lunedì 7 aprile 2014

Dipendenza energetica? Meglio dalla Russia che dagli Usa

di Demostenes FlorosGEOPOLITICA DEL CAMBIO Nel giro di qualche anno, complice il Ttip, lo shale gas degli Stati Uniti potrebbe essere per l'Europa un'alternativa agli idrocarburi di Mosca. Con sommo beneficio di Washington, non certo del Vecchio Continente - tantomeno di Roma.
[Carta di Laura Canali]
(3/04/2014)
A marzo gli alti prezzi del petrolio sono lievemente calati: circa 2 dollari al barile ($/b) in meno rispetto alla chiusura di febbraio.

Il costo del barile permane comunque elevato: Brent e Wti quotano rispettivamente poco sotto i 108$/b ed i 102$/b, risentendo quindi delle fortissime tensioni internazionali.

Gli eventi in Ucraina rappresentano un vero e proprio conflitto geopolitico che ha come protagonisti gli Stati Uniti d’America da una parte e la Federazione Russa dall’altra. Tale scontro - che vede la presenza della Cina in appoggio alla Russia (non tragga in inganno l’astensione in sede Onu), seppur da una posizione più defilata - sta assumendo un carattere sempre più globale. Si manifesta infatti, politicamente e militarmente, in almeno tre distinti palcoscenici: l’Ucraina per l’appunto, la Siria e il Venezuela (con il tema del nucleare iraniano sullo sfondo).......
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Dal punto di vista energetico, l’amministrazione Usa persegue una strategia che ha come obiettivo la riduzione delle forniture russe di gas all’Europa e la futura sostituzione di quest’ultime con lo shaleamericano. Se così fosse, si tratterebbe di un’operazione complessa e lunga un decennio, vista la sostanziale inesistenza di impianti di liquefazione negli Usa e di gassificazione in Europa, oltre ai problemi connessi ai costi di trasporto e ai prezzi di vendita (il mercato asiatico è più profittevole di quello europeo). Inoltre i limiti di legge impediscono agli Usa di esportare in quei paesi con cui non hanno siglato un accordo di libero scambio che contempli anche il tema dell'energia.L’eventuale stipula del Trattato Transatlantico tra Washington e Bruxelles (T-Tip) supererebbe una parte di questi problemi.

Il paniere energetico dell’Ue è attualmente composto per il 57% da idrocarburi: 33% petrolio e 24% gas naturale. Nel 2013, la Federazione Russa ha fornito all’Europa (Turchia compresa) il 31% circa del suo fabbisogno di metano, pari a 161.5 mld di m3 (il 24% all’Ue). In base ai dati forniti da Gazprom Export, il 53% di tale ammontare - equivalente a 86.1 mld di m3 - è transitato attraverso il territorio dell’Ucraina. Prima della costruzione del Nord Stream, la pipeline sotto il Baltico, ben l’80% del gas di Mosca passava da Kiev.

Di converso, l’Europa è ancora il principale cliente della Russia - secondo le cifre di sicurezzaenergetica.it - dal momento che la prima assorbe il 61% delle esportazioni energetiche del gigante eurasiatico (il 50% del gas naturale). Più precisamente, Mosca ricava dall’export di energia un ammontare pari al 18% del proprio pil (368 mld di $). Ne consegue che il rapporto tra Unione Europea e Federazione Russa è di effettiva interdipendenza più che di mera subordinazione della prima nei confronti della seconda: prova ne sono anche i gasdotti Nord Stream (capacità max. 55 mld di m3), Blue Stream (16 mld di m3) e South Stream (63 mld di m3), nei cui capitali sono presenti società multinazionali tedesche, olandesi francesi e italiane (Eni ha una joint venture paritetica con Gazprom in Blue Stream e possiede il 20% diSouth Stream Ag).


L’ipotetica sostituzione dei flussi energetici russi con quelli americani ridurrebbe drasticamente le entrate valutarie di Mosca, che grazie ad esse negli anni scorsi ha costituito un fondo statale di 530 mld di dollari (60 mld dei quali sono stati utilizzati per arginare il crollo della Borsa e la fuga di capitali causata dalle sanzioni). Ciò costringerebbe il Cremlino a guardare sempre più verso l’Asia rafforzando il proprio rapporto strategico con Pechino (nel 2011, il 21,7% della produzione manifatturiera mondiale aveva luogo in Cina) a discapito di una possibile sinergia energetica e manifatturiera con l’Europa.

L’Italia delle Pmi, di Enel ed Eni sarebbe il paese più colpito; per di più, dopo l’errore strategico della guerra in Libia dalla quale ci approvvigionavamo per il 24% dei consumi di petrolio, non pare giovi al nostro paese il congelamento - dal sapore geopolitico più che normativo - delle trattative Ue-Gazprom in merito all’opportunità che la pipeline South Stream (esattamente come è avvenuto per il Tap) ottenga l’esenzione dall’obbligo di concedere l’accesso a terzi prevista dal Terzo Pacchetto Energia (nel 2013, il 43% dei nostri consumi di gas è stato soddisfatto dai russi).

Siamo così sicuri che la crisi Ucraina sia per l’Europa un’occasione unica per smarcarsi dalla dipendenza energetica russa? Quali le eventuali conseguenze?

Proviamo ad abbozzare una risposta a una domanda tutt’altro che semplice, ma che non riguarda solamente il tema dell’energia. Secondo l’approccio teorico mainstream (filone neoclassico), la crisi atlantica odierna - la più grave dal 1929 - ha avuto un’origine finanziaria poi estesasi all’economia reale. Un secondo approccio concettuale, classico e minoritario, ha invece individuato la genesi in un eccesso di investimenti per alcuni e in un deficit della domanda per altri.

Nel bel mezzo della discussione in merito al T-Tip, all’Ue e all’Italia, suggeriamo di prestare maggiore attenzione alla spiegazione che l’economista borghese J.A. Shumpeter diede della 1ª Grande depressione, quella tra il 1873 ed il 1898. Questa poteva essere spiegata “con la spinta dei prodotti provenienti in gran copia da un apparato produttivo che i due precedenti decenni avevano grandemente allargato”.

Per quanto riguarda gli Usa invece, è forse un po’ più chiaro perché stiano tentando di mantenere l’attuale basso livello dei prezzi delloshale gas, 2/3 $ per Mmbtu, a fronte di costi di produzione di 5/6 $ per Mmbtu.

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