Maurizio Blondet
“Arriva lo scontro on l’Iran”, commenta Pat Buchanan, grande firma del giornalismo politico, paleo-coservatore, galantuomo. Lo scrive costernato, perché è un sostenitore sincero di Donald Trump. Lasciamo dire a lui l’evento. Il generale Flynn ha annunciato un “ultimatum virtuale” all’Iran. Con le seguenti motivazioni: “I ribelli Houti sostenuti dall’Iran hanno attaccato una nave da guerra saudita, Teheran ha testato un missile balistico, e ciò “indebolisce la sicurezza , prosperità, stabilità, di tutto il Medio Oriente” – e non solo: “Pone a rischio vite di americani”.
Netanyahu, trionfante: “L’aggressione iraniana non resterà senza risposta”. Il presidente della Commissione Esteri Bob Corker: “L’Iran non riceverà più da noi un ‘passi’ per le sue ripetute violazioni sui missili balistici, il continuo sostegno al terrorismo, gli abusi dei diritti umani e altre attività ostili che minacciano la pace e la sicurezza internazionale”.
Di colpo, il vecchio Buchanan si dev’esser sentito riportato al passato buio: la minaccia di Obama alla Siria per le (false) bombe chimiche, il tempo di Bush, anzi quello del Golfo del Tonkino, dei false flag e delle guerre americane sotto falsi pretesti.....
Rivolto al presidente, cerca di farlo ragionare: scusa, “i sauditi bombardano i ribelli Houti da due anni e devastano il loro paese: i sauditi hanno diritto a restare immuni da rappresaglie nelle guerre che loro hanno scatenato? Il generale Flynn si è coordinato con gli alleati? La NATO è obbligata a unirsi a noi in ogni azione che possiamo prendere?”.
[Bella domanda: dalla fine di gennaio, navi da guerra britanniche stano guidando una grande manovra col Bahrein e gli reucci del Golfo che simula un attacco contro l’Iran. E la May aveva detto “mai più”. Tutto sembra atrocemente ripetersi]
Oltretutto, continua Buchanan, vi rendete conto che il fatto di aver espresso questa minaccia in modo pubblico e ultimativo “rende quasi impossibile all’Iran, ed anche a Trump, di fare un passo indietro?”.
Bill Van Auken è politicamente all’opposto di Buchanan, un vecchio trotskista. Ma la sua rabbia è uguale. “Le motivazioni di questa guerra nulla hanno a che vedere con missili balistici o aggressioni a navi saudite. Dopo un quindicennio di guerre ed orrori imperialistici contro l’Irak e Siria dove Washington contava di metter al potere un governo fantoccio, è stata Teheran a guadagnarci [per forza: gli sciiti sono in maggioranza in Irak] e espandere la sua influenza, facendo da ostacolo all’egemonia Usa nella zona ricca di petrolio”.
Infatti è proprio questa la motivazione di Flynn e di Mattis, il militari che oggi affiancano Donald, e per cui vogliono stracciare il patto che Obama aveva firmato con Teheran. In uno dei suoi tweet, Trump l’ha dichiarata in modo brutalmente chiaro: “L’Iran la fa sempre più da padrone in Irak dopo che gli Usa hanno ci hanno sperperato 3 trilioni di dollari. Era ovvio da tempo”.
Nella visita alla sede della Cia una settimana prima, Trump aveva detto che gli Usa “dovevano prenderei il petrolio dell’Irak dal 2003”, e ha aggiunto: “forse voi avrete un’altra possibilità”.
La mentalità da gangster di Chicago anni ’30 sembra dunque una costante permanente del carattere politico statunitense, maggioranza o opposizione: è l’abitudine acquisita in 17 anni di criminalità internazionale non contrastata, per esempio, dalla Unione Europea (quella dei “nostri valori”). Il punto è se l’America possa permettersi di fare la guerra vera all’Iran. Il primo assalto di corpi speciali approvato da Trump – in Yemen – s’è concluso con una strage di donne e bambini sì, ma anche con la morte di un soldato Usa, il danneggiamento di due elicotteri, il panico delle teste di cuoio Usa che credevano di sfruttare l’effetto-sorpresa e invece hanno trovato resistenza imprevista, sono state sorprese loro. I commandos americani sono perfetti solo ad Hollywood. E lo stato di rivolta interna di metà della popolazione americana, l’insidia dei nemici dello Stato Profondo ostile, dovrebbero sconsigliare una ennesima avventura bellica che può costare il potere ai nuovi arrivati.
L’offerta a Mosca: spartiamoci la Siria
E qui entra in gioco la seconda parte della strategia di Flynn, “l’amico dei russi” odiato da McCain. In pratica, staccare Mosca dagli interessi di Teheran (di cui è il grande fornitore di armi), facendole una “offerta che non può rifiutare”, per usare il gergo de Il Padrino. In Siria. Riconoscendo a Putin la sua zona di egemonia.
Ma con certi dettagli, che i servizi siriani di Assad avrebbero carpito da “fonti israeliane”.
Si tratta delle “zone di sicurezza” per “ricoverarci i profughi e proteggere i civili” che Trump ha effettivamente riproposto. Non si tratterebbe più delle no-flight zones vietate all’aviazione russa e siriana, che voleva attuare Obama in complicità con Erdogan, sfidando Mosca alla guerra. Si tratta dello smembramento della Siria, con l’offerta alla Russia di partecipare alla spartizione.
Secondo le “fonti israeliane”, le zone di sicurezza sarebbero queste:
“Una prima zona al Nord-Est, che diverrebbe il ‘santuario’ delle “Forze Democratiche Siriane” (i tagliagole curdi armati dagli Usa, infeudati a Washington) da Hasaka fino all’Eufrate, dove i curdi sognano di organizzare la loro entità autonoma.
“Una seconda zona a Nord di Aleppo, affidata alla Turchia, che andrà dalla frontiera turca alla città di Al Bab lunga 75 chilometri”: la zona di cui Erdogan sperava di impadronirsi,fermato dal disastro militare delle sue truppe.
“La terza zona a Sud, affidata ufficialmente alla Giordania, ma in realtà a Israele, dal Golan a Daraa e Sueida”, zone dove Israele già mantiene, vezzeggia e cura i suoi wahabiti di famiglia.
“La quarta zona a Ovest, dalla costa fino a Homs, affidata alla Russia”.
In pratica è la nuova versione del progetto ebraico di smembramento dei paesi circonvicini ad Israele (piano Kivunim) unito ai piani di Obama per la Siria andati a male, ma “più intelligente e perfido”, nota l’analista libanese (sciita) Amin Hoteit, perché”salvaguarda gli interessi di Russia, Turchia, Israele,distruggendo l’unità di popolo e territorio siriano, strappando allo stato siriano la componente curda a Nord, la componente drusa a Sud, la componente alawita a Est, permette alla Turchia di restare presente al Nord con possibilità di espandersi nelle regioni restanti, una volta che la Siria sia privata dei suoi alleati”.
Sì, perché l’offerta di Trump a Mosca comprenderebbe “l’uscita di Hezbollah, dell’Iran e degli altri alleati, specie dalla zona Sud per ‘rassicurare Israele’ con la creazione di una zona di sicurezza riconosciuta internazionalmente”, un cuscinetto in più attorno al sacro stato degli Eletti.
Una risistemazione di così grande rilievo o si ottiene con l’uso della forza diretta (che Trump e Flynn sanno essere sconsigliabile) oppure con il “sì” del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Quindi si spera di convincere la Russia a non opporre il veto. Ecco il fondo della “amicizia” di Trump e Flynn per Putin.
Come reagisce Mosca? Effettivamente ha proposto ad Assad di riconoscere l’autonomia dei kurdi; il governo di Damasco ha rigettato ufficialmente la proposta. Evidentemente sono in corso dei colloqui fra Mosca e Washington, probabilmente ai margini del vertice di Astana.
In questo quadro di intese segrete in corso, si capisce forse meglio perché la giunta di Kiev abbia scatenato l’offensiva nel Donbass bombardando deliberatamente le case abitate da civili, aggravandole provocazioni: teme (o sa) che nel riconoscimento dell’Amministrazione Trump della zona di egemonia alla Russia ci sia anche l ’abbandono dell’Ucraina. Anche se la nuova ambasciatrice americana all’Onu, scelta da Trump o dai suoi, Nikki Haley, al suo primo discorso , ha attaccato violentemente Mosca come colpevole dell’aggressione nell’Ucraina Orientale, e ha ingiunto di “mettere immediatamente fine all’occupazione della Crimea”. E i media che legge Trump (come il Wall Street Journal) sono ferocissimi a sostenere il bellicista McCain nell’attribuire a Putin l’offensiva ucraina; che è notoriamente atto disperato di Poroshenko, istigato da McCain, per la quale l’Osce ha riconosciuto responsabile Kiev, e a mezza bocca anche la Merkel.
Nikki Haley, la nuova, come la vecchia
Sembra di tornare alla Nuland, a “Fuck Europe”, alla sovversione nell’Est. I segnali di continuità sono più gravi di quelli di innovazione. Per esempio: Trump ha detto che gli insediamenti israeliani “non aiutano”. Il trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme soprassiede, per ora. In cambio, la Casa Bianca ha fatto sapere all’Autorità Palestinese che prenderà “le misure più severe” contro di essa, se essa si rivolge al Tribunale Internazionale per denunciare i crimini di Sion: chiuderà gli offici della Autorità a Washington, taglierà completamente i pochi fondi che dà ai palestinesi.
Dappertutto, l’impressione di déja vu.
(Dopo aver finito il pezzo qui sopra, ho ricevuto la seguente mail di un intelligente amico e lettore. La pubblico integralmente, come importante completamento delle informazioni che ho dato)
Caro Blondet, non so se anche Lei pensa che delle schermaglie fra le presunte fazioni dell’establishment statunitense non c’è da fidarsi.
E’ alla prova dei fatti che potremo vedere le reali intenzioni della nuova amministrazione Trump.
Senza parlare di Tillerson, creatura dei Rockefeller, mi pare che i militari che Trump ha posto in almeno tre poltrone chiave sono di quel gruppo che in Iraq, Flynn in testa, non volevano adottare i mercenari di Daesh ma continuare con i regolari. Non a caso Mattis sarebbe l’autore dell’impiego del fosforo bianco a Falluja. L’attuale proposito di attaccare Raqqa o di creare zone per i rifugiati denuncia l’intento di sostituire il Califfato con un protettorato USA a tempo indeterminato su quella fascia desertica che congiunge la Giordania (cioè Israele) con il Kurdistan via Deir Ez-zor.
L’attuale partita nel Donbass, come pure il recente attacco israeliano all’aeroporto militare di Damasco con tecnologia F35, servono forse ad ottenere dai Russi la promessa di persuadere Assad a rinunciare definitivamente alla regione dell’Eufrate, in cambio delle ormai stremate province di Aleppo e Idlib (quasi che l’obbiettivo statunitense originario fosse proprio quello di stremare il cuore economico del Paese per renderlo incapace di riprendersi l’Eufrate, così come fu fatto per l’Iraq riguardo all’alto Tigri).
Una volta stabilizzato il “protettorato per la sicurezza antiterrorismo” del Sunnistan con molte più basi di quelle seminascoste che l’esercito americano ad oggi detiene in Iraq, l’avanzata verso l’Azerbaijan, senza più avvalersi dell’ingestibile Turchia, se non mutilandola della sua zona a prevalenza curda, si potrà “finalmente” preparare.
Non dimentichiamo mai che l’accesso al Caspio per piazzarvi rampe di missili (anche subacquee) a medio raggio, e quindi più difficili da intercettare, è sempre nei piani occulti di Wall Street. La logistica eurasiatica si impedisce da lì e con rifornimenti da Israele via terra. I rifornimenti per l’Afghanistan invece potrebbero incontrare serie difficoltà in Pakistan grazie all’appoggio cinese che da anni ormai prepara il paese a svincolarsi lentamente dall’orbita americana (nonostante le continue intimidazioni). Ecco perché la via curdo-armeno-azera è preferita da Trump, come lo era già da Obama, prescindendo dai metodi adottati. Gli emigranti armeni hanno già ottenuto da Trump le porte d’America aperte. Scapperanno dal prossimo conflitto per poi tornare a casa a governare il nuovo protettorato USA. Un protettorato che insieme a quello instaurato nei Baltici, Ucraina e Georgia, isolerebbe Iran, Turchia e Russia e renderebbe impossibile ogni infrastruttura euroasiatica senza pagare il pizzo in dollari. I Rockefeller ritornano alle vecchie strategie del 1915 l’obbiettivo è sempre quello di avere il privilegio di coniare gratuitamente la moneta che tutti gli altri devono invece comprare.
Un giorno, forse non tanto lontano, parleremo invece della Spagna, che potrebbe intimamente volersi riprendere un po’ dei suoi legittimi diritti di posizione marittima intercontinentale dopo la batosta subita dagli anglosassoni, e dai loro servitori corsi, 212 anni or sono. Qualcuno le sta preparando l’arma letale per tagliare la testa al toro anglosassone nell’ultima corrida …
Che sia la volta buona? Certo, voler vedere affondare qualche portaerei al largo di Cadice potrebbe essere peccato, ma in fondo ci si potrebbe anche accontentare di una sonora salva in acqua per convincerli a ritornare casa, cioè la dove i loro avi hanno voluto emigrare a fare danni, poiché non gli era stato permesso di farli qui.
Cordiali Saluti
Nessun commento:
Posta un commento