giovedì 3 luglio 2025

Marco Tosatti - Ebrei che non si Piegano. Sospensioni, Censure, Ostracismo su Chi è contro lo Sterminio a G4z4.


Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione due elementi di valutazione della situazione in tragico corso in Medio Oriente. Buona lettura e meditazione.

§§§Il primo è questo post su Facebook di Lavinia Marchetti:

GLI EBREI CHE NON SI PIEGANO: SOSPENSIONI,
 RICORSI E CENSURA NEL REGNO UNITO. IL 

CASO 
DEI 36 MEMBRI DEL BOARD OF DEPUTIES.

Dal mio post di ieri sui coloni israeliani sono emerse molte 
domande legittime. Esistono ebrei che si oppongono al
 genocidio? Esistono voci interne al mondo ebraico che
 denunciano la violenza del governo israeliano? Esistono
 correnti ebraiche antisioniste o pacifiste, o tutto il mondo
 ebraico sostiene compattamente Netanyahu e l’esercito?
Credo sia giusto, doveroso, fare chiarezza.
La realtà è molto più complessa di quanto certa retorica 
identitaria voglia far credere.
Nel mondo esistono da decenni correnti ebraiche 
eterodosse, laiche, femministe, antisioniste, ultraortodosse,
 anarchiche, socialiste, post-olocaustiche che si oppongono
 apertamente sia alla colonizzazione della Palestina che alla
 costruzione di uno Stato ebraico etnico-militare. Esistono 
gruppi di ebrei ultraortodossi (Neturei Karta) che non 
riconoscono Israele e ne chiedono lo smantellamento per
 ragioni religiose; gruppi di ebrei laici e progressisti
 (Jewish Voice for Peace, IfNotNow, Na’amod, Independent 
Jewish Voices, JCall, ecc.) che sostengono apertamente la 
causa palestinese, denunciano l’apartheid e parlano di 
genocidio; ed esistono intellettuali, storici della Shoah, 
psicoanalisti, teologi, registi ebrei che hanno preso 
pubblicamente parola contro la violenza, spesso pagando 
un prezzo altissimo.
Ma cosa succede a questi ebrei quando criticano Israele?
Succede che vengono accusati di essere “ebrei che odiano se stessi”, traditori, complici dell’antisemitismo, o che vengono espulsi da comunità e organismi ufficiali. Come nel caso recentissimo dei 36 membri del Board of Deputies of British Jews (il principale organismo rappresentativo della comunità ebraica britannica), colpevoli di aver firmato una 
dichiarazione in cui si parla apertamente di “genocidio” a
 Gaza.
Il Board of Deputies of British Jews è la principale 
organizzazione rappresentativa degli ebrei nel Regno Unito.
 Fondato nel 1760, agisce come organo consultivo e 
interlocutore ufficiale tra la comunità ebraica e il governo 
britannico, rappresentando sinagoghe, enti educativi, 
associazioni culturali e religiose. È considerato, in sostanza,
 la voce istituzionale del giudaismo britannico nei rapporti 
con autorità politiche, media e organismi pubblici.
Il suo orientamento tradizionalmente filo-israeliano lo ha 
spesso portato a sostenere in modo più o meno esplicito le
 politiche dello Stato di Israele. Tuttavia, al suo interno 
convivono correnti diverse, e ciò ha generato scontri e 
tensioni, soprattutto negli ultimi anni, quando alcune sue 
figure di spicco hanno espresso critiche aperte verso la 
gestione israeliana del conflitto con i palestinesi.
Il caso dei 36 firmatari che hanno denunciato il genocidio a
 Gaza è emblematico: non solo perché rompe l’omertà istituzionale, 
ma perché mette in discussione la pretesa del Board di rappresentare 
tutta la comunità ebraica britannica. Le loro sospensioni disciplinari 
dimostrano quanto sia difficile, anche all’interno di contesti ebraici
 ufficiali, esprimere dissenso rispetto alla linea dominante.
DICHIARAZIONE PUBBLICA DI MEMBRI DEL
 BOARD 
OF DEPUTIES EBREI BRITANNICI CONTRO LA 
GUERRA A GAZA
(The Guardian, 26 giugno 2025)
Siamo ebrei britannici, membri e membri onorari del Board
 of Deputies of British Jews, che hanno espresso 
pubblicamente la loro opposizione all’attuale guerra condotta 
da Israele nella Striscia di Gaza. Alcuni di noi sono stati 
sospesi o oggetto di procedimenti disciplinari da parte del 
Board per aver rilasciato dichiarazioni che, a loro dire, 
“violano la neutralità dell’organizzazione”.
Riteniamo che l’attuale devastazione di Gaza, con decine di 
migliaia di morti, una popolazione affamata, la distruzione 
sistematica di ospedali, scuole, infrastrutture e quartieri interi,
 rappresenti non solo una tragedia umanitaria, ma un crimine
 di proporzioni storiche.
Quando, nel novembre 2023, abbiamo chiesto un cessate il 
fuoco immediato, siamo stati accusati di tradire il nostro 
popolo. Quando abbiamo denunciato la disumanizzazione 
Quando abbiamo espresso preoccupazione per l’uso 
strumentale del trauma ebraico, siamo stati tacciati di 
insensibilità.
Ma non ci facciamo intimidire. Parliamo non nonostante la nostra 
identità ebraica, ma a partire da essa.
Parliamo perché i nostri valori ci impongono di alzare la voce 
contro la disumanizzazione, ovunque si manifesti.
Parliamo perché crediamo che nessun popolo debba essere
 ridotto a un bersaglio collettivo.
Parliamo perché il silenzio, in questo momento, è complicità.
L’uso sistematico della parola “mai più” per giustificare atti che 
sfiorano la definizione di genocidio è un affronto alla memoria
 della Shoah e a tutto ciò che di più sacro l’identità ebraica ha
 saputo custodire: la responsabilità verso l’altro, il dovere dell’
empatia, il rifiuto dell’oppressione.
Denunciare la guerra non significa odiare Israele.
Significa rifiutare l’idea che Israele debba essere identificato 
con un governo violento, etno-nazionalista e corrotto, che sta compromettendo non solo la vita dei palestinesi ma anche 
l’anima morale del popolo ebraico.
A chi ci accusa di antisemitismo rispondiamo: noi siamo ebrei, 
orgogliosi, pensanti, e profondamente indignati.
Chiediamo che il Board of Deputies riconosca la legittimità della nostra posizione e sospenda ogni misura disciplinare nei confronti di 
chi ha scelto di non voltarsi dall’altra parte.
Cosa è accaduto ai firmatari della lettera
Il 26 giugno 2025, il Board of Deputies ha annunciato un
 provvedimento disciplinare senza precedenti contro i 36 
firmatari della lettera pubblica che denunciava la guerra a 
Gaza. Cinque di loro sono stati sospesi per due anni, in pratica
 espulsi per tutta la durata del loro mandato. Gli altri trentuno 
hanno ricevuto una reprimenda formale. È la più grande azione 
a sanzioni.
La colpa dei cinque sospesi? Aver rilasciato interviste alla 
stampa dopo la pubblicazione della lettera sul Financial Times 
nell’aprile precedente. Il Board ha giustificato le sanzioni con la
 violazione del codice di condotta, che vieterebbe ai membri di
 esprimere pubblicamente posizioni che “distorcono la linea 
ufficiale” o gettano discredito sull’organizzazione.
I firmatari hanno annunciato ricorso legale, e in una 
dichiarazione pubblica hanno ribadito la loro posizione: 
“Rimaniamo profondamente preoccupati per la crisi umanitaria
 a Gaza, per i prigionieri ancora detenuti e per il deterioramento
 della situazione in Cisgiordania”. Hanno aggiunto di condividere le posizioni della maggioranza degli israeliani, che nei sondaggi
chiedono la fine della guerra in cambio del rilascio degli ostaggi. Uno di loro, Philip Goldenberg, ha paragonato la repressione interna 
subita alla logica autoritaria: “Espellere chi dice verità scomode
 al potere è l’esatto contrario della tradizione ebraica del 
dibattito. Questo somiglia più alla Russia di Putin”. Sua moglie, 
Harriett Goldenberg, anche lei sospesa, ha dichiarato: 
“Abbiamo ricevuto centinaia di messaggi da ebrei britannici che 
si sono riconosciuti nelle nostre parole. È tragico che quella 
voce debba ancora lottare per farsi sentire”.

***

E poi c’è questo post del prof.  Alessandro Orsini.

Tregua a Gaza?
Molti non capiscono la ragione per cui Israele ha bisogno di 
periodici cessate il fuoco a Gaza. Molti pensano che il cessate
 il fuoco a Gaza sia concepito per consentire ai palestinesi di 
riprendere a vivere; pensano che sia concepito per alleviare le 
pene dei palestinesi. Ma non è affatto così. I periodici cessate 
piccoloissimo Paese. Quando entra in guerra, molti israeliani 
vengono spostati dal settore produttivo a quello improduttivo. 
Il Pil cala. Dopo avere ricaricato le armi, Israele riprende a 
massacrare i palestinesi. È già accaduto con il primo cessate
 il fuoco. Israele aveva bisogno di ridurre le bombe su Gaza 
per fare incetta di armi da lanciare contro l’Iran. Come ho 
spiegato a Rete 4 martedì scorso, la ragione per cui Israele 
ha sterminato 60.000 palestinesi e non 600.000 è perché deve
 mettere da parte moltissime armi per gestire sette fronti di 
guerra. Se Israele fosse in guerra soltanto con Gaza, quella 
città martoriata subirebbe bombardamenti infinitamente più 
massicci e i palestinesi morti sarebbero infinitamente più 
numerosi. Più tregue avremo, più massacri registreremo.
L’aspetto più disumano di questa storia è che tutte le volte che 
il cessate il fuoco entra in vigore, Trump viene subissato di lodi
 dai suoi sostenitori. In realtà, Trump – l’ha detto infinite volte –
 ha un disprezzo assoluto per la vita dei palestinesi. Trump 
ha dichiarato ufficialmente che persegue il progetto della
 pulizia etnica a Gaza: un progetto che richiede necessariamente lo sterminio dei civili. Senza lo sterminio dei civili, Trump non 
potrebbe mai deportare un milione e mezzo di palestinesi. Il 
progetto di Trump è realizzabile soltanto se i palestinesi 
vengono costretti a lasciare la loro città ai coloni ebrei-israeliani 
i Smotrich. Il che richiede il loro
 sterminio sistematico. Smotrich ha spiegato che […]. Il mio 
nuovo 
editoriale esce ora. Incontrerò gli abbonati a sicurezza 
internazionale il 28 luglio 
dalle 19 alle 20 per la consueta diretta del mese.

§§§

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