giovedì 2 febbraio 2017

blog di Beppe Grillo - Una conferenza internazionale con i leader libici a Roma


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di Manlio Di Stefano e Angelo Tofalo
L'autobomba esplosa a Tripoli il 21 gennaio scorso, nelle vicinanze dell'Ambasciata italiana, è stata l’ultima dimostrazione del caos scoppiato in Libia, a pochi giorni dall'arrivo del nostro personale diplomatico.
Una situazione di assoluta instabilità che il paese vive a seguito dello scellerato intervento NATO del 2011, frutto a sua volta di una logica interventista/militarista fine a sé stessa, non accompagnata da nessun piano politico per il futuro del Paese.
La Farnesina ha fatto sapere che il personale in servizio presso la sede diplomatica non è stato coinvolto nell'attacco e sta bene, ma è dal giorno dell'annuncio della sua riapertura – una scelta assolutamente affrettata data la situazione sul terreno - che il M5S chiede al Ministro dell'Interno Minniti di tornare sui suoi passi perché si sta giocando con la vita del corpo diplomatico e dei carabinieri in loco dando, inoltre, un segnale politico drammaticamente sbagliato.
L'Italia, infatti, storicamente amica e alleata strategica della Libia (petrolio, sicurezza e gestione dei migranti), viene ora percepita non più come un interlocutore di pace, ma come la "potenza estera" che cerca di imporre un nome dall'alto, una specie di invasore. L'esecutivo non riconosciuto di Tobruk, del Presidente Abdullah al-Thani, pochi giorni prima dell’attentato del 21 gennaio aveva mandato un messaggio di minacce all'Italia per la riapertura della sede diplomatica a Tripoli. Al-Thani aveva dichiarato, senza mezze misure, che questo gesto rappresenta una "occupazione militare". Il Generale Haftar, che di fatto controlla la maggioranza assoluta del territorio libico nonché i pozzi di petrolio, in un'intervista a Repubblica aveva dichiarato: "Non accettiamo i vostri aiuti. Andatevene da Tripoli e Misurata".....

Questa è l'immagine dell'Italia in Libia per colpa dei drammatici errori dei governi Renzi e Gentiloni.
Come è ormai chiaro a tutti gli osservatori internazionali, l'unità della Libia e il controllo della stessa capitale restano un miraggio per il governo di Fayez al-Sarraj, l'uomo scelto dalla "comunità internazionale" come Presidente di "unità nazionale", un'imposizione occidentale insomma. Va da sé che il Primo Ministro libico, nato sotto l'egida dell'ONU, non sia espressione del popolo e di tutte le fazioni esistenti nel paese nordafricano, una storia già sentita in Iraq, per citarne una.
Il suo controllo sul territorio è, oggi, pressoché inesistente dato che il potere è distribuito sostanzialmente tra i diversi attori che costituiscono ben tre governi de facto:
1. Il "Governo di Accordo Nazionale": guidato da Fayez al-Sarraj a Tripoli, riconosciuto dalla comunità internazionale, Italia inclusa, ma non dai libici;
2. Il "Governo di Salvezza Nazionale": guidato da Khalifa Ghwail a Tripoli, non riconosciuto dalla comunità internazionale ma punto di riferimento per le tribù libiche;
3. Il "Congresso Nazionale Generale": guidato da Abdullah al-Thani a Tobruk, in Cirenaica, col sostegno del suo uomo forte che controlla il territorio e i pozzi di petrolio, il Generale Haftar.
Due governi (o auto-definitosi tali), questi ultimi, espressione di tribù, milizie e portatori di agende specifiche, che ad oggi sono i veri padroni del Paese. In più si aggiunga che, ad oggi, con il passaggio di testimone da Obama a Trump, anche il sostegno americano ad al-Serraj non è più così scontato, tutt'altro.
Anche l'ex direttore del DIS (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza), Giampiero Massolo, in un articolo pubblicato su La Stampa ha dichiarato, senza troppi giri di parole, che la proposta al-Serraj ha fallito e che "il realismo impone di tentare altre strade, che facciano leva sulle forze endogene in grado di esercitare in Libia un controllo effettivo del territorio".
L'Italia fino ad oggi è stata costretta dagli "alleati" ad apparire in Libia come l'invasore per difendere quello che oggi è un fantasma.
Come Movimento 5 Stelle chiediamo formalmente che il governo prenda atto del fallimento della proposta dell'ONU, smetta di sostenere al-Serraj come unico referente del popolo libico, ritiri subito la delegazione diplomatica e inizi a intavolare un dialogo serio e costruttivo con tutte le parti che hanno effettivo controllo del territorio libico. Roma può essere la sede di una conferenza internazionale che le riunisca davvero tutte intorno a un tavolo nei prossimi mesi. Un dialogo che, come sosteniamo da tempo, deve dare un ruolo prioritario alle autorità locali presenti nel paese, nel rispetto di due principi per noi sacri, quello di autodeterminazione dei popoli e quello di non ingerenza negli affari interni di uno Stato.

È giunto il momento di un cambiamento drastico
 della nostra politica verso la Libia, un Paese che per noi rappresenta un tema di sicurezza nazionale. Non c'è più tempo da perdere, a rischio c'è la vita dei nostri connazionali, i nostri interessi strategici e il futuro equilibrio del Mediterraneo.

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