giovedì 9 gennaio 2025

AntiDiplomatico - I "fact checkers" e le ammissioni di Zuckerberg. Ma allora non era "narrazione del Cremlino"?

 


09 Gennaio 2025 18:00 di Clara Statello per l'AntiDiplomatico

Per molti anni Facebook ha censurato i suoi contenuti attraverso i fact checkers indipendenti. Non è una “narrazione del Cremlino”, ma la stessa ammissione del CEO e Fondatore di META, Mark Zuckerberg, che martedì ha annunciato un cambio radicale di politica nelle sue piattaforme social.

“E’ tempo di tornare alle nostre radici per quanto riguarda la libertà di espressione su Facebook e Instagram”, ha detto in un comunicato video di poco più di 5 minuti, che ha sbalordito gli utenti del web.

Questa è la sua versione: META era nato per dare voce alla gente ma governi e i media tradizionali hanno dato priorità alla lotta alla disinformazione sulla tutela della libertà di espressione. Così hanno spinto i social ad affidarsi a “complessi sistemi di moderazione” che hanno riempito le piattaforme META di censura, con l’eliminazione di milioni di post, pagine e account. Le recenti elezioni segnano un “punto di svolta culturale” che porta Zuckerberg ad annunciare un retrofront sulla policy e dei cambiamenti radicali nella moderazione, per ripristinare il primato della libertà di espressione.

Le nuove regole: Per prima cosa “ci libereremo” (ha usato proprio questa espressione) dei fact checkers indipendenti, troppo politicamente parziali. META li sostituirà Community Notes simili a quelle di X, di modo che nessuno diventi “arbitro della verità”. Poi si elimineranno le restrizioni su temi sensibili come immigrati e gender, i contenuti politici torneranno ad avere visibilità e la censura dell’algoritmo colpirà soltanto gravi infrazioni di carattere penale. Per le violazioni minori Facebook procederà su segnalazione. La sede dei team di revisione e sicurezza di META verrà spostata dalla California al Texas, per consentire allo staff di lavorare senza preoccupazioni per le proprie inclinazioni.

Il riposizionamento: Infine META lavorerà con il presidente Donald Trump per contrastare quei governi che ostacolano le aziende statunitensi e la libertà d’informazione. Come l’Unione Europea che sta “istituzionalizzando la censura per legge”.

Disinformazione: il pretesto per censurare

Una volta appurato che Facebook per anni ci ha censurato sotto pressione della Casa Bianca, va fatta una doverosa premessa. Non è mai esistito nessun pericolo disinformazione russa. Nonostante la messa al bando di RT e Sputnik negli USA e le sanzioni, Donald Trump ha stravinto le elezioni su Kamala Harris. Non è stato il Cremlino ad avvantaggiargli la vittoria, ma i cittadini statunitensi a sceglierlo.

La lotta alle “fake news del Cremlino” è stata in realtà una partita squisitamente interna agli Stati Uniti, con cui i democratici hanno tentato di contrastare l’onda rossa che ha portato Trump alla vittoria, nonostante i guai giudiziari. Con lo spauracchio della “cospirazione russa per far vincere Trump”, intendevano collegare il loro rivale al nemico di sempre: Mosca. Una sorta di teoria del complotto al contrario, gestita ad alti livelli.

I fatti però hanno la testa dura, e la propaganda s’infrange sullo scoglio della cruda realtà. In Occidente la destra vince non grazie a Putin, ma perché la sinistra imperiale fa la guerra a spese dei lavoratori, cercando il consenso tra le classi benestanti e ostentando un palese disprezzo nei confronti del “popolo bue”. Gli elettori non ne possono più della finta sinistra, dei finti progressisti, della superiorità morale dei liberali, dei detentori autoproclamati della verità.

La censura su META

Il CEO di META adesso accusa l’amministrazione dem di sostenere la censura negli USA e non solo. La scure di Facebook, però, colpiva le idee non allineate da ben prima dell’arrivo di Biden alla Casa Bianca.

La situazione è peggiorata all’inizio dell’operazione militare speciale della Federazione Russa. Tutto ciò che metteva in dubbio la propaganda di guerra, rischiava la penalizzazione. A farne le spese non sono solo le pagine Facebook di Rossiya Segodnia, ma anche testate e blog italiani non riconducibili a Mosca, come l’AntiDiplomatico e Comitato Donbass Antinazista.

I fact checkers, in questi anni, hanno agito di fatto come il ministero della Verità dei social. META li ha utilizzati per rimuovere o mettere degli alert su contenuti contestati. Molto spesso abbiamo visto notizie reali, marchiate con il bollino di “contesto mancante”, in quella che era diventata una parodia della libera informazione.

In Italia META si è affidato ad Open per il fact checking, la stessa testata che in data 3 marzo 2023 pubblicava la notizia smaccatamente falsa dei russi a corto di munizioni che combattevano con le pale. Non pale qualsiasi, ma pale del 1869. I mesi sono passati, i russi continuavano ad avere le munizioni e avanzare, gli ucraini no. La notizia sta ancora là, nessuno l’ha debunkerata.

I fact checker saranno indipendenti, ma non sono imparziali. Svelano le fake news russe, ma non quelle ucraine, legittimando così la narrazione della parte per cui tifano. Eppure un arbitro non dovrebbe essere un ultrà.

Il sistema di moderazione/censura di Facebook si è avvalso anche dei famigerati algoritmi, che rimuovevano contenuti in base a delle parole chiave. Nei periodi più sensibili (prima delle elezioni in UE e in USA) la tolleranza del sistema si è drasticamente ridotta. Di conseguenza, diversi articoli pubblicati da L’Antidiplomatico venivano rimossi soltanto in base al titolo e alla tematica, soprattutto sulla Palestina e il massacro di Gaza.

Dietro i doppi standard di META c’era un bias politico, la vicinanza ai democratici USA. Zuckerberg ha lanciato un’implicita critica alla cultura woke, utilizzata “per spegnere le opinioni e zittire le persone con idee differenti”. Il social più politically correct adesso si riposiziona sul carro del vincitore, Trump.  Come tanti altri, tipo Jeff Bezos, ma forse più clamoroso, poiché addirittura lo staff di META verrà trasferito dalla California al Texas.

Pochi dubbi sul fatto che intenda fare concorrenza a Elon Musk per non perdere quote di mercato. C’entra poco la tutela della libertà di espressione.


La situazione in Europa

C’è da sottolineare che né Mark Zukerberg né Donald Trump si sono risvegliati nel 2025 paladini della libertà di espressione. Semplicemente l’altra parte ha utilizzato in maniera sistematica la censura come arma politica. Se negli Stati Uniti (forse) quest’era è giunta al termine, in UE la situazione potrebbe anche peggiorare.

Il Digital Service Act obbliga le piattaforme a rimuovere i contenuti ritenuti “malevoli”, prevedendo sanzioni in caso d’infrazione. Zuckerberg si rivolge a Trump a ragione, dopo la fine che ha fatto in Francia Pavel Durov, il fondatore di Telegram. E proprio sulla sua piattaforma, a fine dicembre i canali russi di Ria Novosti e Izvestia, tra gli altri, sono stati oscurati. Poiché tutti i canali occidentali in Russia sono visibili, Durov ha commentato con sarcasmo: “Chi avrebbe mai immaginato che nel 2025 gli utenti russi avrebbero goduto di maggiore libertà degli utenti russi?”.

E’ una conseguenza del suprematismo delle nostre elite politiche, convinte che il cittadino medio europeo non sappia cose è meglio per lui. Devono essere “gli esperti” a imboccarlo e spiegargli cosa deve conoscere e in cosa deve credere. Ha ragione Durov a compatirci, la nostra condizione non è tanto diversa da quella di Paesi che consideriamo dittature. La mezzanotte della libertà di espressione deve ancora arrivare…!


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