“COM’È POSSIBILE STRAVOLGERE I VALORI SU CUI PER DECENNI SI SONO FONDATE LE UNIVERSITÀ ITALIANE?” – La lettera degli studenti di Brescia contro il green pass
Alla cortese attenzione de
I docenti tutti
I ricercatori e i dottorandi
Il Magnifico Rettore Maurizio Tira
Il Magnifico Rettore Franco Anelli
Il Direttore Alberto Baldrighi
La Direttrice Cristina Casaschi
Il personale tecnico e amministrativo
I responsabili delle Biblioteche di Dipartimento
Gli uscieri delle Università e Accademie bresciane e p.c. a
Tutti gli studenti dell’Università degli Studi di Brescia, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, del Conservatorio Luca Marenzio, dell’Accademia di Belle Arti Santa Giulia e i loro rappresentanti
I giornalisti e gli organi di stampa
Anche se spesso presentati dai media mediante categorizzazioni avvilenti volte a strumentalizzare e a screditare dal principio posizioni pluralistiche, siamo in realtà un gruppo eterogeneo di studenti, parte integrante della comunità universitaria e accademica bresciana.
La decisione da parte degli Atenei della nostra città di applicare, in taluni casi in modo drastico, questo provvedimento che impone un principio di discriminazione più che evidente, ci spinge a esprimere in merito ad esso una posizione di dissenso.
Con l’adeguamento degli Atenei al DL 06/08/2021 n. 111 vengono de facto esclusi dal diritto allo studio e dai servizi erogati dalle Università tutti coloro che non intendono usufruire del “green pass”, ovvero chi sceglie di non aderire alla campagna vaccinale sperimentale e di non sottoporsi
a tamponi o al tracciamento sanitario mediante l’esibizione del “green pass” stesso.
Considerato che l’utilizzo di questo certificato contrasta con i principi della Costituzione Italiana (Artt.1, 2, 3, 4, 32), con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (i valori universali di dignità umana, libertà, uguaglianza e solidarietà per i cittadini basati sulla democrazia e sullo
stato di diritto), nonché con la Normativa Europea sulla Privacy (2016/679), emergono evidenze di illegittimità.
Non possiamo inoltre, come studenti, non citare l’imprescindibile diritto all’istruzione e alla cultura, sancito dalla nostra Costituzione all’Art. 34: “La scuola è aperta a tutti. […]”.
Vorremmo poi ricordare alcuni dei principi fondamentali presenti negli Statuti e nei Codici Etici dei nostri Atenei:
“L’Università Cattolica non ammette alcuna ingiusta discriminazione. Tutti i componenti dell’ateneo hanno diritto di essere considerati come soggetti portatori di diritti e valori, con spirito di comprensione ed eguale rispetto e considerazione, e di non subire direttamente o indirettamente alcuna ingiusta discriminazione.”
(Codice Etico Università Cattolica del Sacro Cuore, Art. 1 comma 1)
“Tutti i membri dell’Università hanno diritto a essere considerati con eguale rispetto e considerazione, e a non essere ingiustamente discriminati, direttamente o indirettamente, in ragione di uno o più fattori, inclusi […] la coscienza e le convinzioni personali […] le condizioni personali e di salute, le scelte familiari.”
(Codice etico Università degli Studi di Brescia, Art. 1 comma 1)
“Il Conservatorio per quanto di sua competenza, garantisce pari opportunità d’accesso allo studio di tutti gli studenti come previsto dall’art. 34 della Costituzione italiana. Sostiene gli studenti meritevoli, gli studenti privi di mezzi e gli studenti con bisogni educativi speciali, supportandone con strutture e strumenti adeguati il percorso di formazione.”
(Statuto Conservatorio di Musica Luca Marenzio, Art. 4 comma 1)
“L’Accademia svolge la propria attività e organizza le proprie strutture nel rispetto della libertà d’insegnamento ai sensi dell’art. 33 della Costituzione e dei principi generali fissati dalla normativa vigente.”
(Statuto Accademia di Belle Arti Santa Giulia, Art. 1 comma 2)
Chiediamo dunque come possa questo provvedimento essere compatibile con i valori di inclusività e di uguaglianza sopracitati, dato che vengono lesi diritti e limitate libertà in nome di motivazioni medico-scientifiche ancora dubbie e in fase di verifica. Essere contrari al “green pass” non significa infatti essere contro la scienza, ma piuttosto contro un uso strumentale, in quanto unilaterale e politico, della stessa.
Quanti sono effettivamente i dubbi che il dibattito medico-scientifico solleva quotidianamente? Innanzitutto emergono sempre maggiormente i pareri discordanti della comunità scientifica riguardo l’efficacia immunizzante e preventiva dei vaccini sperimentali, confermata dagli ultimi rapporti riguardanti la cosiddetta “immunizzazione” dei vaccinati nei Paesi con alta percentuale di vaccinazioni (Israele e Gran Bretagna). Ci troviamo d’altronde in presenza di terapie geniche, alcune delle quali ancora in fase di sperimentazione (basti leggere le note informative fornite dalle stesse case farmaceutiche); tutto ciò comporta la mancanza di dati sulle loro possibili reazioni avverse a breve e a lungo termine.
Vi sono inoltre opinioni contrastanti riguardo al rapporto rischi-benefici (soprattutto per la fascia di età degli studenti universitari in cui l’incidenza letale è quasi inesistente) e incognite relative all’uso dei tamponi come strumento diagnostico attendibile (cfr. rapporto Istituto Superiore
di Sanità Covid-19 n. 46/2020, sentenza Corte d’appello portoghese 11/11/2020, sentenza del Tribunale di Vienna e continui cambiamenti nelle linee guida da parte dell’OMS).
Come possiamo proprio noi, studenti delle nostre e vostre Università, stimolati dal vostro insegnamento a sviluppare un pensiero critico e plurale, affrontare tutto ciò senza avere dubbi che il “green pass” non sia in realtà un dispositivo di controllo politico-sociale?
Quanta coerenza e razionalità si può individuare in decisioni politiche basate su criteri sanitari mutevoli e non sempre attendibili?
Com’è possibile che tale approccio possa stravolgere valori sui quali per decenni si sono orgogliosamente fondate le università italiane?
A questo si aggiunge la costante criminalizzazione di chi si pone in atteggiamento dubbioso, enfatizzata da una propaganda mediatica unilaterale volta a dividere, a individuare capri espiatori e a far coincidere “pensiero critico” e “irresponsabilità”.
Mai come ora ci sentiamo doverosamente responsabili nell’opporci a una virata legislativa e sociale che con sconcertante semplicità mina uno dei diritti fondamentali su cui si basano le nostre Democrazie. Si legge infatti sul sito ufficiale del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca la seguente frase: “Resta comunque applicabile anche il comma 2 dell’Art. 23 del DPCM 02/03/2021 che dispone misure di salvaguardia della continuità didattica a beneficio degli studenti che non riescano a partecipare alle attività didattiche o curriculari in presenza, assicurando loro modalità a distanza ovvero diverse azioni di recupero delle stesse”.
Ci lascia invece amareggiati la difformità di adeguamento da parte degli Atenei bresciani alla normativa, per cui in alcuni casi sarà disponibile la modalità mista per le lezioni (a distanza e in presenza) mentre in altri ciò non verrà assicurato. Pur sapendo che la DAD non sostituisce pienamente le opportunità formative e di crescita personale della didattica in presenza, siamo sconcertati di fronte alla decisione da parte di alcuni Atenei di non garantire la DAD per tutti i corsi.
Questo dimostra una dolorosa mancanza di attenzione alle esigenze reali degli studenti, nonché verso gli sforzi e gli investimenti compiuti nell’ultimo anno e mezzo per l’implementazione della DAD. Se la strumentazione è disponibile, perché non sfruttarla? Inoltre, anche in caso di lezioni a distanza, rimane rilevante la discriminazione di chi ha obblighi
di frequenza regolari con laboratori e/o tirocini per i quali non è stata presa in considerazione la possibilità di usufruire della DAD, obbligando in tal modo alcuni studenti all’interruzione del loro percorso universitario.
Molti di noi si trovano attualmente in questa situazione veramente critica, oltre che demoralizzante, che non solo sta inducendo alcuni ragazzi a mettere in discussione il proseguimento dei propri studi, ma ne sta addirittura spingendo altri a non intraprendere il percorso universitario.
È fra l’altro evidente che l’opzione del tampone ogni 48 ore per l’ottenimento del “green pass” è moralmente degradante e fisicamente insostenibile per coloro ai quali è richiesta una presenza settimanale continuativa; essa non può dunque configurarsi come una reale e valida alternativa.
Vogliamo porvi questa domanda in modo semplice e diretto: se non vige un obbligo e siamo liberi di scegliere se vaccinarci o meno, com’è possibile che siamo stati effettivamente esclusi dalla vita universitaria?
Com’è possibile che si stia perdendo il diritto fondamentale allo studio per esercitare quello di non sottoporsi a un trattamento sanitario facoltativo?
Riteniamo invece che sia un dovere delle Università garantire un trattamento equipollente a tutti gli studenti, vaccinati o meno.
In un momento in cui la divisione e la difficoltà di comunicazione corretta tra le persone stanno purtroppo imperando, diventano per noi fondamentali la collaborazione, l’accoglienza, l’ascolto dei reciproci bisogni e la possibilità di unirsi in gruppi solidali, affinché nessuno resti isolato.
Non ci sono gruppi di studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dell’Università degli Studi di Brescia, del Conservatorio Luca Marenzio e dell’Accademia di Belle Arti Santa Giulia.
In questa situazione siamo tutti insieme, noi… e anche voi. Perché i diritti fondamentali non sono nostri o vostri, di un gruppo o di un altro, ma un bene comune e nel momento in cui vengono svalutati siamo tutti a pagarne il prezzo, senza distinzioni. Siamo di fronte a un’esplicita violazione delle nostre libertà fondamentali, per cui addirittura diritti inalienabili come quello allo studio, al lavoro, alla libera circolazione non sono più universalmente riconosciuti, ma devono essere concessi a tempo. Lo stesso lasciapassare è un simulacro di libertà a scadenza.
È necessario rivedere criticamente l’ormai consolidato e ripetitivo paradigma per cui chi si vaccina si sacrifica in nome del bene comune, per un senso di responsabilità. Ebbene, anche noi siamo mossi da un enorme senso di responsabilità verso la difesa della libertà di scelta relativa
all’inoculazione di questo siero – libertà sostenuta da solide riflessioni antropologiche, giuridiche, mediche e sociologiche – da parte di ogni individuo ed è questa convinzione che ci porta, nonostante tutto, a percorrere la strada più faticosa, lastricata di ricatti sempre più pressanti e a tratti insostenibili.
Abbiamo avuto modo di leggere l’intensa lettera, da parte nostra totalmente condivisa, stesa da alcuni nostri colleghi dell’Università degli Studi di Bergamo e di cui ci preme citare una parte:
“Esattamente novant’anni fa, nel 1931, venne imposto a tutti i professori universitari l’obbligo di giurare fedeltà al regime fascista, pena la destituzione dalla cattedra di cui erano titolari. Come ben sappiamo, solo 12 professori su 1.225 rifiutarono. Oggi il personale docente e non docente presente negli istituti universitari italiani ammonta a circa 125.600 persone: quanti di questi si rassegneranno ad accettare l’inaccettabile?”.
Ricordiamo come successivamente, nel 1938, lo stesso Manifesto della razza su cui si basarono le leggi razziali fu redatto da alcuni tra i principali esponenti delle istituzioni accademiche e universitarie italiane. Questo ci insegna che le forme di discriminazione, anche le più distruttive nella
storia, si sono servite nel tempo della loro presunta validità scientifica per vedersi legittimate e applicate.
Ci rivolgiamo dunque ai nostri professori universitari per chiedere loro di non voltare lo sguardo, poiché arriveremo a un punto in cui non sarà più possibile farlo. Potete davvero accettare impassibili che il solo non possesso del “green pass”, caratterizzato nel suo rilascio e nel suo utilizzo da varie contraddizioni mediche, giuridiche e sociologiche, precluda
l’accesso alla cultura, al sapere, alla nostra formazione, al nostro futuro?
Nei nostri percorsi formativi ci avete insegnato l’importanza di difendere il libero dibattito democratico e a diffidare dal linguaggio unilaterale dei media. Ci è stata insegnata l’importanza scientifica del confronto, del dialogo, della verifica e della libertà intellettuale. Abbiamo imparato la necessità di applicare all’attualità il pensiero critico sviluppato dallo studio.
Siamo i vostri studenti, gli stessi che fino a poco fa hanno frequentato i vostri corsi, le vostre lezioni, i vostri laboratori; quelli che hanno assistito ai vostri seminari e hanno letto con interesse e stima i vostri libri: noi non siamo cambiati.
La nostra speranza è quella di raggiungere molte persone della comunità bresciana e di dare sostegno e solidarietà ai colleghi di altre città italiane che coraggiosamente, nei giorni scorsi, hanno
fatto sentire la propria voce.
È fondamentale per noi cercare quel dialogo costruttivo con i nostri
professori e le nostre Università, non basato sullo scontro e sullo screditamento reciproco, ma finalizzato alla nascita di punti di incontro e che possa riportarci ad essere una comunità universitaria e accademica.
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