martedì 27 febbraio 2018

“Impresentabili e improvvisati”: editoriale di Marco Travaglio




di Marco Travaglio da Il Fatto Quotidiano del 27 febbrai-
 Una decina di furbastri dello stipendio intero, quattro massoni, un imprenditore che sa di essere indagato per reati finanziari e non lo dice, un altro che nasconde una vecchia condannetta prescritta per dvd taroccati, un tipo manesco che si fa i selfie con uno Spada e vanta una casa popolare da 7 euro al mese, tre o quattro ex iscritti o candidati di altri partiti. Quasi tutti espulsi, cioè preventivamente sottratti – in caso di elezione – al prossimo gruppo parlamentare dei 5Stelle. A leggere i giornaloni, pare che i candidati del M5S siano tutti così, ma dei giornaloni e dei tg a rimorchio ormai è inutile parlare, tanto è scoperto il gioco sporco che fanno (chi li legge pensa che le liste “impresentabili” siano quelle di Di Maio, non quelle di Renzi con 29 inquisiti, di Berlusconi con 22, di Salvini con 9, di Noi con l’Italia con 8 ecc.). Ma le scelte sbagliate dei pentastellati dovrebbero indurli a una bella autocritica. E non per l’effetto mediatico negativo che hanno causato, oscurando le parti buone del programma e le tante candidature eccellenti (secondo l’Espresso, i baluba grillini ignoranti e incompetenti hanno il più alto tasso di laureati in lista): senza quei casi, i media ostili a “prescindere” – cioè quasi tutti – si sarebbero inventati qualcos’altro. Come dimostra l’incredibile linciaggio del comandante De Falco per un’accusa di violenze in famiglia, poi smentita persino dall’ex moglie...
No, l’autocritica che, subito dopo le elezioni, dovrebbero fare tutti, da Casaleggio a Grillo a Di Maio in giù, riguarda il meccanismo di selezione delle candidature e, più in generale, della classe dirigente. Che, anche con i correttivi apportati negli ultimi mesi, si è dimostrato inadeguato e rischioso. Intendiamoci: ogni sistema di selezione ha i suoi pro e i suoi contro, e non ne esiste nessuno perfetto. Alcuni dei casi di incompatibili (a norma di statuto e codice etico) emersi dopo la presentazione delle liste avrebbero superato qualsiasi vaglio preventivo. Se uno è indagato e non te lo dice, puoi chiedergli il casellario giudiziale (registra solo le condanne definitive, e nemmeno tutte: quelle troppo recenti non ci sono ancora, quelle vecchie sono spesso cancellate dalla “riabilitazione”) e l’interpello alla Procura di residenza su eventuali indagini (alcune sono coperte da omissis, altre sono aperte in altre procure, come nel caso del potentino Caiata indagato a Siena), ma la cosa non verrà mai fuori. O verrà fuori quando le liste sono già state consegnate e timbrate.
Quanto alla cosiddetta “Rimborsopoli” (che poi è una storia di donazioni promesse e non fatte), il M5S l’avrebbe evitata solo creando un fondo interno per la raccolta, dove controllare mese per mese i versamenti per poi girarli al ministero dell’Economia: invece hanno optato per un fondo direttamente presso il governo, dove una gentile manina ha spifferato i donatori morosi quando ormai erano in lista. Il resto degli incandidabili nasce da una svolta giusta e attesa da tempo: l’apertura dei collegi uninominali agli esterni, cioè ai non iscritti al Movimento, che si sono fatti avanti o sono stati sollecitati a farlo per intercettare consensi più ampi, nello spirito del maggioritario che premia un solo candidato per collegio. Alcuni indipendenti si sono rivelati inadeguati e, quando sono emersi alcuni loro altarini (grembiulini, tessere partitiche o guai giudiziari), è scattata la scomunica. La trasformazione del M5S da setta impenetrabile in movimento aperto alla “società civile” è un fatto positivo e un segno di maturazione, nel solco delle esperienze delle giunte Raggi, Appendino e Nogarin, che hanno attinto assessori fra i non iscritti, soprattutto nelle aree culturali della sinistra e dell’ambientalismo tradite dai partiti. Ma la svolta è arrivata troppo tardi, rispetto al tempo necessario per passare ai raggi X gli “esterni”. Se le primarie per il candidato premier si fossero svolte già l’estate scorsa, Di Maio avrebbe avuto 6-8 mesi per appellarsi alla società civile e scremare le autocandidature senza la fretta precipitosa dell’ultimo minuto. Che ha portato a molti errori, scoperti solo col senno di poi, ma figli di liste annunciate last minute. Comunicarle un mese prima di presentarle avrebbe aiutato a far emergere alcuni incompatibili in tempo utile per rimpiazzarli.
Lo stesso discorso vale per la squadra di governo. È giusto, anzi sacrosanto comunicarla prima del voto. Ma non sarebbe scandaloso tenere coperte le carte di alcuni nomi contattati e disponibili ma solo dopo il 4 marzo, quando le bocce saranno ferme, i numeri saranno certi e le possibili alleanze o convergenze saranno più chiare. Ciò che conta è che l’infelice esperienza fatta con diversi esterni non induca i 5Stelle a rimpiangere i vecchi vizi del settarismo. Le centinaia di Meetup che supportano il M5S nei territori come un tempo facevano le sezioni di partito devono continuare ad aprirsi, organizzando iniziative con professori, professionisti, esperti e cittadini non iscritti per selezionare, anche con corsi di formazione, le candidature indipendenti della prossima tornata elettorale. Che potrebbe essere vicina. Solo frequentando le persone, conoscendole, discutendo con loro e condividendo la Politica si può distinguere chi vuole rendere un servizio da chi cerca solo il taxi più comodo e rapido per arraffare una poltrona. La “società civile” non è un detersivo che lava più bianco. Contiene tutto e il contrario di tutto. In parte è migliore della classe politica, in parte è uguale, in parte è addirittura peggiore. Bisogna setacciarla, conoscerla, metterla alla prova e poi, possibilmente, scegliere il meglio.---

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