
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione due elementi di valutazione della situazione in tragico corso in Medio Oriente. Buona lettura e meditazione.
§§§Il primo è questo post su Facebook di Lavinia Marchetti:
GLI EBREI CHE NON SI PIEGANO: SOSPENSIONI, RICORSI E CENSURA NEL REGNO UNITO. IL
CASO DEI 36 MEMBRI DEL BOARD OF DEPUTIES.
Dal mio post di ieri sui coloni israeliani sono emerse molte domande legittime. Esistono ebrei che si oppongono al genocidio? Esistono voci interne al mondo ebraico che denunciano la violenza del governo israeliano? Esistono correnti ebraiche antisioniste o pacifiste, o tutto il mondo ebraico sostiene compattamente Netanyahu e l’esercito?La realtà è molto più complessa di quanto certa retorica identitaria voglia far credere.Nel mondo esistono da decenni correnti ebraiche eterodosse, laiche, femministe, antisioniste, ultraortodosse, anarchiche, socialiste, post-olocaustiche che si oppongono apertamente sia alla colonizzazione della Palestina che alla costruzione di uno Stato ebraico etnico-militare. Esistono gruppi di ebrei ultraortodossi (Neturei Karta) che non riconoscono Israele e ne chiedono lo smantellamento per ragioni religiose; gruppi di ebrei laici e progressisti (Jewish Voice for Peace, IfNotNow, Na’amod, Independent Jewish Voices, JCall, ecc.) che sostengono apertamente la causa palestinese, denunciano l’apartheid e parlano di genocidio; ed esistono intellettuali, storici della Shoah, psicoanalisti, teologi, registi ebrei che hanno preso pubblicamente parola contro la violenza, spesso pagando un prezzo altissimo.Ma cosa succede a questi ebrei quando criticano Israele?Succede che vengono accusati di essere “ebrei che odiano se stessi”, traditori, complici dell’antisemitismo, o che vengono espulsi da comunità e organismi ufficiali. Come nel caso recentissimo dei 36 membri del Board of Deputies of British Jews (il principale organismo rappresentativo della comunità ebraica britannica), colpevoli di aver firmato una dichiarazione in cui si parla apertamente di “genocidio” a Gaza.Il Board of Deputies of British Jews è la principale organizzazione rappresentativa degli ebrei nel Regno Unito. Fondato nel 1760, agisce come organo consultivo e interlocutore ufficiale tra la comunità ebraica e il governo britannico, rappresentando sinagoghe, enti educativi, associazioni culturali e religiose. È considerato, in sostanza, la voce istituzionale del giudaismo britannico nei rapporti con autorità politiche, media e organismi pubblici.Il suo orientamento tradizionalmente filo-israeliano lo ha spesso portato a sostenere in modo più o meno esplicito le politiche dello Stato di Israele. Tuttavia, al suo interno convivono correnti diverse, e ciò ha generato scontri e tensioni, soprattutto negli ultimi anni, quando alcune sue figure di spicco hanno espresso critiche aperte verso la gestione israeliana del conflitto con i palestinesi.Il caso dei 36 firmatari che hanno denunciato il genocidio a Gaza è emblematico: non solo perché rompe l’omertà istituzionale, ma perché mette in discussione la pretesa del Board di rappresentare tutta la comunità ebraica britannica. Le loro sospensioni disciplinari dimostrano quanto sia difficile, anche all’interno di contesti ebraici ufficiali, esprimere dissenso rispetto alla linea dominante.DICHIARAZIONE PUBBLICA DI MEMBRI DEL BOARD OF DEPUTIES EBREI BRITANNICI CONTRO LA GUERRA A GAZA(The Guardian, 26 giugno 2025)Siamo ebrei britannici, membri e membri onorari del Board of Deputies of British Jews, che hanno espresso pubblicamente la loro opposizione all’attuale guerra condotta da Israele nella Striscia di Gaza. Alcuni di noi sono stati sospesi o oggetto di procedimenti disciplinari da parte del Board per aver rilasciato dichiarazioni che, a loro dire, “violano la neutralità dell’organizzazione”.Riteniamo che l’attuale devastazione di Gaza, con decine di migliaia di morti, una popolazione affamata, la distruzione sistematica di ospedali, scuole, infrastrutture e quartieri interi, rappresenti non solo una tragedia umanitaria, ma un crimine di proporzioni storiche.Quando, nel novembre 2023, abbiamo chiesto un cessate il fuoco immediato, siamo stati accusati di tradire il nostro popolo. Quando abbiamo denunciato la disumanizzazione Quando abbiamo espresso preoccupazione per l’uso strumentale del trauma ebraico, siamo stati tacciati di insensibilità.Ma non ci facciamo intimidire. Parliamo non nonostante la nostra identità ebraica, ma a partire da essa.Parliamo perché i nostri valori ci impongono di alzare la voce contro la disumanizzazione, ovunque si manifesti.Parliamo perché crediamo che nessun popolo debba essere ridotto a un bersaglio collettivo.Parliamo perché il silenzio, in questo momento, è complicità.L’uso sistematico della parola “mai più” per giustificare atti che sfiorano la definizione di genocidio è un affronto alla memoria della Shoah e a tutto ciò che di più sacro l’identità ebraica ha saputo custodire: la responsabilità verso l’altro, il dovere dell’empatia, il rifiuto dell’oppressione.Denunciare la guerra non significa odiare Israele.Significa rifiutare l’idea che Israele debba essere identificato con un governo violento, etno-nazionalista e corrotto, che sta compromettendo non solo la vita dei palestinesi ma anche l’anima morale del popolo ebraico.A chi ci accusa di antisemitismo rispondiamo: noi siamo ebrei, orgogliosi, pensanti, e profondamente indignati.Chiediamo che il Board of Deputies riconosca la legittimità della nostra posizione e sospenda ogni misura disciplinare nei confronti di chi ha scelto di non voltarsi dall’altra parte.Cosa è accaduto ai firmatari della letteraIl 26 giugno 2025, il Board of Deputies ha annunciato un provvedimento disciplinare senza precedenti contro i 36 firmatari della lettera pubblica che denunciava la guerra a Gaza. Cinque di loro sono stati sospesi per due anni, in pratica espulsi per tutta la durata del loro mandato. Gli altri trentuno hanno ricevuto una reprimenda formale. È la più grande azione a sanzioni.La colpa dei cinque sospesi? Aver rilasciato interviste alla stampa dopo la pubblicazione della lettera sul Financial Times nell’aprile precedente. Il Board ha giustificato le sanzioni con la violazione del codice di condotta, che vieterebbe ai membri di esprimere pubblicamente posizioni che “distorcono la linea ufficiale” o gettano discredito sull’organizzazione.I firmatari hanno annunciato ricorso legale, e in una dichiarazione pubblica hanno ribadito la loro posizione: “Rimaniamo profondamente preoccupati per la crisi umanitaria a Gaza, per i prigionieri ancora detenuti e per il deterioramento della situazione in Cisgiordania”. Hanno aggiunto di condividere le posizioni della maggioranza degli israeliani, che nei sondaggichiedono la fine della guerra in cambio del rilascio degli ostaggi. Uno di loro, Philip Goldenberg, ha paragonato la repressione interna subita alla logica autoritaria: “Espellere chi dice verità scomode al potere è l’esatto contrario della tradizione ebraica del dibattito. Questo somiglia più alla Russia di Putin”. Sua moglie, Harriett Goldenberg, anche lei sospesa, ha dichiarato: “Abbiamo ricevuto centinaia di messaggi da ebrei britannici che si sono riconosciuti nelle nostre parole. È tragico che quella voce debba ancora lottare per farsi sentire”.
GLI EBREI CHE NON SI PIEGANO: SOSPENSIONI,
RICORSI E CENSURA NEL REGNO UNITO. IL
CASO
DEI 36 MEMBRI DEL BOARD OF DEPUTIES.
Dal mio post di ieri sui coloni israeliani sono emerse molte
domande legittime. Esistono ebrei che si oppongono al
genocidio? Esistono voci interne al mondo ebraico che
denunciano la violenza del governo israeliano? Esistono
correnti ebraiche antisioniste o pacifiste, o tutto il mondo
ebraico sostiene compattamente Netanyahu e l’esercito?
La realtà è molto più complessa di quanto certa retorica
identitaria voglia far credere.
Nel mondo esistono da decenni correnti ebraiche
eterodosse, laiche, femministe, antisioniste, ultraortodosse,
anarchiche, socialiste, post-olocaustiche che si oppongono
apertamente sia alla colonizzazione della Palestina che alla
costruzione di uno Stato ebraico etnico-militare. Esistono
gruppi di ebrei ultraortodossi (Neturei Karta) che non
riconoscono Israele e ne chiedono lo smantellamento per
ragioni religiose; gruppi di ebrei laici e progressisti
(Jewish Voice for Peace, IfNotNow, Na’amod, Independent
Jewish Voices, JCall, ecc.) che sostengono apertamente la
causa palestinese, denunciano l’apartheid e parlano di
genocidio; ed esistono intellettuali, storici della Shoah,
psicoanalisti, teologi, registi ebrei che hanno preso
pubblicamente parola contro la violenza, spesso pagando
un prezzo altissimo.
Ma cosa succede a questi ebrei quando criticano Israele?
Succede che vengono accusati di essere “ebrei che odiano se stessi”, traditori, complici dell’antisemitismo, o che vengono espulsi da comunità e organismi ufficiali. Come nel caso recentissimo dei 36 membri del Board of Deputies of British Jews (il principale organismo rappresentativo della comunità ebraica britannica), colpevoli di aver firmato una
dichiarazione in cui si parla apertamente di “genocidio” a
Gaza.
Il Board of Deputies of British Jews è la principale
organizzazione rappresentativa degli ebrei nel Regno Unito.
Fondato nel 1760, agisce come organo consultivo e
interlocutore ufficiale tra la comunità ebraica e il governo
britannico, rappresentando sinagoghe, enti educativi,
associazioni culturali e religiose. È considerato, in sostanza,
la voce istituzionale del giudaismo britannico nei rapporti
con autorità politiche, media e organismi pubblici.
Il suo orientamento tradizionalmente filo-israeliano lo ha
spesso portato a sostenere in modo più o meno esplicito le
politiche dello Stato di Israele. Tuttavia, al suo interno
convivono correnti diverse, e ciò ha generato scontri e
tensioni, soprattutto negli ultimi anni, quando alcune sue
figure di spicco hanno espresso critiche aperte verso la
gestione israeliana del conflitto con i palestinesi.
Il caso dei 36 firmatari che hanno denunciato il genocidio a
Gaza è emblematico: non solo perché rompe l’omertà istituzionale,
ma perché mette in discussione la pretesa del Board di rappresentare
tutta la comunità ebraica britannica. Le loro sospensioni disciplinari
dimostrano quanto sia difficile, anche all’interno di contesti ebraici
ufficiali, esprimere dissenso rispetto alla linea dominante.
DICHIARAZIONE PUBBLICA DI MEMBRI DEL
BOARD
OF DEPUTIES EBREI BRITANNICI CONTRO LA
GUERRA A GAZA
(The Guardian, 26 giugno 2025)
Siamo ebrei britannici, membri e membri onorari del Board
of Deputies of British Jews, che hanno espresso
pubblicamente la loro opposizione all’attuale guerra condotta
da Israele nella Striscia di Gaza. Alcuni di noi sono stati
sospesi o oggetto di procedimenti disciplinari da parte del
Board per aver rilasciato dichiarazioni che, a loro dire,
“violano la neutralità dell’organizzazione”.
Riteniamo che l’attuale devastazione di Gaza, con decine di
migliaia di morti, una popolazione affamata, la distruzione
sistematica di ospedali, scuole, infrastrutture e quartieri interi,
rappresenti non solo una tragedia umanitaria, ma un crimine
di proporzioni storiche.
Quando, nel novembre 2023, abbiamo chiesto un cessate il
fuoco immediato, siamo stati accusati di tradire il nostro
popolo. Quando abbiamo denunciato la disumanizzazione
Quando abbiamo espresso preoccupazione per l’uso
strumentale del trauma ebraico, siamo stati tacciati di
insensibilità.
Ma non ci facciamo intimidire. Parliamo non nonostante la nostra
identità ebraica, ma a partire da essa.
Parliamo perché i nostri valori ci impongono di alzare la voce
contro la disumanizzazione, ovunque si manifesti.
Parliamo perché crediamo che nessun popolo debba essere
ridotto a un bersaglio collettivo.
Parliamo perché il silenzio, in questo momento, è complicità.
L’uso sistematico della parola “mai più” per giustificare atti che
sfiorano la definizione di genocidio è un affronto alla memoria
della Shoah e a tutto ciò che di più sacro l’identità ebraica ha
saputo custodire: la responsabilità verso l’altro, il dovere dell’
empatia, il rifiuto dell’oppressione.
Denunciare la guerra non significa odiare Israele.
Significa rifiutare l’idea che Israele debba essere identificato
con un governo violento, etno-nazionalista e corrotto, che sta compromettendo non solo la vita dei palestinesi ma anche
l’anima morale del popolo ebraico.
A chi ci accusa di antisemitismo rispondiamo: noi siamo ebrei,
orgogliosi, pensanti, e profondamente indignati.
Chiediamo che il Board of Deputies riconosca la legittimità della nostra posizione e sospenda ogni misura disciplinare nei confronti di
chi ha scelto di non voltarsi dall’altra parte.
Cosa è accaduto ai firmatari della lettera
Il 26 giugno 2025, il Board of Deputies ha annunciato un
provvedimento disciplinare senza precedenti contro i 36
firmatari della lettera pubblica che denunciava la guerra a
Gaza. Cinque di loro sono stati sospesi per due anni, in pratica
espulsi per tutta la durata del loro mandato. Gli altri trentuno
hanno ricevuto una reprimenda formale. È la più grande azione
a sanzioni.
La colpa dei cinque sospesi? Aver rilasciato interviste alla
stampa dopo la pubblicazione della lettera sul Financial Times
nell’aprile precedente. Il Board ha giustificato le sanzioni con la
violazione del codice di condotta, che vieterebbe ai membri di
esprimere pubblicamente posizioni che “distorcono la linea
ufficiale” o gettano discredito sull’organizzazione.
I firmatari hanno annunciato ricorso legale, e in una
dichiarazione pubblica hanno ribadito la loro posizione:
“Rimaniamo profondamente preoccupati per la crisi umanitaria
a Gaza, per i prigionieri ancora detenuti e per il deterioramento
della situazione in Cisgiordania”. Hanno aggiunto di condividere le posizioni della maggioranza degli israeliani, che nei sondaggi
chiedono la fine della guerra in cambio del rilascio degli ostaggi. Uno di loro, Philip Goldenberg, ha paragonato la repressione interna
subita alla logica autoritaria: “Espellere chi dice verità scomode
al potere è l’esatto contrario della tradizione ebraica del
dibattito. Questo somiglia più alla Russia di Putin”. Sua moglie,
Harriett Goldenberg, anche lei sospesa, ha dichiarato:
“Abbiamo ricevuto centinaia di messaggi da ebrei britannici che
si sono riconosciuti nelle nostre parole. È tragico che quella
voce debba ancora lottare per farsi sentire”.
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E poi c’è questo post del prof. Alessandro Orsini.
Tregua a Gaza?Molti non capiscono la ragione per cui Israele ha bisogno di periodici cessate il fuoco a Gaza. Molti pensano che il cessate il fuoco a Gaza sia concepito per consentire ai palestinesi di riprendere a vivere; pensano che sia concepito per alleviare le pene dei palestinesi. Ma non è affatto così. I periodici cessate piccoloissimo Paese. Quando entra in guerra, molti israeliani vengono spostati dal settore produttivo a quello improduttivo. Il Pil cala. Dopo avere ricaricato le armi, Israele riprende a massacrare i palestinesi. È già accaduto con il primo cessate il fuoco. Israele aveva bisogno di ridurre le bombe su Gaza per fare incetta di armi da lanciare contro l’Iran. Come ho spiegato a Rete 4 martedì scorso, la ragione per cui Israele ha sterminato 60.000 palestinesi e non 600.000 è perché deve mettere da parte moltissime armi per gestire sette fronti di guerra. Se Israele fosse in guerra soltanto con Gaza, quella città martoriata subirebbe bombardamenti infinitamente più massicci e i palestinesi morti sarebbero infinitamente più numerosi. Più tregue avremo, più massacri registreremo.L’aspetto più disumano di questa storia è che tutte le volte che il cessate il fuoco entra in vigore, Trump viene subissato di lodi dai suoi sostenitori. In realtà, Trump – l’ha detto infinite volte – ha un disprezzo assoluto per la vita dei palestinesi. Trump ha dichiarato ufficialmente che persegue il progetto della pulizia etnica a Gaza: un progetto che richiede necessariamente lo sterminio dei civili. Senza lo sterminio dei civili, Trump non potrebbe mai deportare un milione e mezzo di palestinesi. Il progetto di Trump è realizzabile soltanto se i palestinesi vengono costretti a lasciare la loro città ai coloni ebrei-israeliani i Smotrich. Il che richiede il loro sterminio sistematico. Smotrich ha spiegato che […]. Il mio nuovo editoriale esce ora. Incontrerò gli abbonati a sicurezza internazionale il 28 luglio dalle 19 alle 20 per la consueta diretta del mese.
E poi c’è questo post del prof. Alessandro Orsini.
Tregua a Gaza?
Molti non capiscono la ragione per cui Israele ha bisogno di
periodici cessate il fuoco a Gaza. Molti pensano che il cessate
il fuoco a Gaza sia concepito per consentire ai palestinesi di
riprendere a vivere; pensano che sia concepito per alleviare le
pene dei palestinesi. Ma non è affatto così. I periodici cessate
piccoloissimo Paese. Quando entra in guerra, molti israeliani
vengono spostati dal settore produttivo a quello improduttivo.
Il Pil cala. Dopo avere ricaricato le armi, Israele riprende a
massacrare i palestinesi. È già accaduto con il primo cessate
il fuoco. Israele aveva bisogno di ridurre le bombe su Gaza
per fare incetta di armi da lanciare contro l’Iran. Come ho
spiegato a Rete 4 martedì scorso, la ragione per cui Israele
ha sterminato 60.000 palestinesi e non 600.000 è perché deve
mettere da parte moltissime armi per gestire sette fronti di
guerra. Se Israele fosse in guerra soltanto con Gaza, quella
città martoriata subirebbe bombardamenti infinitamente più
massicci e i palestinesi morti sarebbero infinitamente più
numerosi. Più tregue avremo, più massacri registreremo.
L’aspetto più disumano di questa storia è che tutte le volte che
il cessate il fuoco entra in vigore, Trump viene subissato di lodi
dai suoi sostenitori. In realtà, Trump – l’ha detto infinite volte –
ha un disprezzo assoluto per la vita dei palestinesi. Trump
ha dichiarato ufficialmente che persegue il progetto della
pulizia etnica a Gaza: un progetto che richiede necessariamente lo sterminio dei civili. Senza lo sterminio dei civili, Trump non
potrebbe mai deportare un milione e mezzo di palestinesi. Il
progetto di Trump è realizzabile soltanto se i palestinesi
vengono costretti a lasciare la loro città ai coloni ebrei-israeliani
i Smotrich. Il che richiede il loro
sterminio sistematico. Smotrich ha spiegato che […]. Il mio
nuovo
editoriale esce ora. Incontrerò gli abbonati a sicurezza
internazionale il 28 luglio
dalle 19 alle 20 per la consueta diretta del mese.
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