domenica 22 luglio 2018

ORIZZONTE48 - ALIENAZIONE E FETICISMO: Post di Bazar con contributi filologici di Arturo


 

« La mia filosofia fa rea d’ogni cosa la natura, e discolpando gli uomini totalmente, rivolge l’odio, o se non altro il lamento, a principio più alto. all’origine vera de’ mali de’ viventi »Giacomo Leopardi, Zibaldone, 2 gennaio 1829 

 (I) Introduzione

Questa serie di post ha l’obiettivo di esplorare uno dei maggiori «misteri» del nostro convivere sociale: quello dell’alienazione e del feticismo.

L’approccio sarà come di consueto fenomenologico, cercando di conciliare tanto l’empirismo più radicale quanto il trascendente, o, stando con Marx, col «religioso».

Il tema è tanto complesso quanto affascinante.

La prima parte cercherà di illustrare il senso logico e filologico del feticismo nel pensiero marxiano affidandoci a Michael Heinrich (e la sua An Introduction to the Three Volumes of Karl Marx’s Capital, Monthly Review Press, N. Y., 2004) in modo da poggiare le basi speculative su una fondazione fenomenologica – stando con Luporini – dell’epistemologia delle scienze sociali.

Si cercherà in seguito di porre in relazione la Tecnica e l’alienazione con la sociostruttura ed il feticismo, facendo una breve analisi comparata tra il cosmismo russo e le correnti di pensiero che vengono in qualche modo ricondotte al transumanesimo....

In questo affascinante ed oscuro territorio dell’esplorazione del pensiero tra epistemologia, cognitivismo e religione, si mostrerà che la presa di coscienza dell’uomo nell’impegno di liberarsi dal giogo della società in classi è una lotta per l’autocoscienza e la vita in cui l’umanità deve lottare con se stessa, con la sua volontà, con il suo Intento, per sconfiggere ciò che è altro dall’Uomo, che si presenta come Natura per non renderlo consapevole dell’oppressione e dello sfruttamento.



(II) Feticismo ed Alienazione: il rapporto tra tecnologia, lavoro e politica.

Quando si parla di feticismo nella dimensione socioeconomica non si ha a che fare con nulla di freudiano o, in qualche modo, che riguardi la sfera della sessualità. Né tanto meno si ha a che fare con l’ importanza puramente psicosociale attribuita alle merci che, nella società capitalistica, assurgono spesso a status symbol.

Il primo sforzo consiste nel compiere un passaggio dal dominio dell’esperienza individuale a quello dell’astrazione necessaria per indagare l’oggetto sociale, rinunciando alla proiezione del  personale a beneficio di una visione astratta della collettività umana come insieme di rapporti sociali: quest’astrazione permette di analizzare i fatti concreti che si presentano come fenomeni sociali.

La forza del liberalismo classico, ottocentesco, ormai ritornato da decenni mainstream, consiste proprio nel non considerare la società come un intero diverso dalla somma delle sue parti, in modo olistico e, di conseguenza, risulta essere una prassi teoreticaefficacissima per gli interessi delle facoltose classi egemoni; il liberalismo risulta così “ingannevole” e “fuorviante” nei suoi enunciati che, tendenzialmente – prendendo ad oggetto l’individuo e non la società – saranno moralistico-prescrittivi per il grande pubblico delle classi subordinate da una parte, e paluderanno una precisa linea di ristrutturazione sociale favorevole ad una minoranza dall’altra.

Ciò che scompare dalle coscienze, complici le ideologie propagandate dal pensiero in auge, sono i rapporti sociali.

Se non associamo al concetto di “valore economico” quello di qualità e quantità di “vita spesa”, alienata come “tempo di lavoro” nella produzione di beni e servizi, e consideriamo uno dei concetti fondativi del liberalismo – post-rivoluzione marginalista – come quello per cui la creazione del valore non è attribuita al lavoro ma all’arte (sic, cfr. Nietzsche...) della rendita capitalistica, il tempo dedicato al lavoro materiale ed intellettuale non verrebbe cosìalienato, ma apparterrebbe ab origine al rentier: la vita e la relativa coscienza, secondo quello che è oggi un dogma sotteso al pensiero dominante, non sarebbero della persona umana, ma sarebbe di proprietà e sotto controllo dei padroni nella forma di cose: prodotti e servizi, merci.

Se ne deduce che la prescrizione-moralistica propagata dalla classe egemone è quella di rendere totalizzante quest’alienazione propedeutica al controllo totale e totalitaristico delle organizzazioni sociali, in modo da renderle massimamente efficienti per lo sfruttamento.

Il primo grande autore a svolgere in modo sistematico questo punto di vista è stato Marx: secondo il padre delle scienze sociali moderne, il feticismo delle merci è caratterizzato da quello stato di cose per cui i rapporti sociali tra persone appaiono come relazioni tra beni: “beni” che sono messi in relazione tra loro tramite il “valore”.

Non a caso la sezione finale del primo libro de Il Capitale si chiama «Il Feticismo della Merce ed il suo Segreto»

Michael Heinrich, filologo, economista e matematico tedesco, fa notare che questa realtà non è semplice falsa coscienza che, una volta disvelata, fa cadere l’inganno della mercificazione delle relazioni sociali, portando alla luce il rapporto tra persone sotteso, ma:

---a) « la mercificazione dei prodotti appare a prima vista una cosa estremamente ovvia, banale, eppure, ad un’analisi più approfondita, si nota una cosa piuttosto strana, ricca disottigliezze metafisiche e teologiche » (Il Capitale, 1:163)

Una merce «trascende la sensitività», o meglio – stando con Marx – è una «cosa» con proprietà «sensitive extra-sensoriali», «soprannaturali» [sinnlich übersinnliches Ding] (Il Capitale1:163].

Sicuramente non è misterioso il fatto che una merce abbia un particolare valore in funzione del tempo di lavoro umano speso a produrla o per chissà quale altra spiegazione teorica, come nel caso visto sopra della posizione presa dall’elitismo marginalista che nega l’assunto dell’economia classica che Marx fa proprio: l’analisi mostra che il valore-oggettivo non può essere espresso dalla merce in sé (ed è in questo senso che viene definita “extrasensoriale”, ovvero di una “oggettività spettrale”), ma solo attraverso un’altra merce che incorpora direttamente in sé il valore.

---b) dove sorge, quindi, il carattere enigmatico della forma merce?

Marx risponde che, chiaramente, deriva dalla forma stessa.

Il carattere misterioso della forma merce è quindi costituito semplicemente dal fatto che «la merce riflette le caratteristiche sociali del lavoro umano come caratteristiche oggettive del prodotto del lavoro stesso, come se fossero proprietà socio-naturali [gesellschaftliche Natureigenschaften] di queste cose. Quindi riflette anche la relazione sociale dei produttori sulla somma totale del lavoro come relazione sociale, che esiste al di là da e al di fuori dei produttori. » (Il Capitale, 1: 164-65)

In ogni forma sociale di produzione caratterizzata dalla divisione del lavoro, le persone stanno in un particolare rapporto sociale tra loro.

« Nella produzione di merci, questa relazione sociale tra le persone appare come una relazione tra le cose: non sono più le persone a stare in una relazione specifica tra loro, ma le merci.
Le relazioni sociali delle persone appaiono quindi come proprietà “socio-naturali” dei prodotti del lavoro: cosa intenda Marx può essere mostrato usando l’esempio del valore: da una parte è chiaro che il valore non è una proprietà naturale delle cose, come il peso ed colore, ma dall’altro lato, per le persone che vivono una “società produttrice di merci”, appare che le cose in un contesto sociale automaticamente possedono “valore”, e che quindi automaticamente seguono loro leggi oggettive alle quali gli esseri umani si devono sottomettere. Sotto la condizione della produzione di merci, le cose assumono vita propria, per le quali Marx trova semplicemente un paragone adatto col «nebuloso regno della religione»: nella religione, è il prodotto della mente umana a prendere vita propria, mentre nel mondo delle merci è «il prodotto delle mani dell’uomo» che lo fa:

« Chiamo “feticismo” ciò che si attacca ai prodotti del lavoro, appena questo viene prodotto come merce, ed è quindi inseparabile dalla produzione di merci. »  Il Capitale, 1: 165

---c) se il feticismo «si attacca» alle merci, allora deve essere qualcosa di più che semplicemente una questione di falsa coscienza: il feticismo deve anche esprimere una situazione reale. Effettivamente, in queste condizioni, i produttori non sono in relazione tra loro in modo diretto, sociale; prima entrano in relazione l'un l'altro durante lo scambio, attraverso i prodotti del loro lavoro. Il rapporto sociale tra cose non è quindi una semplice illusione: stando con Marx: « le relazioni sociali tra il loro lavoro privato appaiono per ciò che sono, cioè non appaiono come relazioni sociali dirette tra le persone al loro lavoro, ma piuttosto come relazioni cosificate [dinglich] tra persone e relazioni sociali tra cose » Il Capitale, 1: 166

Questa “caratteristica sociale”, il “valore”, è considerato nella società capitalistica «auto-evidente e necessità imposta dalla natura» Il Capitale, 1: 175

---d) Il valore è l’espressione oggettiva di una relazione sociale prodotta dagli esseri umani, ma non è a loro trasparente.

Gli uomini quindi non mettono in relazione i prodotti del loro lavoro l’uno con l’altro come “valori” perché vedono questi oggetti semplicemente come il risultato materiale di omogeneo lavoro umano. E’ vero il contrario: equiparando i loro diversi prodotti tra loro in cambio di “valore”, essi equiparano i loro diversi tipi di lavoro come “lavoro umano”. E lo fanno senza esserne consapevoli. (Il Capitale, 1: 166)

Lo scambio di “valore” avviene senza che nessuno sia consapevole di quanto “valore umano” sia contenuto nei prodotti scambiati.

Quello che fa Marx è mostrare che gli umani agiscono senza essere consapevoli delle condizioni della loro azione.

---e) Questo feticismo prodotto inconsciamente non è semplicemente uno stato di falsa coscienza, ma piuttosto possiede una forza materiale. Il valore delle merci scambiate varia continuamente, indipendentemente dalla volontà, dalla preveggenza e dalle azioni di chi opera nel mercato. Il loro stesso movimento all'interno della società viene da loro stessi percepito sotto la forma di un movimento compiuto da cose, che sono lungi dall’essere sotto il loro controllo, infatti sono le cose stesse che controllano loro. (Il Capitale, 1: 169-70)

Il valore delle merci è espressione di un travolgente interazione sociale che non può essere controllata dagli individui. In una società fondata sulla produzione di merci, le persone (tutte!) sono sotto il controllo delle cose, e i rapporti decisivi di dominio non sono personali ma “oggettivi” (sachlich). Questo dominio impersonale e oggettivo, questa sottomissione a “necessità intrinseche”, non esiste perché le cose stesse posseggono caratteristiche che generano tale dominio, o perché l'attività sociale richiede questa mediazione attraverso le cose, ma solo perché le persone si relazionano alle cose in un modo particolare – come merci.

---f) Questo dominio oggettivo (sachliche Herrschaft) e l’oggettivazione delle relazioni sociali come “proprietà delle cose” è il risultato di uno il specifico  comportamento degli umani che non è trasparente alla coscienza quotidiana.

Per questa coscienza spontanea, «le forme che permettono ai prodotti di avere la forma di merce… possiedono la qualità fissa di forme naturali di vita sociale» (Il Capitale, 1: 168).

Le categorie dell’economia (neo)classica devono operare sotto l’illusione di queste forme. Però, questa illusione non è il risultato del delirio soggettivo del singolo economista. Marx sottolinea che questa illusione si basa su una oggettività specifica e quindi ha una certa necessità:

«Le categorie dell’economia borghese consistono precisamente in forme di questo tipo. Sono forme di pensiero socialmente valide e, quindi, obiettive [gesellschaftlich geltige, anche objektive Gedankenformen] per i rapporti di produzione appartenenti a questa modalità storicamente determinata di produzione sociale, ad esempio la produzione di merci». (Il Capitale, 1: 169)

La “critica alle categorie borghesi” di Marx non è un esercizio astratto di filosofia della scienza:

« L’economia politica ha infatti analizzato il “valore” e la sua “grandezza”, comunque in modo incompleto, e ha scoperto il contenuto nascosto di queste forme. Il punto è che non si è mai chiesta il perché questo contenuto ha assunto una particolare forma, vale a dire, perché il lavoro è espresso in valore, e perché la misura del lavoro per la sua durata è espressa nella grandezza del valore del prodotto » (Il Capitale, 1: 173-74)

Perché il valore-oggettività (Wertgegenstandlichkeit) è il risultato di un comportamento molto specifico degli esseri umani, ovvero produrre le cose in privato
e scambiarle, ma questa correlazione non è né evidente né si presenta spontaneamente alla coscienza di tutti i giorni o agli economisti politici. Entrambi vedono nella forma merce una “proprietà socio-naturale” (gesellschaftliche Natureigenschaft). A tale riguardo, sia la coscienza quotidiana che la scienza economica rimangono imprigionate in questo feticismo.

Una volta riconosciuto il feticismo come fatto sociale, ovvero come prassi consuetudinaria – per quanto comunemente inconscia – nel modo di rapportarsi tra gli uomini, Marx evidenzia che ciò non è naturale ma, piuttosto, assolutamente modificabile dagli uomini, fino a poter concepire società prive di mercificazione e denaro. 


---g) Il feticismo non è limitato alla merce. È anche inerente al denaro.

La moneta, come manifestazione indipendente di valore, possiede uno speciale forma di valore: a differenza di tutte le altre merci esiste nella forma dell'equivalente generale. Il bene speciale (o pezzo di carta) che funziona come moneta può funzionare solo come moneta, proprio perché tutte le altre merci si relazionano ad esso come moneta. Tuttavia, la forma moneta appare essere una “proprietà socio-naturale” di questo bene.

«Ciò che sembra accadere non è che una merce particolare diventa moneta perché tutte le altre merci esprimono il loro valore in essa, ma, al contrario, tutte le altre merci esprimono universalmente il loro valore tramite un bene particolare, perché è moneta. Il movimento attraverso cui questo processo è stato mediato svanisce nel suo stesso risultato, non lasciandosi tracce dietro. Senza alcuna iniziativa su queste, le merci trovano la loro particolare configurazione-di-valore pronta a portata di mano, sotto forma di un bene fisico esistente al di fuori ma anche al fianco di queste» (Il Capitale, 1: 187)

Il ragionamento che si è fatto sulla merce si applica anche alla moneta: solo il risultato di un comportamento specifico dei proprietari di merci permette alla moneta di possedere le sue proprietà specifiche. Ma questa mediazione non è più visibile, “svanisce”. Per questo motivo, sembra che la moneta possegga questa proprietà in sé e per sé. Nel caso della moneta, se è una moneta metallica o un pezzo di carta, una relazione sociale appare come un proprietà oggettiva di una cosa. E proprio come per la merce, gli attori sociali non devono essere consapevoli della relazione di mediazione al fine di agire: “Chiunque può utilizzare la moneta come moneta senza necessariamente capire che cosa la moneta sia”(Teorie sul plusvalore, MECW 32: 348).

(In teoria dovrebbe essere più facile cogliere il carattere feticistico di una moneta fiat, ma viene da domandarsi se la sua presunta “scarsità” non ne sia la forma peculiare). 

In pratica Marx, da padre della sociologia moderna, associa la moneta alla merce in quanto in comune hanno una “forma sociale”: ovvero ciò che hanno in comune la moneta e la merce, non è un qualche “valore intrinseco” come sostenuto da gran parte degli economisti neoclassici, ma l’essere riferite ad un’istituzione conforme ad un suo concetto, ovvero ad una forma sociale con una sua razionalità che rende i fenomeni sociali oggettivi e dotati di regolarità analizzabili scientificamente. Questa istituzione fondamentale è il mercato che, con le sue istituzioni ausiliarie come la moneta, assoggetta a logiche oggettive i rapporti sociali.
E’ facile rendersene conto con un semplice esperimento mentale: mentre con un milione di euro su un’isola deserta potrò al massimo accendere un falò, con la stessa somma in Italia avrò un significativo potere sociale: è la società che glielo conferisce, non una qualche proprietà magica della carta.

L’economia politica, da questo punto di vista, è la scienza che studia il rapporto tra le istituzioni mercantili che rispondono a logiche privatistiche, e le istituzioni pubbliche rappresentate dallo Stato.

---h) L’ “assurdità” [Verriicktheit] (Il Capitale, 1: 169) di questa reificazione dei rapporti sociali aumenta nel caso della moneta. Se i prodotti del lavoro si trasformano in merce, acquisiscono un valore-oggettività oltre alla loro obiettività fisica come valore d'uso. Questo valore-oggettività, come illustrato sopra, è una “oggettività spettrale”, apparentemente obiettiva quanto il valore d'uso, ma non tangibile o visibile nel singolo oggetto. Il denaro, però, conta come manifestazione indipendente di valore. Mentre le merci sono oggetti utili che in aggiunta posseggono lo stato obiettivo di essere valori, il denaro è direttamente il "valore-cosa" (Wertding).

Marx chiarisce questo punto usando un bell'esempio:

« È come se, oltre a leoni, tigri, lepri e tutti gli altri animali realmente esistenti con cui insieme costituiscono le varie famiglie, specie, sottospecie, ecc. del regno animale, esistesse anche l'Animale, l’incarnazione individuale di tutto il regno animale » (MEGA 11.5: 37)

Quel “Animale” che cammina tra i vari animali concreti non è solo materialmente impossibile, è anche un'assurdità logica: la categoria astratta è posta allo stesso livello degli elementi da cui la categoria astratta è derivata. Ma la moneta è la vera esistenza di questa assurdità.

---i) Nella società borghese, la coscienza spontanea delle persone soccombe al feticismo della merce e del denaro. La razionalità del loro comportamento è sempre un sottoprodotto della razionalità all'interno del quadro stabilito dalla produzione di merci. Se le intenzioni degli attori sociali (ciò che loro “sanno”) sono il punto di partenza dell'analisi (come è il caso in economia neoclassica e varie teorie sociologiche), allora quello che gli individui “non sanno”, la struttura che precondiziona il loro pensiero e le attività, sono cancellati dall'analisi fin dall'inizio.

Con il capitalismo liberale, la struttura sociale lega e, in qualche modo, “sostituisce” le persone stesse, cosificandone i rapporti e le coscienze. Indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza.

Si può riassumere nei termini usati da George McCarthy (Marx’s Critique of Science and Positivism, Kluwer, Dordrecht-Boston-Londra, 1988, pag. 5):
«Le istituzioni sociali e le risultanti relazioni interpersonali sono parte dell’epistemologiapoiché hanno la capacità di distorcere e minare la ricerca di autocoscienza e autonomia morale. La chiarificazione del significato delle pratiche sociali e delle loro rivendicazioni di verità e validità verrà studiato in relazione al modo in cui il sistema sociale promuove o limita la ricerca della veritàla falsa coscienza e l’ideologia sono prodotti di una società che tenta di nascondere le strutture di potere e le forme sociali di dominio e sfruttamento. Da questo punto di vista l’economia politica viene considerata come una forma di epistemologia sociale»

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