PS: Ma il prossimo Congresso Nazionale del Pd, non si doveva tenere a ottobre? Come mai questa adunanza pidiellina a Palermo? Non ci posso credere! non c'è il nome dell'On. Silvio Berlusconi..........! Vede On. , a volte, litigare con i Pm va a finire che non lo "invitano"più a testimoniare come indagato! Comunque non se la prenda, vedrà che una accusa la trovano in fretta.....!
umberto marabese
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Napolitano e i big della II Repubblica testi
sulla trattativa stato-mafia: le larghe intese sentono puzza di bruciato
sull'inchiesta di Palermo
Nei palazzi della politica si sente puzza di bruciato di fronte alla decisione
dei pm del processo palermitano sulla trattativa Stato-mafia di citare
come testi 178 personalità, tra cui Giorgio Napolitano, Pietro
Grasso, il presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, il
procuratore generale della Cassazione Giancarlo Ciani, l’ex procuratore
di Palermo Giancarlo Caselli (ora pm a Torino), Giuliano Amato, Luciano
Violante, Ciriaco De Mita, Arnaldo Forlani e altri politici. Imbarazzo e
perplessità, più o meno esplicite su una richiesta che di fatto
coinvolge tutti gli attori principali degli albori della Seconda
Repubblica. Di fatto, la nuova mina piazzata dai procuratori Nino Di
Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi scoppia
sotto il neonato governo delle larghe intese....Naturalmente il Pdl ha meno problemi a esprimere dubbi sull’azione dei pm o anche ad attaccarla. Ma stavolta anche in casa Pd, partner di maggioranza del governo Letta fortemente voluto dal Quirinale, circolano dubbi sulla lunga lista di testimoni indicati, la loro caratura istituzionale, la decisione di chiamare a testimoniare il presidente della Repubblica per fatti conosciuti durante il suo mandato, cosa che contrasta con l’articolo 90 della Costituzione. “Forse facevano meglio a non fare questa lista. Non conosco le carte del processo, mi auguro che questa lista testi sia stata adeguatamente ponderata…”, dice Donatella Ferranti, presidente della Commissione Giustizia della Camera. “Si tratta di una strategia processuale dei pm su cui credo sia meglio non entrare, valuterà il giudice che ammetterà le prove e ne valuterà la rilevanza”, aggiunge Ferranti senza naturalmente spingersi a dire che esiste uno scontro tra magistratura inquirente e politica, che è la tesi di Berlusconi. Su questo le larghe intese di governo non bastano per coniare teorie comuni, ma l’iniziativa dei pm di Palermo sulle alte cariche dello Stato fa compiere qualche tacito passetto di avvicinamento tra Pd e Pdl, sebbene vada sempre considerato che nel Pd ci sono linee diverse. Ed è chiaro che i più lontani dalle larghe intese, i meno convinti della rielezione di Giorgio Napolitano, potrebbero essere anche i più vicini ai pm palermitani.
Al Colle ovviamente mantengono tutta la distanza del caso: per il momento, la citazione di Palermo è una non notizia, nel senso che Napolitano attende il pronunciamento della corte d’Assise di Palermo, cui spetta il compito di giudicare l’ammissibilità dei testimoni indicati dai pm. Il processo avrà inizio il 27 maggio prossimo. In sostanza, i pm vogliono che Napolitano chiarisca sulla corrispondenza epistolare con il suo consigliere Loris D’Ambrosio, morto l’anno scorso per infarto e travolto dalle polemiche sulle intercettazioni telefoniche con Nicola Mancino, ministro dell’Interno all’epoca della presunta trattativa Stato-Mafia e indagato dalla procura di Palermo per falsa testimonianza. Nella missiva al capo dello Stato, D’Ambrosio esprimeva il timore “di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi” e assicurava di non aver mai “esercitato pressioni o ingerenze, che, anche minimamente, potessero tendere a favorire il senatore Mancino”. Napolitano gli aveva risposto: “Colpiscono lei per colpire me”, come riportato nel testo ‘La Giustizia. Interventi del Capo dello Stato e Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. 2006 -2012’ che racchiude le lettere.
Fin qui gli atti decisi a Palermo. La politica non ci vede chiaro, sebbene la polemica non sia urlata. “Io credo che non vi sia un solo precedente di citazione come teste del capo dello Stato per fatti conosciuti nell’esercizio della sua funzione alla presidenza della Repubblica”, dice Francesco Nitto Palma, presidente della commissione Giustizia del Senato. “E oggettivamente, alla luce dell’ordinamento costituzionale trovo questa fattispecie abbastanza anomala”, continua, facendo riferimento all’articolo 90 della Costituzione, secondo cui:
“Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri”.
Insomma, prosegue Nitto Palma, “citare come testi la prima e la seconda carica dello Stato è un fatto anomalo ed eccezionale tanto che lei mi sta intervistando ora”. Per dire di: iniziativa singolare volta a suscitare clamore mediatico al di là di quello che deciderà la corte d’Assise di Palermo. Tra i precedenti, in effetti, c’è quello di Carlo Azeglio Ciampi, interrogato dalla procura di Torino nel processo Telekom Serbia proprio quando era al Quirinale, ma per fatti risalenti a quando era ministro del Tesoro. Nello specifico, i pm volevano sapere da lui chi prese la decisione di aprire le trattative con il governo di Milosevic per la creazione di una società telefonica serba partecipata al 49 per cento da Telecom Italia. Ma mai nessun capo dello Stato è stato sentito per fatti inerenti al suo mandato.
Non è un caso che a prendere le difese dei pm di Palermo ci pensi Paolo Ferrero, segretario del Prc, unico partito a essersi costituito parte civile nel processo sulla trattativa Stato-mafia e sostenitore della candidatura dell’ex pm del pool di Palermo Antonio Ingroia alle politiche. “La convocazione a Palermo per Napolitano è importante e necessaria per capire appieno come sono andati i fatti”, dice Ferrero. Parole scontate, che però acuiscono i sospetti tra le forze di governo. "Ingroia continua a comandare la procura di Palermo anche da Aosta", attacca Daniela Santanchè, che proprio di governo non è, però sfrutta il caso per un'altra battaglia anti pm.
Renato Brunetta ci mette il carico da novanta: “Non è normale che si intercetti il capo dello Stato, urge una riforma delle intercettazioni”. Ma qui il punto non è chiedere una riforma che non verrà mai messa all’ordine del giorno di questo governo: questo lo sanno tutti anche nel Pdl. Il punto di Brunetta è insinuare l’ennesimo sospetto, e cioè che, attraverso la citazione di Napolitano come teste, i pm di Palermo vogliano utilizzare indirettamente il contenuto delle telefonate tra il capo dello Stato e Mancino, distrutte ad aprile dopo la sentenza della Corte Costituzionale. Lo dice Osvaldo Napoli, ex parlamentare del Pdl: “Sono sicuri i pm di convocare napolitano e altri cento testi per il ruolo ricoperto all'epoca dei fatti o non piuttosto perché si basano sulle intercettazioni telefoniche distrutte e quindi prive di valore documentale?”. A sera il procuratore Teresi chiarisce: "La citazione del presidente della Repubblica non ha nulla a che vedere con le telefonate intercorse tra l'ex ministro Mancino e D'Ambrosio, né tantomeno con le conversazioni tra il capo dello Stato e Mancino ormai distrutte dopo la sentenza della Consulta".
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