento che la successiva amministrazione potrà derubricare le prospettive di Blinken a boutade, ma anche controproducente.
Diversi funzionari del Dipartimento di Stato, infatti, temono che quel che dirà Blinken possa nuocere alle trattative in corso (Timesofisrael). Infatti, se si tiene presente che Hamas ha accettato una tregua di breve periodo che preluda a una trattativa successiva per dirimere alcune questioni chiave ad oggi ostative all’intesa, è chiaro che, con la sua iniziativa, Blinken rischia di rovinare tutto, prospettando sviluppi ancora da chiarire nell’ambito dei negoziati futuri.
D’altronde che Blinken sia stato l’anima nera di questa amministrazione Usa l’abbiamo scritto più volte, questa è solo una conferma postuma. Insomma, tante le variabili di questo gioco al massacro. Nonostante le fondate speranze, tutto può essere ancora vanificato.----





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