Il nostro dolore come sabbia nell'ingranaggio della cultura renziana.
di Paolo Bartolini*
La narrazione mainstream, interamente funzionale ai piani di un capitalismo sgangherato e distruttivo, poggia come non mai sulle parole d'ordine del pensiero positivo per rilanciare consumi e stili di vita adeguati alle esigenze voraci di banche, multinazionali e maggiordomi del potente di turno. Chi siamo noi per minare questo ottimismo della ragione e della volontà?
Eppure la realtà vissuta ogni giorno ha colori meno cangianti. Grigio tendente al nero, con una crisi sistemica che coinvolge l'ecosfera, i rapporti umani, il mercato del lavoro e la democrazia tutta. Una residua efficacia di questa propaganda illusoria la dobbiamo alla necessità, per molti nostri simili, di nutrire ancora speranze, speranze non di cambiamento (non sia mai!) ma di ritorno incessante a "quando si stava bene".
L'ottimismo che la cultura renziana inocula come un veleno tra le menti meno critiche è intrinsecamente reazionario, basato sul desiderio di annunciare un futuro... identico a un passato fra l'altro inesistente e idealizzato. Ogni voce contraria che si levi contro questa ideologia della felicità per tutti, dell'impegno responsabile e dell'ottimismo, viene ridotta alle miserie di chi le dà fiato. Noi gufi, noi pessimisti per natura, noi nemici del progresso e delle democrazia.
Forse è tempo, prima di sognare rivoluzioni totali, di soffermarci sull'importanza delle cosiddette emozioni negative. Paura, rabbia, tristezza - per fermarci alle principali - danno profondità alla vita, ne punteggiano cadute e risalite, ma soprattutto indicano il pericolo e criticano l'adesione scontata ai racconti di chi comanda. Paura del neoliberismo e del suo potenziale enorme di frammentazione psichica e sociale; tristezza per la miseria delle odierne forme di vita prospettate come ideale massimo di realizzazione umana; rabbia per le ingiustizie che il sistema e il suo ottimismo produttivo/consumistico riproducono a tutti i livelli della società e della natura.
Ripartiamo da qui. Sentiamole queste emozioni, senza cedere alla negatività come posa, come culto del marginale. Solo allora sogneremo qualcosa di bello, di buono, di nuovo, non per tornare là dove ci credevamo felici, ma per andare dove l'uomo è completo, intero, tra gioia e dolore.
*Paolo Bartolini, analista filosofo, counselor e formatore.
(29 ottobre 2015)