Il peggior lascito del ventennio berlusconiano si chiama Matteo
Renzi. Nonostante il colpo di fulmine che ha provocato in Maurizio
Landini, penso che il segretario del PD rappresenti l’ennesima
riverniciatura delle politiche liberiste che ci han portato a questa
crisi e che ora la stanno aggravando. Lo dimostrano i primi suoi atti di
governo.
Il suo staff sta preparando un altro
attacco all’articolo 18, quello che nell’Italia garantista solo verso i
potenti suscita scandalo perché stabilisce che chi è licenziato
ingiustamente, se il giudice gli dà ragione, deve tornare al suo posto
di lavoro. Questo principio di civiltà ha già molte limitazioni, non si
applica sotto i quindici dipendenti ed è reso nullo dalla marea di
contratti precari. Inoltre con un accordo con il governo Monti CGIL CISL
UIL hanno accettato di liberalizzare i licenziamenti cosiddetti
economici, che in una crisi come questa significa via libera alla
cacciata di tante e tanti. Ma nonostante questo ultimo atto di
autolesionismo sindacale Renzi vuole di più.
Il progetto per il lavoro annunciato dal suo staff prevede la
cancellazione dell’articolo 18 per tutti i nuovi assunti. In cambio
verrebbero diminuiti i contratti formalmente precari. Questo per la
ovvia ragione che essendo possibile il licenziamento a discrezione, il
contratto precario perderebbe ragione d’essere. Se posso cacciarti
quando voglio perché devo scervellarmi a trovare il contratto capestro
più adeguato, semplicissimo no?.......
È ovvio che questo è solo un passaggio intermedio verso l’abolizione
totale della tutela contro i licenziamenti ingiusti. Infatti se tutti i
nuovi assunti saranno privi di quella tutela per un bel po’ di tempo, le
aziende saranno interessate a chiudere e licenziare per riassumere
senza diritti. E chi li dovesse mantenere sarebbe considerato un
privilegiato da combattere. Il renziano Pietro Ichino sostiene anni che
nel mondo del lavoro vige l’apartheid come nel Sudafrica prima della
vittoria di Mandela. Peccato che così si faccia l’eguaglianza a
rovescio. Come se in quel paese, invece che estendere ai neri i diritti
dei bianchi, si fosse deciso di rendere tutti eguali togliendo quei
diritti a tutti.
La soppressione dell’articolo 18 non è certo una novità. Da sempre in
Italia è rivendicata dalle organizzazioni delle imprese quando non
sanno che dire e fu tentata dal governo Berlusconi nel 2002. La CGIL di
allora però riuscì a impedirla.
In Spagna i governi hanno da tempo liberalizzato i licenziamenti, e quel
paese oggi è l’unico grande stato europeo con un tasso di
disoccupazione superiore al nostro. In Francia ci provò il presidente
Sarkozy a introdurre una misura simile a quella che piace oggi a Renzi.
Fu fermato da una gigantesca protesta giovanile e popolare.
La seconda iniziativa del neoeletto leader è stata quella di mettersi
di traverso rispetto a quella che è stata chiamata la Google tax. Cioè
un tenuissimo provvedimento di tassazione sugli affari delle grandi
multinazionali che operano nella rete e che hanno sede legale in
paradisi fiscali. Queste società guadagnano miliardi da noi e non pagano
un centesimo, come ha ricordato quel comunista di Carlo De Benedetti. E
come soprattutto ricorda la Corte dei Conti, che da tempo afferma che
la quota più rilevante dei tanti miliardi che mancano al fisco viene
dalla elusione fiscale delle grandi società che giocano con le sedi
legali all’estero.
Il progressista Renzi ha subito detto a Letta che questa tassa non s’ha da fare, e così è stato.
Viene da chiedersi, ma dove sta il nuovo in tutto questo? Sviluppare
l’economia con la flessibilità del lavoro e la detassazione dei ricchi e
delle multinazionali, è il principio guida delle politiche liberiste
che hanno dominato negli ultime trenta anni. Siamo ancora qui, sono
queste le “riforme”?
Se è così, il progetto di Matteo Renzi più che essere il nuovo che
avanza, è l’avanzo di quel nuovo che ci ha portato al disastro attuale.
Giorgio Cremaschi
(18 dicembre 2013)
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/12/18/giorgio-cremaschi-renzi-lavanzo-del-nuovo/
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