Rifondazione Comunista - del coordinamento nazionale
di Unione Popolare
È morto Giorgio Napolitano e voglio innanzitutto esprimere le mie condoglianze ai familiari. Voglio parimenti proporre alcune riflessioni sul ruolo politico che Napolitano ha svolto in lunghi decenni, in netta controtendenza con la glorificazione che è scattata sui media italiani e con il coro di lodi che i potenti del mondo stanno intonando. Napolitano infatti è stato un esponente importante del blocco di potere dell’Italia negli ultimi decenni, nel suo ruolo di Presidente della Repubblica ha voluto e accompagnato alcune delle peggiori scelte fatte dal nostro paese e quindi è normale che le classi dominanti che ha servito per decenni gli rendano omaggio e ne esaltino la figura. Non è il mio punto di vista.
Non voglio qui parlare dell’esperienza di Giorgio Napolitano come dirigente del Partito Comunista Italiano. Altri lo possono fare molto meglio di me. Vorrei solo far notare sommessamente che indicarlo come un liberale nelle fila del PCI costituisce una forzatura. La destra comunista di cui faceva parte più che per un tratto liberale si caratterizzava per un fortissimo consociativismo sia politico che sociale e tutto era salvo che liberale dal punto di vista dei riferimenti democratici. Quella corrente era portatrice di una concezione autoritaria del partito, concezione che si riverberava anche nella concezione della società e dello stato. Parimenti il consociativismo sociale e politico più che alla trasformazione mirava all’inserimento del partito nella gestione del potere.
Non a caso Berlinguer, nel porre all’inizio degli anni 80 il tema dell’alternativa, trovò proprio nella corrente di Napolitano i suoi principali avversari. Non comunisti liberal ma comunisti consociativi e attratti principalmente dalle dinamiche del potere: certo non il meglio che la tradizione comunista abbia sfornato nel secolo scorso…
Vorrei però concentrarmi sul ruolo di Presidente, dove a mio parere Napolitano ha dato il peggio di sé e ha fatto più danni al paese.
Un presidente di guerra
Innanzitutto un presidente di guerra garante della subalternità dell’Italia alla Nato.
La vicenda della guerra alla Libia, in cui l’Italia dette il suo assenso all’aggressione al regime libico, è un punto rilevante della presidenza di Napolitano. La scelta di appoggiare quel conflitto fu un errore drammatico: la destabilizzazione della Libia ha prodotto una situazione tragica per il popolo libico e si è riverberata sul complesso del nord Africa. Non solo. Quella guerra era palesemente una guerra contro le relazioni privilegiate che l’Italia aveva con la Libia. Napolitano fu quindi protagonista di una azione di guerra che non solo peggiorò drammaticamente le condizioni di vita delle popolazioni libiche ma che minò pesantemente gli interessi geopolitici del nostro paese. Il tutto per sottolineare ancora una volta la sua fedeltà atlantica.
Anche durante la vicenda del governo Prodi il suo ruolo sulla guerra fu nefasto. La sua insistenza a sottolineare che il governo doveva avere il voto della sua maggioranza su ogni missione militare, anche quando non vi era nemmeno lontanamente un problema di fiducia, fu una arbitraria e destabilizzante interferenza nel libero svolgersi della dialettica politica. La sua scelta a favore della guerra in Afghanistan, il suo presentarla come una missione di pace e non per quello che era, sono stati una delle pagine negative della storia della Repubblica. Insomma, la sudditanza atlantica della presidenza Napolitano non è stata solo una forzatura rispetto alla tradizione della sinistra da cui proveniva ma una vera e propria involuzione rispetto alla politica estera mediterranea di cui si erano fatti interpreti non solo Mattei ma anche gli Andreotti e perfino Craxi. Un presidente di guerra e senza alcuna visione del ruolo geopolitico dell’Italia che non fosse lo scattare sull’attenti di fronte alle richieste statunitensi.
Ha spianato la strada al liberismo
Il ruolo di Napolitano nell’insediamento del governo Monti e nella sua presentazione come il salvatore della patria fu decisivo. Altre strade che pure Bersani aveva tentato furono stoppate e il paese venne precipitato in un incubo da cui facciamo fatica ad uscire. Perché il governo Monti non ha salvato l’Italia ma al contrario, senza alcuna strategia di rilancio del paese ha prodotto una pesante distruzione delle conquiste storiche del movimento operaio ed ha posto il sistema paese in una situazione di decadenza progressiva.
L’assolutizzazione della religione dei sacrifici, visti come panacea di tutti i mali ha infatti portato l’Italia in un regime di bassi salari, di altissima precarietà, di privatizzazione dei servizi, di qualificazione del sistema formativo e di smantellamento della previdenza pubblica che ha posto le condizioni per la crisi strutturale del paese: competitivi solo per la drastica riduzione dei salari e incapaci di sviluppare il mercato interno e la qualificazione del lavoro e delle produzioni. Anche in questo caso la scelta di politiche antioperaie non ha avuto alcun respiro strategico di rilancio del paese ma semplicemente l’ottusa adesione ai dettami del neoliberismo ideologico.
Non voglio proseguire oltre, con le interferenze nel processo relativo alla trattativa Stato mafia o nelle discutibilissime modalità di esercizio della presidenza del Csm rispetto al alcuni magistrati “scomodi”… Devo dire che anche se l’aver fatto il ministro per due anni sotto la sua presidenza mi ha fornito varie testimonianze del modo del tutto discutibile in cui esercitava la sua azione istituzionale.
Se c’è un presidente – e per ragioni di spazio non voglio qui tirare in ballo la rielezione – che ha spinto istituzionalmente verso elementi di presidenzialismo questo è stato Napolitano. Più di una volta nei corridoi di palazzo Chigi mi sono sentito dire che il presidente voleva vedere il provvedimento prima che fosse approvato…. La nostra Carta costituzionale conferisce al Presidente della Repubblica un ruolo di controllo, non un ruolo di gestione degli affari del governo e tanto meno un ruolo gerarchico nella definizione dell’indirizzo politico da attuare. Evidentemente questo ruolo di controllore a Napolitano stava stretto.
Mi fermo qui ma il punto a me pare chiaro: a mio avviso, Napolitano non è stato un fedele servitore dello Stato in nome degli interessi superiori del paese ma piuttosto un fedele servitore dei poteri forti nazionali e internazionali che ha svolto una rilevantissima azione politica utilizzando gli incarichi istituzionali che è riuscito ad ottenere. Cordoglio per la persona ma – come nel caso di Berlusconi – nessun rimpianto per il politico.
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