L'orribile morte di Regeni è il riflesso di una strategia geopolitica ben più grande, segnata dalla dottrina Barnett, un caos voluto dagli anglosassoni per assoggettare l'Europa e non solo.
4 novembre 2017megachip.globalist.it
dal Comitato No Guerra No Nato, sezione di Genova.
Il Comitato No Guerra No Nato, sezione di Genova, assiste con sgomento al reiterato tentativo, sia da parte dei media mainstream che da quelli alternativi, di veicolare la tesi che le responsabilità del "volutamente" efferato omicidio di Giulio Regeni, vadano attribuite al regime di Al-Sisi, una tesi che fa a pugni con la logica e gli interessi dei due paesi in questione.
Anche su Pandora TV, in una puntata della rubrica "Sarò Franco"[1], è stata portata avanti questa tesi. Con il presente articolo intendiamo contribuire, pur nel nostro piccolo, a fare chiarezza su un caso che contiene al suo interno tutte le contraddizioni del nostro tempo, senza al contempo voler mettere in dubbio in alcun modo, ovviamente, le capacità oltre che l’integrità politica e morale di Franco Fracassi, la cui ricostruzione del caso però, come detto, non ci appare congruente alla realtà dei fatti che possiamo vedere noi.
Sono trascorsi quasi due anni ormai da quando, lo scorso 25 gennaio 2016, Giulio Regeni veniva rapito e poi ucciso al Cairo. A distanza di pochi giorni dal ritrovamento del suo cadavere orribilmente torturato, seguono due fatti che fanno immediatamente sospettare il coinvolgimento dei servizi segreti angloamericani in tutta la faccenda. Innanzitutto, l’ENI avrebbe dovuto firmare con l’Egitto un contratto per lo sfruttamento del maxi-giacimento di Zohr, il più grande giacimento di gas naturale mai scoperto non solo in tutto l’Egitto, ma nell’intero Mediterraneo...
In secondo luogo, al ritrovamento del corpo di Regeni si affianca subito la martellante campagna di Amnesty International, che ricordiamo, è una ONG con sede a Londra e solidi legami col dipartimento di stato americano. Come sappiamo, le ONG sono ben lontane dall’essere organizzazioni filantropiche, apolitiche e indipendenti dai governi. Dovrebbe quindi sollevare qualche ragionevole dubbio il fatto che Amnesty International non abbia mosso un dito ad esempio per Giovanni Lo Porto, brutalmente ucciso in Afghanistan da un drone americano, o per Salvatore Failla e Fausto Piano, due tecnici in Libia uccisi da un raid aereo americano a Sabrata (per far saltare la loro liberazione e peggiorare i rapporti tra Roma e il Cairo), mentre per Giulio Regeni, ufficialmente assassinato dal “regime” di Al-Sisi, abbia smosso mari e monti. Evidentemente, solo i paesi “non allineati” agli interessi USA calpestano i diritti umani (e quando non lo fanno ci pensano loro sotto falsa bandiera).
Per spiegare questi due fatti sospetti, bisogna capire quali interessi siano in gioco e fare qualche passo indietro. Da qui si susseguono una serie di eventi ben riassunti tra gli altri da un articolo del blogger Federico Dezzani sul caso Regeni. Nel luglio 2013 il generale Abd al-Fattah al-Sisi opera un colpo di stato ai danni della fratellanza mussulmana, che sin dal secolo scorso era manovrata da Londra e che “finalmente” era salita al potere dopo la rivoluzione colorata del 2011. Il nuovo governo egiziano nazionalista sceglie di intensificare immediatamente i rapporti commerciali e gli investimenti con il nostro paese. Nel 2014 l’ENI riesce addirittura ad aggiudicarsi la concessione nella zona di Shorouk, al largo delle coste egiziane, dove verrà successivamente scoperto il giacimento di Zohr [2].
Nel marzo del 2015 la cooperazione Italia-Egitto s’accresce perché il nostro paese si affida all’Egitto per risolvere la crisi libica, puntando così, implicitamente, sulla presa del potere da parte del generale Haftar, già da tempo in buoni rapporti con i servizi segreti italiani [3].
Nel 2015 il solito terrorismo ad personam dell’ISIS, che guarda caso colpisce sempre laddove il Pentagono ha più bisogno, fa scoppiare un’autobomba vicino al consolato italiano sventrando parte dell’edificio; si tratta di un primo messaggio d’avvertimento angloamericano affinché l’Italia si svincoli dall’Egitto [4].
Nell’agosto del 2015 l’ENI scopre il maxi-giacimento Zohr di gas naturale, localizzato proprio a Shorouck, di cui aveva ottenuto la concessione un anno prima. A settembre 2015 Regeni sbarca al Cairo all’interno di un programma di studio dell’Università di Cambridge che lo mette subito in contatto con esponenti dell’opposizione di Al-Sisi: i suoi docenti Anne Alexandre e Maha Abdelrahman sono, infatti, attiviste importanti nella fratellanza mussulmana, quindi alleate degli interessi angloamericani. Il ricercatore è deliberatamente esposto all’ambiente dei dissidenti, entrando subito in contatto col leader dei fratelli mussulmani, così da creare il pretesto per il suo successivo sequestro e omicidio [5].
Il 25 gennaio Regeni è rapito e il 3 febbraio il suo cadavere è ritrovato nel bel mezzo del Cairo, orribilmente torturato. Dalle carte dei magistrati, tra l’altro, è emerso anche che Maha aveva inviato già in passato altri studenti in Egitto per lo stesso tipo di ricerca, ma il governo egiziano li aveva poi allontanati [6].
Ora, usando la logica, sin da quando Al-Sisi ha preso il potere in Egitto, abbiamo appena visto che non ha fatto altro che tessere rapporti commerciali diplomatici con l’Italia; perché avrebbe dovuto buttare tutto a mare così all’improvviso, lasciando scoppiare uno scandalo? Se avesse avuto per qualche ragione interna, la necessità di uccidere Regeni, non avrebbe mai fatto ritrovare il corpo e Giulio sarebbe semplicemente “scomparso”. Perché invece far bella mostra del cadavere lasciandolo rinvenire platealmente nel bel mezzo della metropoli?
La reazione italiana è scontata; Il 9 aprile l’ambasciatore italiano, su ordine del nostro governo, viene ritirato dal Cairo, e si ventilano sanzioni all’Egitto, oltre che la sospensione di tutti i progetti ENI in questo grande paese del Vicino Oriente (che valgono 7 miliardi).
Anche in questa vicenda, quindi, il governo italiano, si dimostra subito prono alla versione dei fatti già pronta e confezionata dagli USA sulla totale responsabilità di Al-Sisi. L’8 giugno le indagini italiane hanno portato sino in Inghilterra ma si devono fermare contro il muro di omertà dell’università di Cambridge, che si rifiuta di collaborare con gli inquirenti italiani. Questo fatto però non genera alcuna crisi diplomatica tra il nostro paese e l’Inghilterra, e nemmeno le ONG, Amnesty International in testa, sembrano rimanere scandalizzate. In questo modo la NATO e quindi gli USA hanno provato ad estromettere l’Italia nella gestione della crisi in Libia e la stessa ENI nel controllo del maxi-giacimento di Zohr. Tuttavia non sono riusciti completamente nelle loro intenzioni. Mentre il governo si è dovuto appiattire sulla linea dura contro Al-Sisi lanciata da Washington e Londra, l’ENI ha mediato i rapporti diplomatici con l’Egitto mantenendo toni amichevoli e riuscendo alla fine ad aggiudicarsi il giacimento Zohr. Inoltre l’ENI ha ceduto alla russa Rosneft una quota pari al 30% della concessione [7].
L’ENI così ha mantenuto buoni rapporti con i russi per tornare in Libia a spartirsi il giacimento Elephant, come già era accaduto poco prima della caduta di Gheddafi. I danni agli interessi nazionali sono stati dunque limitati, tuttavia questo episodio mostra una volta di più quanto i media e le ONG siano appiattiti sugli interessi atlantici e siano quindi ben lontani dal formulare un’analisi onesta dei fatti.
La morte di Regeni è però soltanto il riflesso di una strategia geopolitica ben più grande, le cui caratteristiche sono già tutte presenti in questo caso: la dottrina Barnett vuole che solo gli Usa abbiano accesso diretto alle risorse naturali all’interno delle zone “instabili”. Secondo i loro progetti, vorrebbero riuscire a garantire l’approvvigionamento delle risorse naturali ai loro alleati soltanto mediante il loro esercito, così da tenerli tutti costantemente sotto scacco. In questo caso l’Italia, attraverso l’ENI, che ricordiamo è comunque un’impresa con una quota di controllo pubblico del 30%, si stava impadronendo del più grosso giacimento di gas del mediterraneo e si stava impegnando a recuperare il controllo sul petrolio libico, vanificando indirettamente lo sforzo dell’intelligence americana di abbattere il governo di Gheddafi e il precedente governo d’Egitto.
Dopo aver gettato questi due paesi nel caos, infatti, gli americani puntavano a schierare il loro esercito per mantenere il caos stesso e al contempo acquistare il controllo delle risorse della zona, per poi rivenderle in un secondo momento all’Europa e sostituire così, parzialmente, il gas e il petrolio russi. Dopo le sanzioni alla Russia, tra l’altro, i giacimenti del Mediterraneo sono diventati molto più strategici per gli interessi europei e quindi, nel ridimensionare il ruolo dei russi nel mercato Europeo, gli Usa cercano di autonomizzare progressivamente gli interessi economici dell’Europa dalla Russia, così da legarci sempre più alla loro politica estera in funzione anti-russo-cinese. D’altronde, come non ricordare le durissime parole del Generale Mark Milley quando all’Association of United States Army sbraitava: "colpiremo duramente chiunque minaccerà il nostro stile di vita"[8].
Il caso Regeni è quindi soltanto l’ultima delle grandi operazioni sotto falsa bandiera gestite dalla CIA e/o MI5. Tutti capiscono che il controllo delle fonti energetiche necessarie ad approvvigionare l'Europa in sostituzione del gas russo, deve essere direttamente nelle mani di chi sta portando avanti il conflitto contro il mondo multipolare e non lo si può quindi lasciare all'ENI; è talmente palese che lo capisce persino Pier Ferdinando Casini quando in un’intervista afferma che “gli interessi italiani nel mediterraneo vanno a farsi benedire” se si ascolta chi vuole utilizzare il caso Regeni per polemizzare a tutti i costi col governo di Al-Sisi [9].
Purtroppo non riusciamo a stupirci che faccia finta di non capirlo la sinistra cosiddetta “radicale”, che da tempo ha ormai fatto la sua scelta di campo e di classe: la NATO e il Capitale.
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