Nel Libro dei giudici Sansone è un ebreo consacrato a Dio. Ha fatto voto di non tagliarsi mai i capelli ed è dotato di forza prodigiosa. Ma Dalila, sua amante, gli taglia le trecce durante il sonno, privandolo dell’aiuto di Dio e della sua straordinaria forza. Viene fatto prigioniero dai filistei che gli cavano gli occhi e lo gettano in prigione a Gaza. Durante un sacrificio al loro dio, i filistei mettono Sansone, i cui capelli hanno cominciato a ricrescere, tra due colonne del palazzo. A mani nude Sansone le divarica e fa crollare il palazzo: si suicida per uccidere alcune migliaia di filistei.
Il pericolo di una guerra mondiale è reale?
Una guerra atomica è possibile. La pace mondiale dipende dall’abilità degli Stati Uniti, sotto ricatto dei “nazionalisti integralisti” ucraini e i “sionisti revisionisti”. Se Washington non fornirà loro le armi per massacrare i russi e i palestinesi di Gaza non esiteranno a scatenare l’Armageddon.
Per rispondere alla domanda riassumeremo fatti che il pubblico ignora, ma che sono noti agli specialisti. Lo faremo con distacco, correndo il rischio di sembrare insensibili a questi orrori.
Innanzitutto distinguiamo tra il conflitto in Europa orientale e quello in Medio Oriente. Hanno solo due punti in comune:
– Non rappresentano una posta significativa in sé, ma una sconfitta dell’Occidente, già battuto in Siria, segnerebbe la fine dell’egemonia occidentale sul mondo.
– Sono entrambi alimentati da un’ideologia fascista, quella dei “nazionalisti integralisti” ucraini di Dmytro Dontsov [1] e quella dei “sionisti revisionisti” israeliani di Vladimir Ze’ev Jabotinsky [2]; due gruppi alleati dal 1917, ma entrati in clandestinità durante la guerra fredda, quindi sconosciuti al grande pubblico.
Per contro, tra i due conflitti esiste un’importante differenza:
– Sul campo di battaglia combattono con la stessa furia, ma i “nazionalisti integralisti” sacrificano i propri connazionali (in Ucraina sono rimasti pochissimi uomini validi di meno di trent’anni), i “sionisti revisionisti” sacrificano invece persone loro estranee: i civili arabi.
Queste guerre rischiano di generalizzarsi?
Questo è l’obiettivo di entrambi i gruppi: i “nazionalisti integralisti” attaccano in continuazione la Russia all’interno del suo territorio e in Sudan; i “sionisti revisionisti” bombardano il Libano, la Siria e l’Iran (o meglio il territorio iraniano in Siria, dato che il consolato iraniano a Damasco è zona extra-territoriale). Ma nessuno reagisce: né la Russia né l’Egitto né gli Emirati nel primo caso; né lo Hezbollah né l’esercito arabo siriano né i Guardiani della rivoluzione nel secondo.
Tutti, Russia compresa, preferiscono incassare e accettare i propri morti per evitare una reazione brutale dell’“Occidente collettivo” che porterebbe a una guerra mondiale.
Se la guerra si generalizzasse non sarebbe una guerra semplicemente convenzionale, sarebbe guerra nucleare.
Si conosce la potenza convenzionale di ciascuna delle parti, ma se ne ignora la reale potenza nucleare. Si sa che gli Stati Uniti hanno usato bombe nucleari strategiche durante la seconda guerra mondiale e che la Russia sostiene di possedere missili nucleari ipersonici, con i quali nessun’altra potenza può competere. Tuttavia alcuni esperti occidentali mettono in dubbio la realtà di questi prodigiosi progressi tecnici.
Dunque quale strategia delle potenze nucleari si delinea sullo sfondo?
Oltre ai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza, anche India, Pakistan, Corea del Nord e Israele posseggono bombe atomiche strategiche. Tutti, a eccezione di Israele, le concepiscono come mezzi di dissuasione.
I media occidentali considerano l’Iran una potenza nucleare, sebbene Russia e Cina smentiscano ufficialmente.
Durante la guerra dello Yemen, l’Arabia Saudita ha acquistato bombe nucleari tattiche da Israele e le ha usate. Sembra però che non ne possieda in permanenza e non abbia le competenze tecniche per fabbricarle.
Solo la Russia svolge regolarmente esercitazioni di guerra nucleare. Durante quella dello scorso ottobre, i militari russi hanno ipotizzato di perdere un terzo della popolazione in poche ore, poi hanno simulato la loro riscossa uscendone vincitori.
In sostanza, tutte le potenze nucleari non vogliono colpire per prime, perché questo comporterebbe senza dubbio la loro distruzione. Tutte tranne Israele, che invece sembra aver sposato la “dottrina Sansone” («Morte a Sansone e a tutti i filistei»). Sarebbe quindi l’unica potenza disposta al sacrificio ultimo, il «Crepuscolo degli Dei» caro ai nazisti.
Due saggi critici sono stati dedicati all’atomo militare israeliano: The Samson Option: Israel’s Nuclear Arsenal and American Foreign Policy di Seymour M. Hersh (Random House, 1991) e Israel and the Bomb di Avner Cohen (Columbia University Press, 1998, tradotto in francese dalle edizioni Demi-Lune) [3].
Israele non ha mai concepito l’atomo militare come forma di dissuasione classica, ma come garanzia che non esiterà a suicidarsi per uccidere i propri nemici piuttosto che essere sconfitto. È il complesso di Masada [4]. Un modo di pensare in linea con la “Direttiva Hannibal”: le FDI devono uccidere i propri soldati pur d’impedire vengano fatti prigionieri dal nemico [5].
Durante la guerra dei Sei Giorni, il primo ministro israeliano, l’ucraino Levi Eshkol, ordinò di preparare una delle due bombe possedute all’epoca da Israele per farla esplodere non lontano da una base militare egiziana sul monte Sinai. Il piano non venne messo in atto perché Israele uscì rapidamente vittorioso da quella guerra convenzionale. Se la bomba fosse stata fatta esplodere avrebbe ucciso non solo molti egiziani, ma anche molti israeliani [6].
Durante la Guerra di Ottobre 1973, chiamata in Occidente Guerra del Kippur, il ministro della Difesa, l’israeliano di origine ucraina Moshe Dayan, e la prima ministra, l’ucraina Golda Meyer, ipotizzarono di usare 13 bombe atomiche [7].
Nel 1986 un tecnico nucleare della centrale di Dimona, il marocchino Mordechai Vanunu, rivelò il programma nucleare militare segreto di Israele al Sunday Times [8]. Fu sequestrato dal Mossad a Roma, per ordine del primo ministro israeliano, nonché padre della bomba atomica, il bielorusso Shimon Peres. Vanunu fu giudicato a porte chiuse e condannato a 18 anni di prigione; ne trascorse 11 in isolamento totale. Fu condannato a 6 mesi di carcere supplementari per aver osato rilasciare un’intervista a Réseau Voltaire.
Nel 2009 Martin Van Creveld, il più importante stratega israeliano, dichiarava: «Possediamo parecchie centinaia di ogive e missili atomici e possiamo colpire obiettivi in ogni direzione, anche Roma. La maggior parte delle capitali europee sono obiettivi potenziali della nostra aeronautica militare (…) I palestinesi devono essere tutti espulsi. Le persone che lottano per questo attendono solo l’arrivo della persona giusta al momento giusto. Due anni fa, solo il 7 o l’8% degli israeliani era del parere che sarebbe stata la soluzione migliore; due mesi fa lo pensava il 33%; secondo un sondaggio Gallup, la percentuale è ora del 44%».
È quindi ragionevole pensare che nessuna potenza nucleare, tranne Israele, oserà compiere l’irreparabile.
È esattamente quello che il 5 novembre scorso lasciò intendere il ministro del Patrimonio, Amichai Eliyahu (Otzma Yehudit/Forza ebraica) intervenendo a Radio Kol. A proposito dell’uso dell’arma atomica su Gaza dichiarò che «a Gaza non ci sono non-combattenti» e che questo territorio non merita aiuti umanitari. «A Gaza non c’è persona che non sia implicata [nella guerra contro Israele]». Affermazioni che suscitarono l’indignazione in Occidente. Solo Mosca si meravigliò che l’Agenzia internazionale per l’energia atomica non intervenisse [9].
È molto probabile che tutto questo spieghi perché Washington a continui ad armare Israele e al tempo stesso reclami un cessate-il-fuoco immediato: se gli Stati Uniti smettessero di fornire armi a Israele per massacrare i palestinesi di Gaza, Tel-Aviv potrebbe ricorrere all’arma nucleare, colpendo le popolazioni della regione, compresi gli israeliani.
In Ucraina i “nazionalisti integralisti” avevano pianificato di ricattare gli Stati Uniti con il medesimo mezzo: la minaccia nucleare o, in alternativa, quella delle armi biologiche [10]. Nel 1994 l’Ucraina, che aveva ereditato un grande quantitativo di bombe sovietiche, firmò il Memorandum di Budapest. Gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Russia le offrirono garanzie d’integrità territoriale in cambio del trasferimento di tutte le armi nucleari in Russia e della firma del Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari (TNP). Tuttavia, dopo il rovesciamento nel 2014 del presidente eletto Viktor Yanukovich (EuroMaidan), i “nazionalisti integralisti” cominciarono a lavorare per la ri-nuclearizzazione del Paese, indispensabile nei loro piani per cancellare la Russia dalla faccia della terra.
Il 19 febbraio 2022, durante la Conferenza annuale sulla sicurezza di Monaco, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky annunciò che avrebbe rimesso in discussione il Memorandum di Budapest per riarmare il Paese sul piano nucleare. Cinque giorni dopo la Russia lanciò l’operazione speciale contro il governo di Kiev per far applicare la risoluzione 2202. Mosca si pose come obiettivo assolutamente prioritario mettere le mani sulle riserve segrete e illegali dell’Ucraina di uranio arricchito. Dopo otto giorni di combattimenti l’esercito russo occupò la centrale nucleare civile di Zaporizia.
Secondo l’argentino Rafael Grossi, direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che tre mesi dopo, il 25 maggio 2022, interveniva al Forum di Davos, l’Ucraina aveva segretamente depositato a Zaporizia 30 tonnellate di plutonio e 40 tonnellate di uranio. Queste scorte valevano, a prezzo di mercato, almeno 150 miliardi di dollari. Il presidente russo, Vladimir Putin, dichiarava: «La sola cosa che manca [all’Ucraina] è un sistema di arricchimento dell’uranio. È un problema tecnico non insuperabile per l’Ucraina». Ma l’esercito russo aveva ormai prelevato dalla centrale gran parte di queste scorte. Attorno alla centrale i combattimenti tuttavia continuarono per mesi. Se i “nazionalisti integralisti” le avessero avute ancora a disposizione, avrebbero fatto quello che oggi fanno i “sionisti revisionisti”: avrebbero preteso più armi e, in caso di rifiuto, avrebbero minacciato di usare l’arma nucleare, ossia lanciare l’Armageddon.
Ritorniamo ai campi di battaglia di oggi. Cosa osserviamo? In Ucraina e in Palestina gli Occidentali continuano a fornire un impressionante arsenale di armi ai “nazionalisti integralisti” e, in misura minore, ai “sionisti revisionisti”, senza tuttavia avere alcuna ragionevole speranza di far arretrare i russi, né di massacrare la totalità degli abitanti di Gaza. Al peggio otterranno lo svuotamento degli arsenali degli alleati, il sacrificio della totalità degli ucraini in età di combattere, nonché l’isolamento diplomatico dello Stato-canaglia d’Israele.
Del resto, Moshe Dayan diceva: «Israele deve essere come un cane rabbioso, troppo pericoloso per essere controllato».
Immaginiamo che queste conseguenze, apparentemente catastrofiche, siano in realtà il loro scopo.
Il mondo si dividerebbe in due, come durante la guerra fredda, con la differenza che Israele sarebbe diventato infrequentabile. In Occidente gli anglosassoni la farebbero comunque da padroni, tanto più che sarebbero gli unici a possedere armi, dal momento che gli alleati avrebbero dato fondo alle loro in Ucraina. Israele, isolato come alla fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta quando era riconosciuto solo dal regime di apartheid del Sudafrica, continuerebbe a svolgere la missione inizialmente affidatagli: mobilitare al servizio dell’Impero la diaspora ebraica, spaventata da una possibile nuova ondata antisemita.
Questa tetra visione è la sola che possa permettere agli anglosassoni di non affondare e di disporre ancora di vassalli, sebbene la loro potenza ne uscirebbe molto sminuita rispetto all’epoca del “mondo globale”. È per questa ragione che si sono cacciati nell’inestricabile situazione odierna. I “nazionalisti integralisti” e i “sionisti revisionisti” li ricattano, ma gli anglosassoni vogliono manipolarli per dividere il mondo in due e preservare quel che possono della loro supremazia.
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