venerdì 12 gennaio 2018

Ingegnere Carlo De Benedetti...lo spin doctor di MatteoRenziPD...

Risultati immagini per foto di carlo De Benedetti e la Boschi
(Giacomo Amadori e Carlo Tarallo per La Verità) –
 L’ epitaffio su un’ epoca, quella del Pd renziano, l’ ha messo a verbale l’ ingegner Carlo De Benedetti, tessera numero 1 del Pd, presidente onorario del gruppo editoriale Gedi (quello di Repubblica) e riferimento del partito radical chic. Infatti grazie a uno scoop dell’ inviato del Sole 24 Ore Angelo Mincuzzi e dal giornalista investigativo Lorenzo Bagnoli abbiamo scoperto che l’ imprenditore italo-svizzero considera 5 milioni di euro (quelli investiti nelle banche Popolari) spiccioli per le spesucce e che ha fatto da spin doctor per il Jobs act.
L’ Ingegnere era stato convocato davanti alla Consob la mattina dell’ 11 febbraio 2016 «nell’ ambito di indagini amministrative relative a ipotesi di abuso di informazioni privilegiate con riguardo a operazioni effettuate» dalla Romed spa di De Benedetti tra il 16 e il 19 gennaio 2015 su azioni ordinarie di sei cosiddette Banche popolari. «In quei giorni del 2015, poco prima che il governo Renzi varasse il decreto per trasformare le Popolari in Spa nel Consiglio dei ministri del 20 gennaio, qualcuno aveva operato in Borsa sui titoli delle banche coinvolte» hanno ricordato i giornalisti del Sole 24 Ore....
Nell’ audizione, oltre a difendersi, De Benedetti ha tracciato un ritratto desolante per il lettore-elettore di sinistra del governo dei mille giorni di Renzi, vantandosi di esserne stato l’ advisor non pagato. «Non è un governo, sono quattro persone» ha detto.
L’ Ingegnere parla di breakfast a Palazzo Chigi e di cene frequenti a casa sua, dove si attovagliavano i magnifici quattro di cui sopra: Renzi, Maria Elena Boschi, Pier Carlo Padoan e Graziano Delrio. L’ istantanea è quella di un clamoroso corto circuito mediatico-politico-imprenditoriale ben oltre le informazioni privilegiate per giocare in Borsa di cui si è discusso sino a oggi. Qui il problema non è l’ insider trading, ma il fatto che il governo fosse guidato da un sedicente premier ombra, nonché tycoon e imprenditore. Perlomeno Silvio Berlusconi si è candidato e ci ha messo la faccia. Del suo potenziale conflitto di interessi erano tutti al corrente. Di quello di De Benedetti no.
«ROBETTA»
Ma torniamo al verbale. L’ Ingegnere, per difendersi dalle accuse di utilizzo di informazioni privilegiate, fa notare che un guadagno di 600.000 euro per lui sono bazzecole. «L’ operatività della Romed è stata di 620 milioni, di cui 5.066.451 sulle Popolari, cioè per dirle che questa è un’ operazione fuori size (misura, ndr) perché se lei prende tutte le altre operazioni sono almeno da 20 milioni. Quindi 5 milioni, per noi è un’ operazione che non facciamo… d’ altronde noi facciamo 20 miliardi all’ anno, se fossimo andati avanti con 5 milioni non li faremmo mai. Ma se io avessi saputo, avrei fatto 20 anche sulle Popolari, o di più, e ho fatto meno! Ma perché l’ avrei fatta così piccola? Se avessi saputo?».
A «interrogare» De Benedetti sono Maria Antonietta Scopelliti, responsabile divisione Mercati della Consob, e il responsabile dell’ Ufficio abusi di mercato, Giovanni Portioli. I quali vogliono vederci chiaro in quelle operazioni. Il 15 gennaio, alle 7 del mattino, cinque giorni prima che il governo varasse il decreto, De Benedetti incontra il premier a Palazzo Chigi.
I due fanno colazione insieme. Racconta De Benedetti: «Accompagnandomi all’ ascensore di Palazzo Chigi mi ha detto: “Ah! Sai, quella roba di cui ti avevo parlato a Firenze, e cioè delle Popolari, la facciamo”. Ma proprio mentre un commesso stava aprendo la porta dell’ ascensore», aggiunge De Benedetti, «fu proprio nel dirci: “ciao, arrivederci”, mi ha detto: “Ah, ti ricordi di quella volta, ti ricordi di quando ti parlai che volevo fare le Popolari? Ecco, lo faremo”.
Non mi ha detto con che. Ero già un piede sull’ ascensore; non mi ha detto se le faceva con un decreto, con disegno, quando». Per De Benedetti la certezza che passasse la riforma, trasmessa al suo investitore, «derivava» da quel colloquio mattutino. Il giorno prima aveva incontrato anche il direttore generale di Bankitalia, Fabio Panetta. Il quale gli avrebbe detto alla fine del colloquio, sulla porta dell’ ascensore: «L’ unica cosa positiva che mi pare che finalmente il governo si sia deciso ad implementare quella roba che noi chiediamo da anni e cioè la riforma delle Popolari».
Ma lo scoop di Mincuzzi e Bagnoli offre altre chicche. «Io normalmente», dice ancora De Benedetti ai funzionari della Consob, «con Renzi faccio, facciamo breakfast insieme a Palazzo Chigi e io devo dire che quando lui ha iniziato, quando lui ha chiesto di conoscermi, che era ancora sindaco di Firenze, e mi ha detto: “Senta”… ci davamo del Lei all’ epoca, mi ha detto: “Senta, io avrei il piacere di poter ricorrere a Lei per chiederle pareri, consigli quando sento il bisogno”. Gli ho detto: “Guardi! Va benissimo. Non faccio, non stacco parcelle, però sia chiara una roba: che se Lei fa una cazzata, io Le dico: caro amico, è una cazzata”».
Gli 007 della Consob chiedono a De Benedetti se abbia incontrato qualcun altro dello staff della presidenza del Consiglio. «No», risponde De Benedetti. «Guardi io sono molto amico di Elena Boschi, ma non la incontro mai a Palazzo Chigi. Lei viene sovente a cena a casa nostra ma non … diciamo io, del Governo vedo sovente la Boschi, Padoan. Anche lui viene a cena a casa mia e basta». Ci mancherebbe, visto che la sottosegretaria si è scandalizzata per l’ invito alle otto del mattino dell’ ex presidente della Consob Giuseppe Vegas. Ma è a questo punto che l’ Ingegnere tira giù il sipario sul renzismo: «Perché poi sa, quello lì si chiama governo, ma non è un governo, sono quattro persone».
De Benedetti a verbale dice la sua anche su Delrio: «L’ ho visto quando era a Palazzo Chigi perché poi, ad un certo punto, a mio parere, quando Delrio (all’ epoca sottosegretario, ndr) era sembrato un po’ troppo popolare, l’ hanno mandato al ministero: insomma, questo è il motivo per cui non siede più a Palazzo Chigi ecco. Sì, sì ma Delrio lo conosco bene, lo stimo molto».
«JUNCKER? CRETINO»
Nel suo discettare di massimi sistemi, regala anche alcune perle che certo non faranno piacere nei circoli internazionali: «Quando Renzi è arrivato a Palazzo Chigi, ha instaurato questa abitudine di vedermi alle sette del mattino e in quelle occasioni si parla un po’ di tutto, ma soprattutto di politica italiana oppure di cose della Libia». A questo punto De Benedetti sembra riportare i commenti di Renzi: «Mi so’ rotto i coglioni della Merkel () Comunque, va bene, non ne posso più dei tedeschi, Juncker è un cretino, insomma queste cose qui che fanno parte del suo bagaglio, del suo modo di parlare».
De Benedetti parla anche del Jobs act e di ciò che aveva suggerito a Renzi quando era ancora sindaco di Firenze: «Io gli dicevo che lui doveva toccare, per primo, il problema lavoro e il Jobs act è stato – qui lo dico senza, senza vanto, anche perché non mi date una medaglia, ma il Jobs act gliel’ ho suggerito io all’ epoca come una cosa che poteva, secondo me, essere utile e che poi, di fatto, lui poi è stato sempre molto grato perché è l’ unica cosa che gli è stata poi riconosciuta».
Chissà se i lettori di Repubblica ed Espresso saranno contenti di sapere che il Jobs act, considerato da molti la riforma che ha precarizzato il lavoro, è stata ideata dal loro editore di riferimento....
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