lunedì 29 giugno 2015

Eugenio Scalfari - Il dubbio di Amleto che dilania noi e l'Europa.

Il dubbio di Amleto che dilania noi e l'Europa

L'Unione non c'è e la disaffezione dei cittadini nei Paesi membri aumenta. Il che rende ancora più spinoso il problema. Per Renzi la sinistra coincide col cambiamento che si materializza con le sue riforme. Ma le cose non stanno così



Il nostro è il continente più ricco di antica ricchezza, tecnologicamente il più avanzato, più popoloso degli Usa, della Russia, del Brasile, ma privo di forza politica e paradossalmente deciso a non volerla acquisire, incapace di risolvere i problemi dell'immigrazione, incapace di riportare alla legalità e alla pacificazione un Paese come la Libia che è la nostra frontiera mediterranea, incapace di darsi una "governance" federale, in grado di affrontare i problemi che la società globale ci porrà in misura sempre più crescente.

Essere o non essere? Amleto scelse di non essere e fece la fine che Shakespeare ci racconta, noi europei stiamo facendo altrettanto e se non vi poniamo al più presto riparo faremo la stessa fine. E se ci domandiamo il perché di questo volontario nichilismo, la risposta è molto semplice: i nostri Stati confederati non vogliono federarsi perché le loro classi dirigenti politiche non sono disposte a cedere la loro sovranità. Aggiungo: neppure la "governance" europea è disposta a costruire un quadro istituzionale diverso da quello esistente. Basta osservare ciò che è accaduto nelle ultime settimane e negli ultimi giorni in occasione delle trattative sull'immigrazione, sul caso greco, sul caso ucraino. Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione di Bruxelles, ha rimproverato il presidente del Consiglio dei capi di governo europei, il polacco Donald Tusk, che secondo lui era andato oltre le sue competenze. Il suddetto Tusk dal canto suo aveva appoggiato la tesi dei Paesi dell'Est europeo (tra i quali il suo paese, la Polonia) contro le quote sulla base delle quali ridistribuire l'immigrazione. Tusk sapeva che il tema delle quote stabilirebbe una equa ripartizione degli immigrati, ma il patriottismo di bandiera l'ha avuta vinta.

Questo episodio tuttavia dimostra che Tusk ha una carica priva di veri poteri presidenziali: è un polacco che si limita a presiedere il Consiglio dei capi dei governi e nulla più.

Quanto al caso greco, solo in queste ore le Autorità europee dimostrano fermezza che avrà come probabile soluzione il "default" di quel Paese. Se avessero potuto e voluto dimostrarlo tempestivamente, se la Grecia fosse stata come uno Stato americano nei confronti delle decisioni prese dalla Casa Bianca e dal Congresso, quello che sta accadendo non sarebbe accaduto. Anche la California è andata in fallimento ma è stato suo il problema di risanare le sue finanze che non incidono sul bilancio federale e sul debito sovrano degli Stati Uniti.

Insomma l'Europa non c'è e la disaffezione dei cittadini dei Paesi membri, i 28 dell'Ue e i 19 dell'eurozona, nei suoi confronti tende ad aumentare, il che rende ancora più spinoso il problema.

Se la Germania prendesse l'iniziativa, se le varie autorità europee si ponessero sulla stessa linea, se i governi nazionali accettassero il loro declassamento e la federazione con un suo regime necessariamente presidenziale, allora il finale shakespeariano sarebbe diverso. Ma temo che tutto ciò non accada. A meno che Draghi, usando i suoi strumenti economici, non ce la faccia.

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Il dubbio amletico riguarda anche l'Italia? Anche noi, la nostra classe politica, ci dobbiamo porre la domanda del " To be, or not to be " in casa nostra?

Purtroppo sì. In Europa dovevamo essere i primi a volere e a proporre gli Stati Uniti federati, ma in Italia ci dovevamo porre un problema più che mai sovrastante su tutti gli altri: noi siamo un Paese particolarmente anomalo, siamo il solo in tutta Europa dove il maggior partito  -  pur se in forte declino nei sondaggi attuali  -  è il centro dello schieramento politico. Una destra decente non c'è, la sinistra non c'è più. Ci sono gruppuscoli animati da buone intenzioni ma velleitari.

Renzi sostiene che la sinistra coincide con il cambiamento, il quale si materializza con le riforme. Lui le riforme le sta facendo mentre tutti gli altri governi precedenti (dice lui) non le fecero, quindi il cambiamento è in moto e questa è la sinistra. Forse ne è convinto e anche il suo "cerchio magico" è dello stesso avviso, ma le cose non stanno così. Riforme e cambiamento possono essere di sinistra, ma possono anche essere di destra o senza alcun segno che dia loro un colore politico.

Il "Jobs Act" per esempio non è di destra ma tantomeno di sinistra. Dà una prospettiva al precariato, ma concede alle imprese il licenziamento collettivo senza reintegro. La riforma del Senato nel testo finora approvata dalla Camera, diminuisce le prerogative del potere legislativo e aumenta enormemente quelle dell'esecutivo. È una riforma di sinistra? Affatto.

La riforma elettorale con un premio di maggioranza per chi ottiene il 40 per cento dei voti espressi è una riforma di sinistra? Proprio no. Nessuno ha mai dato un premio a chi non abbia raggiunto la maggioranza assoluta e anche di quest'ultima c'è il solo caso della cosiddetta legge truffa varata da De Gasperi nel 1953.

L'abuso delle leggi delega che vengono ormai proposte su tutti i temi e abbassano drasticamente i poteri del Parlamento, sono una prassi di sinistra? L'uso e l'abuso dei maxi-emendamenti è di sinistra? Venerdì scorso Michele Ainis sul "Corriere della Sera" ha citato un maxi-emendamento di 25mila parole e un articolo che aveva centinaia di commi con rinvii ad altri commi di altre leggi vigenti. Trasparenza? Zero.

Qualche giorno fa l'attuale sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, lamentava l'assenza di un concetto serio di sinistra. La stessa affermazione ha fatto più volte Laura Boldrini, presidente della Camera.

Nel frattempo le astensioni ammontano al 52 per cento e il Partito democratico renziano è sceso dal 41 al 32 per cento. Sono sondaggi, fotografie dell'oggi. Possono cambiare se cambierà la congiuntura economica. Ma la sinistra non c'entra con la congiuntura se essa avesse come esito sociale un aumento delle disuguaglianze. La vera sinistra o se volete la sinistra moderna è liberal-democratica, vuole maggior benessere per tutti ma eguaglianza nelle posizioni di partenza, come tante volte sostenne ai suoi tempi Luigi Einaudi. Se il cambiamento non è questo, la sinistra continuerà a non esserci e noi resteremo l'unico Paese governato dal centro. Una assai sgradevole prospettiva. Ricordate le parole di papa Francesco: "Ama il prossimo tuo un po' più di te stesso" e fatene tesoro.

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Sul caso De Luca, Renzi alla fine si è comportato come bisognava fare: ha sospeso De Luca prima ancora che si insediasse, nominasse la giunta e il suo vicepresidente. Insomma ha applicato il dettato della legge Severino. Molto bene. Vedremo adesso che cosa accadrà. Ci saranno ricorsi in quantità e alla fine spetterà al Tribunale di Napoli decidere. È probabile che si finisca con un commissario e nuove elezioni.

Il caso Marino è diverso ma in qualche modo analogo: Roma è diventata una città inguardabile e non può restare così. Il Pd renziano è largamente partecipe allo scandalo Mafia-Capitale. Il commissario del partito, Orfini, ha subìto minacce gravi da personaggi para-mafiosi ed è sotto scorta per tutelarlo. Fabrizio Barca e i suoi collaboratori volontari che hanno esaminato, su mandato della direzione del partito, l'attività dei circoli romani giudicandone alcuni buoni, altri mediocri ed altri pessimi, ricevono continuamente crescenti minacce dagli esponenti dei circoli che hanno ricevuto qualifica negativa e anziché correggersi manifestano desideri di vendetta.

Insomma resta la domanda: essere o non essere? Renzi fa quel

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