lunedì 22 maggio 2017

Maurizio Blondet - Trump bin Salman ha (ri)dichiarato guerra all’Iran.

Trump bin Salman ha (ri)dichiarato guerra  all'Iran.



Spero sia chiaro  quel che è accaduto a Ryad,  e trovo strano che i titoli dei media occidentali facciano finta di non capirlo.  Affiancato dai monarchi sauditi e dagli emiri che finanziano Isis, al Qaeda, tutti i mercenari al Captagon che devastano e decapitano in Siria, ha dichiarato che “l’Iran è la punta di diamante del terrorismo globale”  – ripetendo una frase appena pronunciata da re Salman – ed ha ingiunto a Teheran di smettere di aiutare i  terroristi islamici. Tali “terroristi islamici” sono  ovviamente Hezbollah in Libano, e il governo siriano di Assad, che l’Iran aiuta militarmente contro l’aggressione saudito-americana ed ebraica. Ovviamente, Hezbollah è ritenuto da Israele “una minaccia esistenziale” (perché è la solo forza araba che l’ha vinta in uno scontro), e questo dovrebbe spiegare abbastanza: gli Usa tornano a fare le guerre per Israele. Come sempre....

Dei “sette stati in cinque anni” che al Pentagono era stato incaricati di abbattere dopo e col pretesto dell’11 Settembre, l’Iran è il solo rimasto  intatto. Gli altri, Irak, Siria, Libia, Somalia, Sudan, sono stati  devastati come Israele ha voluto.  Per anni McCain ha canterellato “Bomb bomb bomb Iran”, come suggeriva la lobby, invano. Ora sembra  che ci siamo. Trump ha annunciato la creazione di una grande alleanza araba contro l’Iran, una specie di NATO del Golfo; sunniti contro sciiti, con una piccola eccezione:  Israele sarà fianco dell’Arabia Saudita. Contro Teheran, guerra senza quartiere. Proprio nel momento in cui gli iraniani, votando massicciamente Rouhani, hanno espresso la speranza di normalizzare i rapporti  con l’Occidente.  Tutto il successo di Rouhani è stato la rinuncia all’arma atomica, in cambio della riammissione del paese all’onore del mondo, dopo un trentennio di sanzioni. Questa speranza sarà resa vana. La sola salvezza, nel mondo  creato dalla superpotenza al servizio di Sion, è proprio avere le testate atomiche sufficienti a dissuadere i criminali globali.
Sarà guerra ibrida, sovversione e aggressione, come al solito. Sembra che i cervelli strategici Usa ritengano il regime  in grave crisi economica, dissanguato nelle finanze dall’aiuto che fornisce a Siria e Hezbollah, e la popolazione sia sull’orlo della rivolta: regime change in vista.
La  casa saudita ha pagato caro. Il prezzo del riscatto, secondo Silvia Cattori. Altro che 150 miliardi di dollari in armamenti. “L’Arabia ha promesso 300 miliardi di dollari di contratti di difesa nel prossimo decennio, e 40 miliardi di dollari d’investimento nelle infrastrutture. La cifra finale, secondo alcuni iniziati di Wall Street, potrebbe ancora salire a mille milioni di dollari. La Casa Bianca è in estasi davanti agli effetti di questa pioggia di denaro saudita all’interno del Paese. Secondo il resoconto uffiilale dopo l’incontro avvenuto (alla Casa Bianca) tra il principe ereditario ben Salman e Trump, oltre un milione di posti di lavoro potrebbero essere creati direttamente, e  milioni di altri  nella catena di approvvigionamento”.
Insomma Ryad ha accettato di salvare l’industria americana dalla bancarotta, di ravvivare la sola industria che conti –  il militare-industriale. Trump  ha ottenuto di fare l’America “great again” con i miliardi di Ryad. Trump   aveva promesso di far pagare i sauditi  anche per i missili che non userà, l’immane spropositato  sofisticato  armamento, inutilizzabile in un regnicolo di analfabeti.  Assistiamo ad una fantastica integrazione economica e politica fra la Superpotenza e  la cosca wahabita  decapitatrice,  dove l’una sostiene l’altra impedendole di crollare, una nella bancarotta, l’altra nell’autodistruzione; un mostro genetico in fieri da diverso tempo, da quando Hillary era ministra degli Esteri.  Un mostro a due teste, anzi a tre – non bisogna dimenticare infatti la nota lobby, fautrice dell’integrazione saudio-americana.
Ovviamente ciò è possibile avendo abbandonato ogni senso di vergogna, di dignità e di verità. Condizione tipica del governare col caos.
Infatti è la ripresa della Dottrina Wolfowitz.

Nel 1992, il segretario alla Difesa di allora – era  Dick Cheney – chiese al suo sottosegretario alla Defence Policy  – era Paul Wolfowitz – di tratteggiare il documento di “guida alla politica di difesa Usa per gli anni 1991-99”.
Il documento divenne noto come “Dottrina Wolfowitz”:
“E’ la strategia  per fondere in una unità pratica gli interessi americani e quelli globali sionisti”,  ha detto  Gilad Atzmon.
“Il nostro primo obbiettivo –  scrive Wolfowitz – è prevenire il riemergere di un nuovo rivale, nel territorio dell’ex Unione Sovietica o altrove, che ponga una minaccia dell’ordine di quello posto dall’ex Unione Sovietica.
“Gli Usa devono mostrare la  leadership necessaria per instaurare e proteggere un nuovo ordine che mantenga la promessa  di convincere potenziali competitori che non devono aspirare ad un maggior ruolo o a perseguire una postura più aggressiva per proteggere i loro interessi”.
Ciò andava fatto con azioni “unilaterali”. Alla fine, come dice ancora Atzmon, saltava fuori in Wolfie,  l’allievo di Strauss, il   doppio passaporto: riaffermava  l’eterno impegno americano per lo stato giudaico. “Nel  Medio Oriente  e nel Golfo Persico, vogliamo favorire la stabilità regionale [sic],  dissuadere  ogni aggressione contro i nostri amici e interessi nella regione…Gli Stati Uniti sono impegnati  alla sicurezza di Israele e a mantenere   il primato qualitativo degli armamenti che è cruciale alla sicurezza   di Israele”
Guerra alla Russia,  guerra all’Iran. Tutto come prima:


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