Il Financial Times perde il pelo ma non il vizio. Il giornale britannico rappresentante dell’élite finanziaria anglosassone si è infatti nuovamente speso in suggerimenti non richiesti nei confronti dell’Italia.
Un’abitudine dura a morire che evidenzia come alcuni ambienti finanziari abbiano lo scopo di influenzare la politica di alcuni Paesi.
L’appello a Draghi del FT
“Privatizzazioni italiane: i Draghi Boys devono abbracciare uno Stato più ridotto”. Così titola l’editoriale del Financial Times chiaramente indirizzato al Primo Ministro italiano Mario Draghi e alla squadra di economisti che si occuperà dell’attuazione del Recovery Fund.
I toni del giornale britannico sono sempre gli stessi: snobismo nei confronti dell’Italia accompagnati da soliti luoghi comuni. Si chiede a gran voce a Draghi di riformare la “gonfia e bizantina burocrazia italiana”.
Non si capisce però cosa intendano i giornalisti inglesi con il termine bizantina, considerato che è stato proprio l’impero bizantino a promuovere la diffusione della legalità in buona parte del mondo occidentale, compreso il territorio britannico.
La strategia suggerita dal giornale britannico
Al netto di questi strafalcioni storici, i giornalisti inglesi suggeriscono a Draghi alcune mosse da intraprendere in ambito economico, che possono essere riassunte in tre punti.
Innanzitutto si chiede al Primo ministro italiano di fare una pulizia definitiva del sistema bancario. Il Governo dovrebbe cedere il prima possibile le quote attualmente possedute nella Monte dei Paschi di Siena e lasciare così l’istituto di credito più antico del mondo al fallimento.
Stesso discorso sembrano suggerire per tutte quelle banche che hanno in pancia i cosiddetti crediti inesigibili, ossia i crediti concessi a liberi professionisti ed imprese che attualmente non sarebbero in grado di onorarli.
Risulta chiaro come l’applicazione di questa eutanasia bancaria all’indomani della più grave crisi economica dal secondo dopo guerra stravolgerebbe il sistema economico italiano.
Svendita del patrimonio pubblico (quello che resta)
La seconda questione sollevata dal Financial Times riguarda il futuro della Cassa Depositi e Prestiti, l’istituto di proprietà del Ministero dell’Economia. Secondo i giornalisti inglesi la CDP avrebbe avuto un ruolo troppo attivo negli ultimi anni, con particolare riguardo all’acquisizione pur temporanea del gruppo Autostrade, e per questo dovrebbe progressivamente mettersi da parte.
È curioso notare come il Financial Times veda in Dario Scannapieco, nuovo amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti scelto proprio da Mario Draghi, la persona giusta per arrivare alla progressiva dismissione di questa istituzione.
Infine l’ultima richiesta: completare le privatizzazioni inaugurate dallo stesso Draghi negli anni ’90. Nell’articolo del FT c’è un elenco dettagliato di tutte le sigle aziendali, ancora in mano pubblica, che dovrebbero essere lasciate al mercato, con il relativo valore di vendita. Una lista della spesa che comprende: Snam, ItalGas, Enel, Poste Italiane, Leonardo e Eni.
Da Draghi non ci sono segnali incoraggianti
L’aspetto che però forse più preoccupa rispetto a questo annuncio di vendita è che potrebbe effettivamente trovare ascolto in Draghi. Lo stesso Primo Ministro italiano nel 2011 scriveva infatti insieme a Jean Claude Trichet, allora presidente della BCE, una lettera al Governo Berlusconi con, tra le altre, questa richiesta.
E’ necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.
Privatizzazioni che sembrano poi essere alla base dell’ideologia di buona parte degli economisti scelti come consulenti da Palazzo Chigi. Riccardo Puglisi, Carlo Cambini, Francesco Filippucci, Marco Percoco e Carlo Stagnaro sono i nomi scelti da Draghi, che però sono finiti nel mirino della comunità accademica italiana.
Sono noti per il sostegno aprioristico ad una teoria che afferma l’inutilità, se non la dannosità, dell’intervento pubblico in economia e rappresentano posizioni antiscientifiche.
Hanno così scritto in una lettera oltre 150 docenti di economia. Se il Governo italiano si sta quindi preparando alla svendita degli ultimi asset pubblici rimasti, la finanza internazionale esulta attraverso le pagine del suo giornale di riferimento.
Nessun commento:
Posta un commento