L’ex premier in sezione per ascoltare i militanti: ora la svolta e un partito aperto. L’elezione attesa all’unanimità. La contesa sulle firme.
È stata una delle prime condizioni che Enrico Letta ha posto quando i big del suo partito gli hanno chiesto di prendere le redini del Pd in mano per salvare i dem dal disastro: niente «tutele» e niente «imposizioni». Tradotto: se volete che io faccia il segretario devo avere un mandato pieno e carta bianca, perché i miei referenti non saranno i capi corrente ma gli iscritti e gli elettori. Ebbene, il futuro leader non ha ancora pronunciato il suo discorso di investitura (lo farà oggi alle 11.45, all’Assemblea nazionale), che l’armistizio tra le diverse componenti del Pd si è già rotto. Ieri, infatti, soprattutto per volontà degli «zingarettiani», la maggioranza che aveva eletto alla guida del partito il presidente della Regione Lazio ha cominciato a raccogliere le firme (più di 600) per sostenere la candidatura di Letta. Un modo per pesarsi e per far vedere da che parte pendono i rapporti di forza interni anche con il nuovo corso lettiano.
La questione alleanze
I supporter di Andrea Orlando hanno poi tenuto a diffondere alle agenzie di stampa una nota per precisare che di quelle 600 firme 260 erano loro. A quel punto, Base riformista, il correntone di minoranza di Lorenzo Guerini e Luca Lotti, non l’ha presa bene ed è passata alla controffensiva per precisare che i suoi esponenti firmeranno solo la candidatura di Letta, «come prevede lo Statuto direttamente in Assemblea». Sempre fonti di Base riformista hanno poi aggiunto: «I documenti che vengono presentati rischiano di essere tentativi di condizionamento abbastanza inutili». Dunque, ancora le contrapposizioni tra le correnti, benché il futuro segretario abbia spiegato di volere «un partito aperto» e di avere tutte le intenzioni di imprimere «una svolta importante» al Pd. Ma che cosa dice il documento sottoscritto dalla maggioranza che aveva eletto Zingaretti, quello che ha riaperto la guerra interna, sebbene poi tutte le componenti voteranno Letta? In quel testo si chiede di respingere «le incursioni della Lega e di Salvini, con il loro carattere strumentale e destabilizzante». Ogni riferimento a quei dem come Stefano Bonaccini, che a suo tempo hanno appoggiato la richiesta di Salvini di riaprire, è puramente voluto. Nel documento una parte importante è poi dedicata alle alleanze: al leader che verrà eletto oggi in Assemblea nazionale si chiede di «mantenere un rapporto positivo con l’arco di alleanze consolidate a sinistra; con il M5S che sarà investito da una trasformazione molto grande, con la leadership di Giuseppe Conte, che ci chiamerà a una più stringente competizione, anche se virtuosa e non distruttiva; con le formazioni laiche, liberali, moderate e di centro disponibili ad arricchire il campo democratico».
«Cosa vorreste sentirmi dire?»
Ma, al di là delle beghe tra le correnti, quel che conta veramente è ciò che dirà oggi Letta. Quel Letta secondo cui il «partito è uno strumento del Paese». Quel Letta che farà di tutto, come ha spiegato lui stesso in un’intervista a Le Monde, per evitare che il Pd «diventi come il Psf, in cui l’ala destra se n’è andata con Macron e l’ala sinistra con Mélenchon». Già, il Pd che il nuovo segretario sogna dovrà essere «il baricentro del riformismo». L’ex premier ieri ha lavorato tutto il giorno al testo del suo discorso. E ha anche postato su Twitter una sua foto in cucina, al computer, mentre lima l’intervento. Però Letta ieri ha fatto un’interruzione. A metà mattinata è andato nel suo circolo, quello di Testaccio. I militanti lo hanno accolto con un grande striscione con su scritto: «Daje Enri’... Ripiamose sti cocci». Il riferimento è all’intervista di Letta a Propaganda Live su La7, in cui il futuro leader dem si era detto pronto a «raccogliere i cocci» del suo partito. Letta ha chiesto suggerimenti ai militanti del Testaccio: «Cosa vorreste sentirmi dire? Secondo voi da dove deve ripartire il Pd? Cos’è mancato in questi anni?». Non si è trattato di frasi di rito: «Sono davvero convinto che il Pd — spiega Letta — debba ricominciare ad ascoltare i suoi iscritti e non solo. C’è tanta gente fuori alla quale dobbiamo parlare».
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