Dalle pagine del Telegraph, Sir William Hague delinea la strategia di governo dei prossimi anni, dai negoziati con la UE ai trattati commerciali con il resto del mondo.
di Maurizio Blondet
Come? Il popolo vota "leave", e si dimette il premier Cameron; si ritira Boris Johnson e adesso se ne va anche Nigel Farage. "Da qui se ne vanno tutti", come dice una canzoncina. Un mio lettore mi scrive nel panico: "Il Brexit sarà una catastrofe; chi guiderà la Gran Bretagna?". Panico comprensibile in un italiano, che non sa cosa sia una classe dirigente nazionale, un'aristocrazia capace di garantire la "continuity of government" da cinque secoli in qua. Di fronte a quello che controlla silenzioso il Regno Unito, qualunque altro "Stato profondo" è una superficiale imitazione. Lì, si può grosso modo identificare coi "Lord" e con "Buckingham Palace", con lo MI6 sempre gestito da un Pari (mai che ci mettano un plebeo), con il Rito Scozzese legittimista e fedelissimo alla Corte. Di rado questo stato profondo si manifesta. Stavolta s'è manifestato.
Con una colonnina scritta sul Telegraph da Sir William Hague, barone Hague di Richmond, con un seggio ereditario alla camera dei Lord, da sempre ministro degli esteri della monarchia. Titolo: "We Conservatives are all Leavers now. We must unite to build a new and better Britain". Traduzione: "Noi Tories siamo tutti per il Brexit, adesso. Dobbiamo unirci per costruire una Gran Bretagna nuova e migliore".
Lo si legga (vedi link a pie' di pagina), per apprezzare il tono sovranamente placato di questa chiamata all'ordine e all'unità. "Chiunque sia il prossimo leader conservatore, noi stiamo lasciando l'Unione Europea", assevera il barone di Richmond. Chi manifesta per chiedere un nuovo referendum, chi spera che si tornerà indietro, si illude. La decisione è "irreversibile", martella. E delinea per sommi capi la strategia di governo dei prossimi anni. Occorreranno "due forti posizioni di Segretario di Stato, una per gestire il negoziato con la UE e l'altra per i trattati commerciali con il resto del mondo e fare del regno un campione a tempo pieno di esportazioni". Sdoppiamento del ministero degli esteri, dunque.
un sacrificio che William Hague consiglia di accettare serenamente: "Non c'è modo di rassicurare queste imprese sull'accesso continuato al mercato unico europeo, dal momento che quasi certamente sarà incompatibile col controllo dell'immigrazione". Ascoltino, tali imprenditori, "la gara nel dibattito conservatore per sviluppare nuove idee per mantenere la Gran Bretagna alta nella classifica delle grandi nazioni con cui fare affari". Per intanto, propone una tassazione sulle imprese inferiore al 15%; anzi "del 12.5% come nella repubblica d'Irlanda", ciò che certamente diminuirà la tentazione delle aziende di trasferire la sede a Francoforte. "Tutti in Gran Bretagna - conclude Hague - compresi quelli di noi che hanno votato 'Remain', devono ora fare il salto mentale di accettare ciò che è accaduto e lavorare a come compensare quel che abbiamo perso con nuovi vantaggi nazionali".
Meyssan ha dunque ragione?
Questo conferma la tesi lanciata due settimane fa da Thierry Meyssan, e che allora è sembrato troppo campato in aria: che il Brexit sia unadecisione strategica della "Gentry" e di "Buckingham Palace", allo scopo di riposizionare la City come centrale globale dove si negozia lo yuan, la moneta cinese. Lo Stato profondo si allontanerebbe non solo dalla UE ad egemonia tedesca, ma soprattutto dagli Stati Uniti, che ormai giudica superpotenza finita, e senza futuro.
"La City di Londra non è direttamente influenzata dal Brexit - ricorda Meyssan - . Dato il suo status speciale di Stato indipendente sotto l'autorità della Corona, non ha mai fatto parte dell'Unione europea. Certo, non potrà più ospitare le sedi sociali di certe aziende che ripiegheranno verso l'Unione, ma al contrario potrà utilizzare la sovranità di Londra per sviluppare il mercato dello yuan. Già ad aprile, ha ottenuto i privilegi necessari firmando un accordo con la Banca centrale della Cina. Inoltre, dovrebbe sviluppare le sue attività di paradiso fiscale per gli europei".
Una tesi affascinante e intelligente, tutta da leggere (si veda link a pie' di pagina).
Forse troppo intelligente, mi son detto - anche se Meyssan, che è stato uomo dei servizi francesi per parte di padre, non è mai da prendere sottogamba. A sostegno della sua tesi, ci sono alcuni indizi. La Regina Elisabetta s'è battuta a favore del Brexit, dalla sua neutralità super partes con astute fughe di notizie accuratamente gestite da Buckingham Palace per farle giungere ai tabloid popolari, per far capire alle plebi monarchicissime cosa pensava sua maestà.
La Hong Kong Shanghai Bank (HKSB, la storica banca imperiale dellaGuerra dell'Oppio) si è recentemente riposizionata a Hong Kong; l'interscambio del Regno con la Cina è passato in pochissimo tempo da 20 a 80 miliari di sterline. Soprattutto, nel 2014 Londra ha voluto fortemente entrare - sorprendendo lo stesso governo cinese - come "socio fondatore" nella AIIB, Banca Asiatica di Investimenti e Infrastrutture creata dal governo di Pechino per lo sviluppo della zona asiatica di sua egemonia, infischiandosene dell'altolà di Washington irritatissima, perché la AIIB farà concorrenza al Fondo Monetario e alla Banca Mondiale, gli storici strumenti del potere globale, finanziario e imperiale, anglo-americano. "La City diverrà la prima clearing house per lo yuan fuori dell'Asia", annunciò allora il ministro economico, Gerge Osborne, conservatore.
Poi è arrivata la visita di Xi Jin Pin alla Regina, accolto con tutti gli onori, e con la decisione di farsi finanziare nel Regno Unito due centrali atomiche di fabbricazione cinese ( il che ha segato le gambe alla europea Areva). Un cambio di paradigma del potere britannico, con un cambio di "relazione speciale" dagli Usa alla Cina? Una "relazione speciale" a cui il Regno Unito porta alla Cina una dote ragguardevole. Come ricorda Meyssan, Elisabetta II è - nel Commonwealth - regina anche di Australia e Nuova Zelanda, delle Isola Salomone e Papua New Guinea - nella zona pacifica di interesse di Pechino - e per di più delle Bahamas, Belize, Grenadine e relativi paradisi fiscali, Canada e Giamaica, Saint Lucia e Tuvalu.insomma il Regno Unito, abbandonato dall'Europa, non resta solo soletto; torna al Commonwealth, che ha propaggini importanti nell'area di Pacifico a cui la Cina ha bisogno di riversare i suoi capitali in surplus, per farne l'epicentro mondiale del nuovo secolo - che non sarà più americano.
"Il Brexit redistribuisce la politica globale", per Meyssan. Il quale giunge paragonare l'evento al crollo del Muro di Berlino nel 1989, che provocò quel che sapete; nel dicembre 1991 si dissolveva l'URSS, sei mesi dopo il Patto di Varsavia finiva, e si scioglieva il Comecon, il "mercato comune" fra paesi comunisti. La UE, dice il francese, farà la fine del Comecon, di cui non fu nemmeno necessario negoziare lo scioglimento, perché il paese che lo guidava non esisteva più - e la stessa Urss veniva smantellata, anzi la stessa Russia ha corso il pericolo di smembramento, a cui Putin si oppose con la guerra alla Cecenia. Spero che Meyssan abbia ragione, e non scambi i suoi (e nostri) desideri per realtà. Temo che la UE sia intessuta da interessi più forti e intricati del Comecon; basti dire che da quello tutti speravano solo di sfuggire, mentre qui - a parte tutte le classi politiche e le potenti burocrazie il cui destino è legato alla UE - , persino nei paesi europei più depredati dall'egemonia di Berlino persiste una maggioranza popolare a favore del "Remain" nella prigione dei popoli chiamata UE: e che in caso di referendum voterebbe per restare.
Un altro punto in cui Meyssan forse non coglie nel segno: la Brexit annuncerebbe lo smantellamento della NATO e, con il riavvicinamento del Regno Unito al gigante cinese, anche i rapporti con la Russia miglioreranno, e sarà la fine delle provocazioni belliciste che Usa, Londra e altri stati europei stanno attaccando contro Mosca. Lo Stato Profondo britannico ha da secoli un incubo, e una mira strategica fondamentale, che si esprime più o meno così: impedire alla Russia di affacciarsi sui "Mari caldi", siano l'Oceano Indiano, il Pacifico, persino il Mediterraneo; lo ha fatto costantemente alleandosi nel caso coi più discutibili alleati (come ottomani, savoiardi e francesi nella guerra di Crimea), tentando di occupare l'Afghanistan per sottrarlo allo Zar (subendo uno storico disastro imperiale).
questo stato profondo che ha elaborato la teoria geopolitica che va sotto il nome di Sir Halford John Mackinder, e si esprime così: "Chicontrolla l'Heartland comanda l'Isola-Mondo: chi controlla l'Isola-Mondocomanda il mondo». Lo Heartland, questa immane distesa di terra che dal Baltico a Vladivostok, è l'incubo inglese - perché irraggiungibile dal mare e non controllabile con la flotta imperiale; la Russia con la Cina controllano lo Heartland; dunque, sono l'inciampo storico e inamovibile al potere globale britannico.
Londra inoltre - Lord Rotschild, precisamente - fornì a Khodorkovski le centinaia di milioni d dollari che bastarono allora per impadronirsi del cespite petrolifero sovietico; era anche quello un modo geniale di impadronirsi della Heartland e dunque di controllare il pianeta; Putin ha mandato a monte quel progetto. Londra non dimentica. Se davvero il dislocamento del Regno Unito cambierà i rapporti con Pechino, certo non li cambierà con Mosca. Anzi, temerei che uno degli scopi del grande "salto di paradigma" che Buckingham Palace ha operato, voltando le spalle ai neocon americani, possa essere di staccare la superpotenza cinese dalla Russia. Dopotutto, la Cina - materialista, edonista, assetata di speculazione finanziaria e di tutti gli altri giochi d'azzardo - è più "occidentale" della Russia. Nel senso in cui "occidentale" coincide col capitalismo terminale.
Articoli citati:
http://www.telegraph.co.uk/news/2016/07/04/we-conservatives-are-all-leavers-now-we-must-unite-to-build-a-ne/
http://www.telegraph.co.uk/news/2016/07/04/we-conservatives-are-all-leavers-now-we-must-unite-to-build-a-ne/
Nessun commento:
Posta un commento