mercoledì 27 novembre 2013

I precari di oggi hanno un futuro: poveri tutta la vita e senza pensione!

PS: <<Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati - disse il presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua il 6 ottobre 2010 - rischieremmo un sommovimento sociale>>........capito......! Aspettate ancora un po' a ribellarvi!
 umberto marabese
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Lo studio «Pensions at a Glance» pubblicato ieri dall'Ocse ha finalmente dissolto tutte le reticenze. Finalmente tutti i precari, i lavoratori autonomi e indipendenti sanno che avranno un presente da working poors e un futuro di povertà da anziani. «L'adeguatezza dei redditi pensionistici potrà essere un problema per le generazioni future - sostiene la ricerca - i lavoratori con carriere intermittenti, lavori precari e mal retribuiti sono più vulnerabili al rischio di povertà durante la vecchiaia».
Sul banco degli imputati ci sono il metodo contributivo e l'assenza delle pensioni sociali. Secondo l'Ocse, il metodo contributivo è legato strettamente all'ammontare dei contributi. Quindi penalizza tutti coloro che hanno un lavoro precario e nelle loro vita attraversano periodi crescenti di disoccupazione e precariato, quindi di retribuzione e di contribuzione diseguali. Al termine di questo zigzagare tra lavori e non lavori, queste persone rischiano di non percepire una pensione degna di questo nome. E, in futuro, non godranno delle pensioni sociali «per attenuare il rischio di povertà tra gli anziani». Una catastrofe, dopo più di mezzo secolo di Stato sociale. ........

Il sistema contributivo è stato tuttavia una manna per i conti pubblici. Ha garantito la stabilizzazione della spesa pensionistica. Nel 2010 era il 15,4% del Pil rispetto alla media Ocse del 9,3%. In virtù della riforma, nel 2050 sarà del 14,7%, mentre la spesa media nei paesi Ocse crescerà all'11,4%. La riforma Fornero del 2012 ha consolidato questi risultati, garantendo la stabilità del sistema tra il 2010 e il 2050. L'aumento dell'età pensionabile a 69 anni ha contribuito a questo fine, ma per l'Ocse non basta. «L'età effettiva alla quale uomini e donne lasciano il lavoro è ancora relativamente bassa: 61,1 anni per gli uomini e 60,5 per le donne - precisa l'Ocse - Le politiche per promuovere l'occupazione e l'occupabilità e per migliorare la capacità degli individui ad avere carriere più lunghe sono essenziali».
La riforma dovrebbe continuare, evitando che i lavoratori «lascino il mercato in anticipo». in condizioni di crescente precarietà. Un circolo vizioso che rischia di trasformarsi in una dannazione perché lavorare 40 e più anni non garantisce comunque una pensione pari o quasi all'ultimo stipendio, come invece avveniva nel sistema precedente. Per questa ragione l'Ocse insiste sullo sviluppo dei sistemi integrativi privati e le assicurazioni vita. Due strumenti che non hanno prodotto i risultati attesi in Italia, molto probabilmente per i bassi salari (28.900 euro, pari a 38.100 dolari, al di sotto dei 42.700 dollari medi dell'Ocse). Ciononostante, nella logica neoliberista, l'Ocse sollecita a proseguire sulla strada della privatizzazione della previdenza a carico del lavoratore mentre i giovani non hanno la possibilità di versare i propri contributi e la percentuale degli over 55 che lavorano (sempre più precariamente) è «relativamente bassa», al 40,5%.
L'obiettivo che spinse 17 anni fa alla trasformazione del sistema, il suo costo elevatissimo, è stato dunque raggiunto. Le pensioni sono state vincolate alla crescita del Pil. Se oggi il Pil non cresce, e non crescerà nei prossimi anni, gli assegni previdenziali saranno ancora più poveri. Ciò peggiorerà l'attuale macroscopica diseguaglianza ai danni dei nuovi entrati sul mercato del lavoro, oltre che ai danni di chi non avrà una carriera professionale con regolari versamenti dei contributi.
Lavorare più a lungo, lavorare peggio, guadagnare sempre meno e, nel caso di chi ha iniziato a lavorare dopo la riforma Dini del 1996, non arrivare alla pensione contando sulla capacità di consumare di più. Nei fatti questa situazione è il rovesciamento della teoria del Nobel per l'Economia Franco Modigliani che rifletteva sull'attitudine dell'individuo al risparmio nella fase attiva della vita per poi consumare di più durante il pensionamento. Chi avrà lavorato per tutta la vita con il metodo contributivo, in maniera precaria, intermittente o indipendente, non ha più speranza di rientrare nel «ciclo vitale del lavoratore» sperimentato nel secondo Dopoguerra. E nel 2050 non consumerà quanto accumulato nel frattempo, continuando a lavorare da povero a 70 anni. E oltre.

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