di Thierry Meyssan - Parigi (Francia)
Questo articolo è il seguito di
«In Palestina cambia il paradigma», 10 ottobre 2023
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Contrariamente a quanto ho scritto la scorsa settimana basandomi su dispacci di agenzia occidentali e arabi, filtrati dalla censura militare israeliana, l’attacco a Israele del 7 ottobre 2023 (operazione “Diluvio di Al Aqsa”) non è stato sferrato unicamente da Hamas. È stato deciso da un nucleo operativo unitario delle forze della Resistenza palestinese. Hamas, la formazione di gran lunga più rilevante, ha fornito la parte essenziale delle truppe, ma vi hanno partecipato altri tre gruppi:
• la Jihad islamica (sunnita e khomeinista);
• il Fronte popolare di liberazione della Palestina (marxista);
• il Fronte popolare di liberazione della Palestina-Comando generale (FPLP-CG).
La stampa occidentale ha dato conto dei barbari crimini commessi da alcuni assalitori, ma non del rispetto di altri. La verifica ha dimostrato che le accuse di stupri e di decapitazione di neonati [1] sono propaganda di guerra. Un giornalismo miope e bugiardo che non deve più stupirci.
Questa precisazione modifica l’interpretazione dell’accaduto. Non è un’operazione jihadista dei Fratelli Mussulmani, ma un attacco unitario dei palestinesi di Gaza. Solo Al Fatah di Cisgiordania che si tiene a distanza dai gruppi citati e il cui presidente Mahmoud Abbas è gravemente malato non vi ha partecipato.
Lo scopo dell’operazione non era “uccidere gli ebrei”, sebbene alcuni jihadisti di Hamas lo abbiano fatto (gli israeliani contano 2.700 morti), ma fare prigionieri, civili e militari, per scambiarli con i detenuti arabi delle prigioni di massima sicurezza israeliane [2]. Non sono solo combattenti, ma anche in alcuni casi civili. I prigionieri sono stati portati via senza lasciar loro il tempo di cambiarsi, giusto per ricordare il modo in cui l’esercito israeliano trattò i prigionieri egiziani alla fine della guerra dei Sei giorni.
Ricordiamo che il conflitto israelo-palestinese non contrappone due Stati (lo Stato d’Israele tuttora non ha frontiere e lo Stato di Palestina tuttora non è riconosciuto), ma due popoli. È una situazione particolare: i palestinesi non sono rappresentati da uno Stato e gli israeliani hanno responsabilità più pesanti in quanto potenza occupante.
Questi avvenimenti accadono dopo che il 15 maggio 2023 il Consiglio di cooperazione del Golfo, il Gruppo dei 77, la Lega degli Stati arabi, l’Organizzazione della cooperazione islamica e la Cina hanno chiesto la sospensione di Israele dalle Nazioni Unite fino a quando Tel Aviv non rispetterà gli impegni assunti [3].
1° L’OPERAZIONE “DILUVIO DI AL AQSA” HA SORPRESO ISRAELE?
Contrariamente a quanto ha affermato il governo di coalizione di Netanyahu, il “Diluvio di Al Aqsa” non ha colto di sorpresa Israele. L’attacco è stato pianificato dopo gli scontri di maggio 2021.
• Secondo la CNN, per compiere l’operazione Hamas ha formato i propri uomini per un anno e mezzo [4]. Ha costruito sei campi di addestramento a Gaza girandovi anche filmati propagandistici. Video degli addestramenti sono stati pubblicati settimane prima dell’attacco [5].
• A marzo 2023 Hamas ha mandato in Russia una delegazione importante, avvisando con l’occasione il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che la sua pazienza era agli sgoccioli e che la sua collera era «in movimento».
• Nell’anno in corso l’Iran ha organizzato confronti tra le forze indipendentiste della regione: Hezbollah, Jihad islamica e Hamas. Gli incontri sono avvenuti a Beirut (Libano) e sono stati presieduti dal generale Ismail Qaani, comandante delle brigate Al Qods dei Guardiani della Rivoluzione iraniani. Lo scopo era riconciliare questi protagonisti che si sono ferocemente combattuti, prima a Gaza poi in Siria. Si è saputo di queste riunioni a maggio 2023. All’epoca la stampa libanese ha fatto cenno alla preparazione dell’operazione unitaria realizzata il 7 ottobre. Quindi l’Iran è responsabile della riconciliazione delle fazioni palestinesi.
• Il 30 settembre il ministro dell’intelligence egiziana, Kamel Abbas, ha telefonato al primo ministro israeliano per avvertirlo dell’imminenza di un’importante operazione di Hamas contro Israele [6]. L’Egitto, che combatte i Fratelli Mussulmani, temeva che Israele consentisse a tale Fratellanza di svilupparsi ulteriormente.
• Il 5 ottobre la Cia ha avvertito il Mossad dell’imminenza di un’importante operazione della Resistenza palestinese unita. Gli Stati Uniti erano preoccupati della sua portata. Tuttavia, secondo il New York Times, i rapporti della Cia del 28 settembre e del 5 ottobre, tuttora classificati, non menzionavano l’uso di nuove tecniche di combattimento da parte della Resistenza palestinese. I servizi d’intelligence israeliana si sono riuniti per valutare la minaccia. Vi hanno partecipato lo Shin Bet (controspionaggio) e Amman (intelligence militare).
Il primo ministro Netanyahu e il suo governo hanno perciò mentito agli israeliani affermando di essere stati colti di sorpresa da Hamas.
2° PERCHÉ ISRAELE HA CONSENTITO L’UCCISIONE DI PROPRI
CONNAZIONALI?
Si possono fare diverse ipotesi. Ne espongo quattro:
• I coloni che risiedono illegalmente in Cisgiordania sono onnipresenti nel governo di coalizione: la preoccupazione per le loro colonie li ha resi sordi e ciechi verso ciò che si stava tramando a Gaza.
• Netanyahu, riprendendo l’ideologia del padre Benzion e del suo mentore, l’ucraino Vladimir Jabotinsky, vuole eliminare la presenza palestinese sia a Gaza sia in Cisgiordania. Era Jabotinsky che descriveva la Palestina geografica «una terra senza popolo per un popolo senza terra».
• Netanyahu, riprendendo un vecchio progetto, desiderava creare un pretesto per giustificare una guerra contro l’Iran ed estendere l’influenza d’Israele in Medio Oriente.
• I discepoli statunitensi del fascista tedesco Leo Strauss, proseguendo quanto fatto in Ucraina, desideravano creare un pretesto per giustificare un allargamento della guerra contro la Russia.
Queste ipotesi non si escludono reciprocamente, né sono esaustive.
3° IL PARALLELISMO CON L’11 SETTEMBRE
I governanti israeliani hanno fatto un parallelismo tra la versione ufficiale dell’attacco di Hamas e la versione ufficiale degli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti: un mezzo per mettere l’accento sulla barbarie dell’avversario, sulla sorpresa dello schieramento del Bene e così legittimare le successive guerre.
Il parallelismo è avvalorato dal fatto che Hamas rivendica di essere il ramo palestinese della Confraternita dei Fratelli Mussulmani, e che Osama Bin Laden fu formato da Muhammad Qutb, fratello del pensatore della Confraternita, Sayyid Qutb.
Il parallelismo non regge: è impossibile che gli attentati dell’11 Settembre siano stati perpetrati da Al Qaeda. Gli statunitensi non sono mai stati in grado di rispondere alle mie obiezioni alla loro versione [7]. Inoltre sono in seguito emersi nuovi elementi che contraddicono la versione dell’amministrazione del presidente George W. Bush. Oggi il 54% degli statunitensi non credono alla versione della Commissione d’inchiesta della presidenza.
Tuttavia, sebbene s’ignori ancora chi abbia esattamente organizzato gli attentati dell’11 Settembre, è stato individuato un gruppo che vi è implicato: il Progetto per un nuovo secolo americano. Uno dei suoi più eminenti membri, Elliott Abrams, è il regista del cambiamento di regime operato in Israele da Netanyahu, definito dai suoi oppositori «colpo di Stato» [8]. Ebbene, Abrams ha pesanti trascorsi criminali (in particolare è implicato nel genocidio dei Maya per opera del terrorista Yitzhak Shamir e del generale guatemalteco Efrain Rios Montt [9]. È stato condannato negli Stati Uniti per aver mentito [10] e per il ruolo svolto nell’affare Iran-Contras) ed è ragionevole chiedersi se possa aver avuto un ruolo nella passività di Israele di fronte alla preparazione dell’attacco di Hamas.
A luglio scorso il presidente Joe Biden ha nominato questa controversa figura del Partito repubblicano membro della Commissione consultiva bipartisan sulla diplomazia pubblica statunitense, ossia sull’efficacia della propaganda Usa nel mondo.
4° CHI ARMA HAMAS?
Un’operazione così complicata presuppone mezzi e informazioni di cui solo uno Stato può disporre. Le armi usate da Hamas provenivano dagli Stati Uniti, dall’Unione Sovietica e dalla Corea del Nord. Sono in circolazione in Libano e Palestina.
Sono state fatte tre ipotesi:
• L’ipotesi di una responsabilità iraniana deve essere respinta per l’accordo stipulato tra Hassan al-Banna, fondatore dei Fratelli Mussulmani, e Ruhollah Khomeini, fondatore della Repubblica islamica d’Iran. Del resto l’Iran ha già smentito con veemenza alle Nazioni Unite ogni responsabilità. È questa tuttavia la teoria difesa da Elliott Abrams [11]. L’Iran non è responsabile del «Diluvio di Al Aqsa»; è responsabile, come detto, della riconciliazione delle fazioni palestinesi.
• L’ipotesi della responsabilità russa non ha alcun fondamento. Al più si può riconoscere che il conflitto in Palestina assorbirà mezzi degli Occidentali, quindi diminuirà la loro pressione contro la Russia in Ucraina. Si può anche prevedere un rialzo dei prezzi degli idrocarburi, da cui Mosca trarrà vantaggio. Ma la Russia, già impegnata in Ucraina, non ha i mezzi per aprire un nuovo fronte in Palestina. Inoltre Mosca, sin dall’istituzione della Federazione di Russia, ha sempre combattuto le milizie della Confraternita Mussulmana. Ciononostante il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha sostenuto quest’ipotesi l’11 ottobre davanti ai 31 ministri della Difesa della Nato, riuniti a Bruxelles [12]. È la tesi sostenuta anche dal ministro della Difesa israeliano, Yoav Galant, intervenuto alla riunione in videocollegamento [13].
• L’ipotesi della responsabilità turca regge tuttora: il presidente Recep Tayyip Erdogan ha organizzato l’ultimo congresso di Hamas a Istanbul, inoltre i principali capi di Hamas oggi risiedono in Turchia, mentre quelli della Fratellanza Mussulmana, in quanto organismo internazionale, sono sparsi in Regno Unito, Qatar e Turchia.
Ma, sapendo che la Cia seguiva la preparazione dell’operazione di Hamas, il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha telefonato al collega turco, nonché ex capo dei servizi segreti, Hakan Fidan, nella notte dal 6 al 7 ottobre [14], ossia nel momento in cui Hamas lanciava l’attacco e prima ancora del risveglio dell’esercito. In seguito Blinken ha telefonato agli omologhi di Israele e Palestina, poi di nuovo [15] e ancora [16] in Turchia.
Infine, durante il vertice dei ministri della Difesa della Nato il segretario Lloyd Austin ha rivelato che gli Stati Uniti avevano chiesto alla Turchia d’intervenire per fare liberare gli ostaggi Usa. Non ha però precisato se l’iniziativa è stata presa prima o dopo l’invio del gruppo navale USS Gerald Ford.
5° COSA DICE IL DIRITTO INTERNAZIONALE SULLA CONTROVERSIA
ISRAELO-PALESTINESE?
Secondo le Nazioni unite, i palestinesi hanno diritto a uno Stato sovrano all’interno delle frontiere del 1967 con capitale a Gerusalemme-Est.
Questa soluzione implica che:
• Lo Stato di Palestina ha diritto ad avere un proprio esercito, cosa a cui Israele continua a opporsi.
• Le colonie ebraiche post-1967 e Gerusalemme-Est devono essere restituite allo Stato di Palestina. Gli israeliani potranno continuare ad abitarvi, ma in quanto stranieri.
• Ogni palestinese, o avente diritto, avrà facoltà di tornare in Israele nelle terre da dove fu cacciato (diritto al ritorno). Israele dovrà indennizzare coloro cui ha sottratto o distrutto beni.
Secondo le Nazioni unite gli israeliani hanno diritto a uno Stato sovrano all’interno delle frontiere del 1967 con capitale a Gerusalemme-Ovest.
Questa soluzione implica che:
• Israele ha il diritto di avere un proprio esercito (ne dispone già).
• Le colonie ebraiche post-1967 e Gerusalemme-Est devono essere restituite allo Stato di Palestina. Gli israeliani potranno continuare ad abitarvi, ma in quanto stranieri.
• Israele dovrà concedere il diritto a risiedervi a ogni palestinese, o altri aventi diritto, espulso nel 1948 che ne farà richiesta. Israele dovrà restituire loro i beni sottratti o indennizzarli (diritto al ritorno).
Inizialmente questi due Stati (Palestina e Israele) dovevano essere federati in uno Stato sovranazionale binazionale che riconosce a ogni cittadino uguali diritti. Al momento è evidentemente una soluzione impossibile. Si può immaginare una forza di pace internazionale d’interposizione tra gli Stati d’Israele e di Palestina. Ma anche questa soluzione sembra difficile, sia perché nessuno vorrà farne parte sia perché non è quanto avevano inizialmente previsto le Nazioni unite. Infatti avevano previsto la presenza di osservatori per il mantenimento della pace, ma non una forza militare d’interposizione. Infine si può ipotizzare di demilitarizzare entrambi gli Stati fornendo loro garanzie di non-aggressione da parte dei vicini.
È evidente che si tratterebbe di una perdita di territori e di ricchezza considerevole per Israele, mentre per la Palestina sarebbe solo una rinuncia a determinate rivendicazioni. Ma è il prezzo della giustizia e della pace.
6° COME REAGISCE ISRAELE?
La coalizione guidata da Netanyahu, di cui fanno parte suprematisti ebrei paragonabili ai suprematisti mussulmani di Hamas, ad agosto ha cambiato le leggi fondamentali di Israele, Stato senza costituzione; secondo gli osservatori, soprattutto della stampa statunitense, così abolendo l’indipendenza della Magistratura il governo ha compiuto un «colpo di Stato». Manifestazioni enormi hanno scosso per mesi Israele.
Di fronte all’attacco subito, Israele può sopravvivere solo accettando di unire la propria classe dirigente. L’ex primo ministro Yair Lapid ha subordinato la sua partecipazione al governo di unità nazionale alle dimissioni dei ministri suprematisti. Da quando sono al governo, Itamar Ben-Gvir (ministro della Sicurezza interna) e Bezalel Smotrich (ministro delle Finanze) hanno appoggiato tre pogrom anti-arabi, in particolare quello di Hawarrah [17]. Tuttavia l’ex ministro della Difesa, generale Benny Ganz, non ha posto la stessa condizione, sicché il primo ministro in carica ha deciso di cooptare entrambi nel governo senza estrometterne i suprematisti ebraici. Ha però formato un consiglio di guerra da cui i suprematisti sono esclusi.
Entra così in gioco la censura militare, forte al punto da ottenere le dimissioni in piena guerra della ministra dell’Informazione, Distel Atbaryan.
Non è possibile conoscere l’esatta composizione del consiglio di guerra, le cui deliberazioni sono esito di dibattiti molto burrascosi. Si sa solo che il ministro della Difesa, generale Yoav Gallant, non è affatto sulla stessa lunghezza d’onda del predecessore, generale Benny Ganz; al punto che il primo ministro ha chiesto aiuto all’ex capo di stato-maggiore, generale Gadi Eizenkot, fautore dei bombardamenti massicci di civili, chiedendogli di partecipare alle deliberazioni del consiglio a titolo di osservatore. In nessun caso gli israeliani e il resto del mondo devono sapere come militari e ministri reagiscono alla passività di Netanyahu di fronte alla preparazione del “Diluvio di Al Aqsa” e alle prime ore della sua messa in atto. E nessuno sa ciò che il consiglio di guerra decide. Lo stesso presidente Isaac Herzog è tenuto all’oscuro di quanto viene deliberato.
Sembra che le discussioni abbiano considerato l’espulsione verso l’Egitto di due milioni di abitanti di Gaza o il loro massacro. Per questa ragione il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, si è precipitato a Tel Aviv per invitare alla calma.
7° COME PUÒ EVOLVERE LA SITUAZIONE?
Il Diritto internazionale riconosce a Israele il diritto di difendersi dagli attacchi che subisce. È quanto Tel Aviv ha fatto per cinque giorni, dando la caccia agli assalitori che si sono introdotti nel proprio territorio. Successivamente Israele ha iniziato l’assedio di Gaza, mentre le sue forze armate bombardavano la città di Gaza, ma non il sud della Striscia. È un’operazione che viola il diritto internazionale: se è ammissibile che Israele abbia il diritto di perseguire i combattenti palestinesi a Gaza, l’assedio della Striscia di Gaza e il bombardamento di edifici civili sono crimini di guerra. In una conferenza stampa è emerso che il presidente d’Israele, Isaac Herzog, è all’oscuro di cosa sta preparando l’esercito.
Facendo riferimento alla posizione della Lega araba assunta dopo la guerra dei Sei giorni, l’Egitto ha chiuso la frontiera con Gaza. La Lega intende sostenere le rivendicazioni palestinesi, quindi rifiuta qualsiasi trasferimento di popolazione e ogni naturalizzazione. Inoltre il Cairo non vuole assumersi la responsabilità di due milioni d’immigrati e, soprattutto, non vuole Hamas, la cui casa-madre, la Confraternita dei Fratelli Mussulmani, in Egitto è stata messa fuori legge.
Le forze armate israeliane si tengono pronte a occupare di nuovo la Striscia di Gaza. Si stanno ammassando ai confini. L’occupazione di Gaza sarebbe una violazione del Diritto internazionale, mentre una guerra antinsurrezionale sarebbe un crimine di guerra.
Gli Stati Uniti hanno inviato armi e munizioni a Israele, hanno dispiegato un gruppo navale al largo di Gaza (la portaerei USS Gerald Ford, l’incrociatore lanciamissili guidati USS Normandy, quattro cacciatorpediniere di missili guidati, USS Thomas Hudner, USS Ramage, USS Carney e USS Roosevelt) e successivamente un secondo gruppo navale (la portaerei USS Eisenhower, l’incrociatore lanciamissili USS Philippine Sea, e i tre cacciatorpediniere di missili guidati USS Laboon, USS Mason e USS Gravely). Hanno tuttavia esortato Israele a controllarsi.
Sembra impossibile che Israele possa realizzare il progetto di Vladimir Jabotinsky ed evacuare con la forza i due milioni di abitanti della Striscia di Gaza, senza un intervento internazionale, innanzitutto quello dello Hezbollah. Un ritiro dell’esercito è più probabile.
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