La lettera
di GIOVANNI IMPASTATOCARO direttore generale della Rai, come lei certamente sa, mio fratello, Peppino Impastato, è stato barbaramente ucciso dalla mafia il 9 Maggio 1978. Dopo il film I Cento Passi di Marco Tullio Giordana, due anni fa sono stato coinvolto da Matteo Levi della casa di produzione "11 Marzo Film" nel progetto di una pellicola che avrebbe dovuto raccontare il coraggio di mia madre, Felicia Bartolotta che, con fierezza e tenacia, si è battuta contro tutto e tutti per ottenere verità e giustizia.
Il film dedicato a mia madre è stato realizzato ed è stato prodotto da una delle reti che stanno sotto la sua direzione, Rai 1, la stessa che nella trasmissione "Porta a Porta" ha messo in onda l'intervista del figlio di Totò Riina. Questo figlio che, a differenza di Peppino, di mia madre e di tutta la nostra famiglia, non rinnega un padre mafioso, anzi lo difende e nega ogni condanna pronunciata contro di lui.....
Tutti conoscono, compreso lei, la storia del criminale al quale sono imputabili diverse stragi e le uccisioni di molti padri e figli innocenti. Ritengo inconcepibile che sia stata permesso di dare spazio a questa persona senza pensare alle conseguenze di un messaggio negativo e diseducativo soprattutto nei confronti delle nuove generazioni. Una messa in onda lontana anni luce dal "dovere di cronaca" e che può ricondursi piuttosto a un'operazione di basso livello editoriale per l'uscita di un libro che non merita di essere promosso e tanto meno dalla nostra tv pubblica.
Non penso - come sostiene Bruno Vespa - che sia questo il modo di conoscere o studiare il fenomeno. Ma è piuttosto un modo per far crescere l'audience al costo di calpestare la dignità di molte persone - come noi - che hanno pagato un prezzo altissimo con il sacrificio dei propri cari. Non si può giocare con il sangue delle nostre vittime cercando forzatamente lo scoop e destando la curiosità del pubblico con operazioni di cattivo gusto fino a mitizzare il mafioso.
Le confesso di essere molto in difficoltà, dopo quello che è successo, nell'accogliere con entusiasmo il film su mia madre, pur rispettando il lavoro e il valore del regista Gianfranco Albano, degli sceneggiatori Monica Zappelli e Diego De Silvia e di una straordinaria interprete come Lunetta Savino. E le confesso anche che tanto è stato il mio sconcerto in queste ore che ho pensato a una diffida alla sua azienda di trasmettere il film. Ma non permettere al pubblico di conoscere la storia di mia madre sarebbe come darla vinta a un'informazione malata di protagonismo che, pur di affermarsi, è pronta anche a calpestare il dolore dei parenti di tante vittime innocenti.
Le storie di mia madre, di Peppino, di tutti noi e di tanti altri, compresi quei figli delle mafie, che hanno fatto la scelta coraggiosa di rinnegare i loro stessi padri (una fra tutte Rita Atria), meritano di essere raccontate. Siamo noi la linfa di questo paese e, finché vivremo, lotteremo per sconfiggere il potere mafioso, a dispetto di questi indegni spettacoli che i media ci offrono.
Nessun commento:
Posta un commento