Il caso AstraZeneca fotografa il non governo della sanità in mezzo alla tempesta. Siamo in balia di un Ministero commissariato e un Cts emotivo
Possiamo consolarci perché Mario Draghi ci ha messo una pezza, come pensano molti italiani di buona fede. Oppure possiamo rallegrarci perché ha bacchettato un ministro in confusione, come fanno gli avversari politici di Roberto Speranza. In un caso e nell’altro stiamo guardando al dito: le vaccinazioni. Il dietrofront del premier al divieto di somministrare la seconda dose di AstraZeneca sotto i 60 anni è un dito scientificamente dritto, perché rimette la Medicina in asse con le sue evidenze, impedendole di rendere obbligatoria un’immunizzazione eterologa su cui mancano dati sufficienti. Ed è un dito grosso, perché gonfiato dalle polemiche, tanto da occultare alla vista la Luna che gli sta dietro: la sanità italiana. Sulla cui sorte è arrivata la più grande e la più grave eclissi della coscienza pubblica.
Se avessimo il coraggio di guardare dietro al dito, scopriremmo che siamo il Paese dell’Europa occidentale con la più alta mortalità per Covid e per non Covid. Un record mostruoso, di cui nessuno parla. Nel 2020 l’Italia conta 108.178 morti in più della media dei cinque anni precedenti. Tre su quattro sono vittime del virus. I restanti, cioè 27mila, se l’è portati via l’infarto, o altre malattie cardiovascolari. Sono i primi. Perché gli altri, i decessi oncologici e cronici arriveranno quest’anno e in quelli successivi. E saranno molti di più.
Questi dati raccontano da soli il disastro del Servizio sanitario nazionale, a dispetto dell’impegno di chi ci lavora. Sono contenuti in un articolo di Francesco Cognetti, presidente della Confederazione degli oncologi, cardiologi ed ematologi, pubblicato due giorni fa sul sito quotidianosanità.it. In molte Regioni i cosiddetti interventi di elezione sono ancora sospesi: centomila operazioni per tumore sono già saltate. I trattamenti oncologici sono al palo, la prevenzione è quasi del tutto scomparsa dal radar. Le vittime di attacchi cardiaci fuori dall’ospedale si sono raddoppiate. E chi parla più delle liste d’attesa? Prima o poi qualcuno dovrà occuparsene. E allora verranno fuori ritardi raccapriccianti.
L’ultima gaffe del Ministero sui vaccini è la fotografia del non governo in mezzo a una tempesta. Siamo in balia di un comitato tecnico scientifico dove i burocrati abbondano e i clinici si contano sulla punta delle dita. Ha un rapporto fragile con gli ospedali e ignora del tutto la medicina territoriale. Le sue decisioni dovrebbero essere pareri. Ma nel vuoto di responsabilità politica diventano deliberazioni vincolanti.
Alla morte della diciottenne, uccisa da una trombosi mal gestita dopo una somministrazione di AstraZeneca, il Cittiesse ha affrontato l’enorme impatto emotivo del Paese come se fosse un organismo politico, senza però esserlo. Ed è andato in confusione. Per inciso: pochi giorni dopo moriva un quattordicenne sano, ucciso dal Covid. Nessuno tra i media che hanno processato il vaccino in piazza sembra essersene accorto. Ma questa è un’altra storia.
I dubbi sull’impiego di AstraZeneca sotto i 60 anni si erano radicati nelle settimane precedenti. E non senza fondatezza. In un crescendo direttamente proporzionale al decrescere dell’emergenza. In molti Paesi europei ci si è chiesto fino a che punto fosse conveniente somministrare un vaccino con un rischio di effetti avversi basso, ma riscontrato, su fasce anagrafiche in cui il rischio di mortalità per Covid è vicino allo zero. Se il cambio di paradigma fosse stato assunto politicamente e spiegato preventivamente alla popolazione, il graduale divorzio da AstraZeneca sarebbe stato l’approdo di una strategia vaccinale che, nelle condizioni date, deve far tesoro dell’esperienza. È accaduto il contrario: la seconda dose è stata interdetta con un divieto che i cittadini e la comunità scientifica hanno interpretato come una reazione emotiva. Così al vuoto della politica si è aggiunta la vertigine degli scienziati supplenti.
La doverosa pezza di Draghi non è priva di effetti collaterali. Rendendo facoltativa la seconda dose eterologa, smentisce il ministro della Salute, ma anche gli scienziati. E rimette nelle mani del cittadino una scelta che questi non ha gli strumenti per compiere. Ma almeno contrasta la percezione nell’opinione pubblica di essere trattati come cavie, e scongiura il rischio di una fuga di massa dalle siringhe, che nessun Paese può permettersi. Perché la variante Delta a Londra prova che una vaccinazione parziale non protegge pienamente dall’ospedalizzazione e dalla morte.
Questa vicenda dimostra con chiarezza che la Sanità arranca di fronte all’emergenza, e ignora tutto ciò che l’emergenza nasconde. Il successo della campagna vaccinale è un commissariamento de facto del Ministero della Salute. Il Paese intero si sente sulle spalle larghe di Mario Draghi e del generale Francesco Paolo Figliuolo. Ma i vaccini non sono tutta la sanità, e prima o poi i nodi verranno al pettine. I nodi dicono che il numero di posti letto per centomila abitanti in Italia è molto più basso della media europea: 314 contro 500. Che le terapie intensive non si sono raddoppiate, come aveva entusiasticamente annunciato Speranza il 13 maggio di un anno fa, ma sono cresciute solo di 922 unità. Che i medici specialisti ospedalieri sono 130mila, 60mila in meno della Germania e 43mila meno della Francia. Che i ventimila neoassunti durante la pandemia sono specializzandi e talvolta neanche specializzandi. Che il numero chiuso nelle facoltà di Medicina è un assurdo corporativo ignorato dai ministri. Che la spesa per la Sanità è la più bassa tra i Paesi dell’Europa occidentale. E da ultimo che la medicina di territorio è il punto più carente del sistema. Perché i camici bianchi convenzionati non entrano nell’emergenza e non fanno filtro tra la malattia e l’ospedale.
Di fronte a questo scempio l’ex premier Giuseppe Conte dovrebbe spiegare come ha fatto a rinunciare ai prestiti del Mes, per compiacere il fanatismo grillino. E il nuovo premier Mario Draghi dovrebbe chiedersi se l’8 per cento dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza basti a guarire una sanità così disastrata, a modernizzare gli ospedali, a valorizzare e formare le professionalità, a rifondare i servizi di base, ad aggiornare la logistica. La sostenibilità è insieme lo slogan del tempo e la calamita delle risorse europee. Che in gran parte finiranno in transizione ecologica. Ma il rapporto tra la qualità delle terapie sanitarie e le crescenti aspettative di salute della popolazione non è forse un tema di sostenibilità? Oppure dobbiamo sperare di combattere il cancro riducendo l’inquinamento, perché abbiamo smesso di curarlo?
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