sabato 24 febbraio 2018

Per il crac da 300mln di Banca Etruria sequestrati appena 500mila euro

 I numeri del fiorentino Fan Faròn

(Giacomo Amadori per la Verità) – 
Se Maria Elena Boschi in questa campagna elettorale ha dovuto rinunciare agli gnudi aretini per libarsi di canederli, il suo pigmalione, Matteo Renzi, giovedì sera, ha osato, seppur ben scortato, affacciarsi ad Arezzo. E, durante il comizio che ha tenuto in un padiglione della Fiera, ha ammesso, bontà sua, che qualcosa nella gestione della banca cittadina non ha funzionato: «Voglio però essere molto chiaro: è evidente che anche sulla vicenda Etruria ci siano state delle clamorose inadempienze da parte dei manager, dei dirigenti, dei controllori».
Ma non ha specificato che uno di quei dirigenti era Pier Luigi Boschi, padre della sua cocca, spedita a fare campagna elettorale sotto le Dolomiti per non fare altri danni. Renzi ha rivendicato: «Abbiamo fatto due decreti senza i quali, di quelle banche (le quattro del Salvabanche, ndr) non ci sarebbero stati nemmeno gli sportelli».
Quindi ha aggiunto che «chi ha sbagliato deve pagare, come a Vicenza e in tutti gli altri posti». Ma il già Rottamatore non ha spiegato alla sua claque che a differenza di quanto stia accadendo in Veneto, in Toscana le richieste risarcitorie nei confronti degli ex amministratori procedono a rilento o non procedono proprio....

A Vicenza, nei mesi scorsi, i pm avevano proposto il sequestro conservativo dei beni dei vecchi manager per provare a coprire una parte dei risarcimenti dovuti a soci e clienti azzerati. All’ inizio un gip aveva negato il congelamento delle proprietà, ma il 6 febbraio un avvocato di parte civile ha fatto una nuova istanza e il giudice Roberto Venditti, a differenza del collega che aveva deliberato prima di lui, ha deciso di concedere, in via prudenziale, sequestri per 176 milioni, una cifra sufficiente a coprire la metà delle somme contestate.
Anche perché buona parte degli ex amministratori, attraverso varie spoliazioni patrimoniali, erano nel frattempo diventati nullatenenti o giù di lì. Ad Arezzo, invece, nessuno ha avviato questo tipo di sequestri. Lasciando indagati e imputati nel pieno possesso delle proprietà.
«Noi non abbiamo chiesto i sequestri» spiega Moreno Gazzarrini, portavoce dell’ associazione Vittime del Salvabanche, «perché quando abbiamo fatto le visure catastali degli amministratori abbiamo verificato che risultavano quasi tutti nullatenenti». Non è esattamente così. Per esempio Boschi senior ha intestati diversi immobili: un appartamento di 6,5 vani, metà garage e metà della villa di famiglia (13,5 locali), oltre a sei terreni, con una superficie complessiva intorno ai 7.000 metri quadrati.
Nel dicembre 2015, alla data di inizio della procedura di liquidazione coatta amministrativa, le perdite di Bpel ammontavano a circa 1,2 miliardi. Il commissario liquidatore Giuseppe Santoni aveva scritto nel suo ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza dell’ istituto che un quarto di quel buco (305 milioni di euro di debito) «era rimasto privo di ogni copertura» e che secondo lui «il dissesto della Banca Etruria» era comunque «superiore al miliardo di euro».
Dopo aver scritto queste parole Santoni ha citato in giudizio 37 ex dirigenti e sindaci chiedendo un risarcimento danni di oltre 400 milioni, senza, però, fare istanza per un sequestro conservativo in sede penale, così da permettere il congelamento dei beni ed evitare l’ occultamento dei patrimoni.
Nel procedimento per il crac di Etruria l’unico sequestro penale che si è avuto è quello della liquidazione dell’ ex direttore generale Luca Bronchi, ad aprile 2016, del valore di 500.000 euro perché quell’ una tantum è stata ritenuta una condotta distrattiva a danno dei creditori nel fallimento di Banca Etruria.
Nel fascicolo iniziale, insieme a tutti i membri del cda che avevano votato la buonuscita, era iscritto anche Pier Luigi Boschi, ma la Procura ha deciso di inviare l’ avviso di conclusione indagini solo a Bronchi e all’ ex presidente di Bpel, Lorenzo Rosi, lasciando intendere che solo per questi ultimi ci sarà il rinvio a giudizio, mentre per tutti gli altri si arriverà all’ archiviazione (ovviamente dopo il 4 marzo per non far gridare al trattamento di favore). Un sequestro di 500.000 euro a fronte di un fallimento da 300 milioni è evidentemente una miseria.
A differenza di quanto avvenuto a Vicenza, ad Arezzo non si è mai voluto avviare una vera indagine patrimoniale per accertare eventuali distrazioni poste in essere dagli indagati e presunti responsabili del crac della banca. Secondo alcuni addetti ai lavori aspettare la fine del processo per recuperare i danni è impensabile: trust, donazioni, cessioni simulate possono tranquillamente sottrarre beni di cui tra qualche lustro non si troveranno nemmeno più le tracce.
La strada percorribile, come a Vicenza, è quella del sequestro conservativo (articolo 316 del codice di procedura penale) che può essere richiesto dai pm o dalle parti civili e che è previsto nei casi in cui vi sia «fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’ erario dello Stato» oppure «delle obbligazioni civili derivanti dal reato».
Visto che la Procura aretina è rimasta inerte in attesa del processo (che sta comunque per iniziare), anche l’ istanza di una parte offesa, come è successo in Veneto, potrebbe essere una condizione sufficiente per dare il via ai sequestri. Ma né la Banca d’ Italia, né un solo risparmiatore truffato sembra abbia deciso di far valere il proprio diritto. Santoni, nominato liquidatore di Bpel dalla Banca d’ Italia, come detto, ha promosso un’ azione civile, ma pare nessuna richiesta di sequestro conservativo penale.
Come mai? Abbiamo provato a domandarglielo, ma ci ha risposto che sulla delicata questione di Bpel non rilascia interviste. Eppure quella del sequestro sarebbe la strada più veloce per vincolare i beni dei presunti bancarottieri visto che una causa civile dura circa 10 anni. Al momento risultano rimborsati dal Fondo interbancario circa 5.000 obbligazionisti di Etruria (su 6.500 sottoscrittori) per un valore complessivo di 65 milioni (a fronte dei 110 milioni di obbligazioni subordinate emesse nel 2013).
I truffati che hanno denunciato la banca sono stati circa 2.000 in tutta Italia, sebbene alcuni di loro abbiano rimesso la querela, dopo essere stati risarciti. A parte questi, a presentare l’ istanza di sequestro potrebbe essere anche uno solo degli azionisti di Etruria azzerati dal Salvabanche (quasi 50.000). Ad oggi, ad Arezzo, però, nessuno di loro si è preso questa responsabilità.---

Nessun commento:

Posta un commento