lunedì 10 dicembre 2018

“Il (vero) partito del Pil ”... di Marco Travaglio



(pressreader.com) – 

Siccome la marcia No Tav di ieri a Torino è andata infinitamente meglio di quella Sì Tav dei forzapidinleghisti nascosti dietro le famose sette madamine, i giornaloni ne parleranno molto meno, i sociologi non saluteranno la nascita di una nuova classe sociale o di un nuovo partito o di una nuova opposizione, e nessuno si azzarderà a dire le sciocchezze che tutti dissero un mese fa: e cioè che, quando molta gente va in piazza a chiedere una cosa, il governo deve farla immantinente, altrimenti è la fine della democrazia e l’inizio del regime.
Ed è giusto così, visto che abbiamo un Parlamento appena eletto che ha espresso una maggioranza assoluta che ha prodotto un governo perfettamente legittimo che è pienamente autorizzato a realizzare i suoi punti programmatici. Le manifestazioni di piazza sono tutte importanti, sia che vi sfilino 25 mila persone, sia 50 mila, sia 100 mila, sia che dicano sì sia che dicano no a qualcosa. Ma, finché la sovranità apparterrà al popolo, ciò che conta saranno i voti del Parlamento e le decisioni del governo che ne è espressione. Se il Tav Torino-Lione si farà o (più probabilmente) non si farà, sarà perché il governo (composto da ministri No Tav e Sì Tav) si affideranno al giudizio pool di esperti in opere pubbliche che hanno incaricato di raffrontarne i costi e i benefici....
Questo criterio scientifico-economico contraddice platealmente le dicerie catastrofiste sulla fine della scienza e sul trionfo dell’incompetenza. Che, almeno sulle grandi opere, andrebbero applicate ai governi di prima: quelli che buttavano paccate di miliardi di soldi nostri per opere pubbliche faraoniche senza mai ascoltare la voce degli esperti. I quali peraltro, dati alla mano, avevano sempre sostenuto nelle aule dei politecnici, in pubblicazioni scientifiche, in articoli su siti specializzati (come lavoce.info) e su giornali indipendenti (come il nostro e pochissimi altri) l’assoluta inutilità del Tav Torino-Lione.
Che però, essendo un’opera costosissima e di lunghissima realizzazione, con uno scavo di quasi 60 km in una montagna piena di amianto e materiali radioattivi, diventerebbe sommamente dannosa. Ed essendo fortunatamente ferma da vent’anni alla fase preliminare, cioè ai famosi tunnel geognostici ed esplorativi (peraltro già costati quasi 2 miliardi), non ha neppure l’handicap di essere già in fase avanzata di costruzione (il tunnel di base, cioè dell’opera vera e propria, è ancora addirittura in attesa dei bandi di gara): dunque può e deve essere bloccata prima di cominciare. Per dirottare quei fondi su opere davvero utili.
E su veri posti di lavoro, cioè sul vero Pil. Le alternative le ha elencate ieri, nel nostro speciale, Dario Balotta: manutenzione della rete autostradale e ferroviaria (la meno utilizzata d’Europa sia per le merci sia per i passeggeri), il potenziamento della Ventimiglia-Genova e delle ferrovie meridionali da terzo mondo, ma anche di strozzature e colli di bottiglia sulle linee di confine a Nord, come quelle di Domodossola e la Chiasso che rendono praticamente inutile il nuovo traforo del Gottardo, lo scioglimento di nodi inestricabili come quelli stradali e ferroviari di Milano, il potenziamento dei disastrati treni-pendolari. Opere a basso costo e ad alta occupazione. Altro che un secondo treno merci fra Italia e Francia, ribattezzato da Grillo “acceleratore di mozzarelle”.
Che questa baracconata pensata negli anni 80 con previsioni sballate e comunque disattese 30 anni dopo, non serva a nulla non lo dicono soltanto gli abitanti della Val di Susa, che da sempre si oppongono a quell’obbrobrio per ragioni di sopravvivenza. O attivisti storici come Beppe Grillo. Lo sanno anche personaggi insospettabili, che però oggi preferiscono sorvolare o voltare gabbana, perché opporsi al Tav non fa fine.
Nel 2017, su lavoce.info, Carlo Cottarelli, principe di tutte le spending review, firmava l’appello di Marco Ponti e di altri 41 professori del Politecnico di Milano all’allora ministro Delrio (“Meno arbitrio nell’uso delle risorse pubbliche”): “Analisi indipendenti evidenziano come… la nuova Torino-Lione e la linea Napoli-Bari mostrino flussi di traffico, attuali e prospettici, così modesti da poter escludere che sia opportuno realizzarle nella forma prevista”. Firmato Ponti (oggi capofila del pool di Toninelli per l’analisi costi-benefici), ma anche Cottarelli.
Persino Renzi l’aveva capito, infatti nel suo libro Oltre la rottamazione (2013) definiva le opere come il Tav Torino-Lione “non dannose, ma quasi peggio: inutili. Sono soldi impiegati male. Prima lo Stato uscirà dalla logica ciclopica delle grandi infrastrutture e si concentrerà sulla manutenzione delle scuole e delle strade, e più facile sarà per noi riavvicinare i cittadini alle istituzioni. E anche, en passant, creare posti di lavoro più stabili”. Parole sante.
Nel dicembre 2017, buon ultimo, lo scoprì persino Paolo Foietta, commissario di governo (Gentiloni) dell’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione: “Non c’è dubbio che molte previsioni fatte quasi 10 anni fa, in assoluta buona fede, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Ue, siano state smentite dai fatti, soprattutto per effetto della grave crisi economica… Lo scenario attuale è, quindi, molto diverso da quello in cui sono state prese a suo tempo le decisioni… La domanda che i decisori devono farsi è: ‘Al punto in cui siamo arrivati, avendo realizzato ciò che già abbiamo fatto, ha senso continuare come previsto allora? Oppure c’è qualcosa da cambiare? O, addirittura, è meglio interrompere e rimettere tutto com’era prima?’”.
Ecco, bravo, la terza che hai detto.
“Il (vero) partito del Pil ” di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 9 dicembre 2018

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