giovedì 3 agosto 2017

Libia, perché le minacce di Haftar non sono da sottovalutare



Saranno anche propaganda a uso interno ma possono dar vita a qualcosa di imprevisto nella polveriera libica.

L'ordine è stato impartito. Il messaggio inviato. Altro che 'giallo'. Ci vuole far pagare il sostegno a, parole sue, "quella nullità", al secolo il premier del Governo di accordo nazionale libico, Fayez al-Sarraj. Di fatto, in nome della libertà dal "colonialismo" italiano, il generale Khalifa Haftar, l'uomo forte della Cirenaica, l'ex ufficiale di Gheddafi sostenuto da Egitto, Russia ed Emirati Arabi Uniti, ha mandato un messaggio ostile all'Italia. Minacciando, per il momento, ma pronto ad agire se Roma "invaderà" le acque territoriali libiche, e questo mentre in quelle acque si trova già il pattugliatore "Comandante Borsini". E se qualcuno non lo avesse capito, il suo portavoce l'ha ribadito oggi all'Afp: "Impediremo l'ingresso alle navi straniere"...

"Inattendibile" e "infondata". Così fonti governative italiane hanno commentato all'AGI la notizia di minacce all'Italia da parte del generale Haftar. Una minimizzazione che si giustifica col fatto che - secondo la nostra intelligence e il governo - le parole di Haftar sarebbero più ad uso interno che esterno ovvero un monito a Sarraj. In parte sarà anche vero, ma una presa di posizione così forte potrebbe comunque dar vita a qualcosa di imprevisto nella polveriera libica, dove gli echi di anti-colonialismo ancora si sentono forte, come dimostrano oggi le parole sferzanti di Sayf, il figlio di Gheddafi.
Le stesse fonti governative sottolineano comunque che la richiesta di intervento di supporto e accompagnamento militare italiano è venuta dalle autorità libiche riconosciute in ambito internazionale, dall'Onu (per l'appunto il governo di Fayez al-Sarraj), ma l'Italia è presente anche in altra zona di quel Paese, come Misurata, che è sotto il controllo di altra fazione. Lì c'è personale militare sanitario che sta conducendo l'Operazione `Ippocrate´, con l'allestimento di un ospedale per la cura di libici - civili e militari – feriti.
Ma nella puntualizzazione delle fonti governative italiane, c'è, riconosciuta, la sostanza del problema: perché coloro che hanno autorizzato la missione delle nostre navi o che garantiscono la sicurezza del personale militare sanitario a Misurata, sono tutte forze che il generale con ambizioni da rais, considera nemici.
Quella preannunciata, non è la prova di forza di un uomo che si crede il padrone della Libia. Perché dietro ad Haftar, oltre l'Egitto di al-Sisi e alcune delle petro-monarchie del Golfo, c'è una parte significativa, in quanto a controllo del territorio e capacità militari, delle tribù e delle milizie libiche. La riprova è che il messaggio di Haftar segue di poche ore una dichiarazione del parlamento di Tobruk, che fa capo alla sua fazione, che aveva espresso la sua opposizione all'operazione navale italiana, contestando al premier di Tripoli, Fayez al-Sarraj, riconosciuto dalla comunità internazionale, di aver concluso l'accordo con l'Italia per le operazioni congiunte, in quanto la presenza di navi straniere rappresenterebbe una "violazione della sovranità nazionale" libica: "Questi accordi sono validi soltanto se approvati dall'autorità legislativa, rappresentata dalla Camera dei Rappresentanti libici – sostiene Abdallah Bilhaq, portavoce del parlamento di Tobruk – e non da un esecutivo che non ha ancora ottenuto la fiducia e che dovrebbe preservare la sovranità nazionale e non consentire violazione delle acque territoriali".
Ma il problema della sovranità è solo un pretesto per nascondere la vera ragione della furia di Haftar: il reiterato sostegno da parte italiana all'uomo che, secondo l'entourage del generale, "da solo non controllerebbe neanche la base navale dove è blindato". Haftar è l'uomo l'uomo che dispone della maggiore forza militare in Libia (30mila unità), che lui ama ancora chiamare "esercito libico nazionale". L'Italia, per Haftar, è colpevole per avere, questa è la posizione del "parlamento" di Tobruk, deliberatamente cercato di boicottare il "processo di Parigi", quello avviato dal presidente francese Emmanuel Macron con l'invito all'Eliseo di Haftar e Serraj. Il giorno dopo, è la posizione degli "haftariani", l'Italia ha cominciato a lavorare per boicottare la "road map" messa a punto a Parigi che avrebbe dovuto determinare una tregua sul campo e portare a libere elezioni che, nei piani di Bengasi e Tobruk, avrebbero decretato il trionfo di Haftar, legittimandone così le ambizioni presidenziali.
Quelle navi, spiegano all'Hp fonti di Bengasi, "non servono a contrastare gli scafisti ma a sostenere un Governo e un premier ampiamente delegittimati e che non hanno nessuna intenzione di realizzare le condizioni perché il popolo libico riconquisti la sua piena sovranità nazionale. Sarraj è un burattino in mano a Roma". Il giudizio è tranchant, e da quelle parti si è soliti far seguire i fatti alle parole. Più che dal mare, la minaccia di Haftar viene dai cieli: l'uomo forte della Cirenaica, infatti, con i suoi piloti hanno infatti quasi del tutto il monopolio dei cieli. D'altro canto, " i sostenitori internazionali di Haftar sembrano credere all'ipotesi che l'amministrazione Trump possa accettare l'impegno di Haftar in un conflitto militare con le milizie dell'Ovest della Libia", annota Jason Pack, esperto di Libia. E la Russia, che già aveva buone relazioni con Muammar Gheddafi, potrebbe decidere di giocare "un ruolo principale nel futuro della Libia", che diventerebbe così "un altro suo avamposto sul Mediterraneo" dopo la Siria.
Mattia Toaldo, analista dell'European Council on Foreign Relations. Toaldo non esclude che Haftar possa essere sostenuto contestualmente da Russia, Egitto e Stati Uniti. E spiega: "Soprattutto nel contesto delle dichiarazioni dei membri del team di Trump sui Fratelli musulmani - nemici giurati di Haftar e del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi - che li considerano equivalenti ad Al Qaeda e al gruppo jihadista delllo Stato islamico". "Gli Stati Uniti intenderebbero invece oggi espandere in modo 'significativo' la presenza in Libia, con l'obiettivo di facilitare la riconciliazione delle due principali fazioni politiche rivali", sottolinea Amina El Sobki, Senior Analyst e Direttrice del Middle East Program dell'Institute for Global Studies (Igs), e riferendosi implicitamente ad Haftar e al governo del premier Fayez Al Sarraj, "al tempo stesso per impedire che il jihadismo delle organizzazioni legate all'Isis e ad Al Qaeda possa ulteriormente radicarsi nel paese". "L'obiettivo primario sarebbe quello di favorire la formazione di un governo unitario riconosciuto dalle principali fazioni politiche libiche, attraverso un coinvolgimento del generale Haftar", annota ancora Sobky. Washington punta inoltre a "riaprire l'ambasciata a Tripoli" e il consolato di Bengasi per interagire meglio "con il complesso ed eterogeneo contesto politico locale" e con le "forze militari" libiche "per il contrasto al terrorismo" attraverso "un contingente stabile di almeno 50 uomini delle forze speciali". Quanto all'Italia, di nemici dichiarati se ne è fatti tanti nella "nuova Libia".---

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