umberto marabese
-----------------------
È
uscito un film molto
speciale, che dura quanto vuole chi l'ha comprato. Nel quale gli
attori li muove lo spettatore, che diventa quindi protagonista.
Guarda un po' che progressi verso la "partecipazione" e la
rottura dello schema della tv, così "autoritario" e
unidirezionale. Evviva!
In
verità, per diradare l'entusiasmo si dovrà dire subito che lo
spettatore/attore di questo film è protagonista solo in un certo
senso, molto speciale. La sceneggiatura è infatti già scritta o,
per meglio dire, disegnata. E chi guarda e pigia i bottoni della
PlayStation può certamente influire sugli eventi, ma è come se si
muovesse sui binari tracciati da qualcun altro.
Diciamo,
prima di tutto, quanto è costato farlo, questo film, perché i
numeri sono quelli che contano. Soprattutto per chi lo ha ideato e
prodotto. È costato più di ogni altro film mai realizzato nella
storia del cinema, salvo uno di Walt Disney, cioè 266 milioni di
dollari. Non si sa quanta gente ci ha lavorato, ma sono alcune
migliaia di persone, ciascuna delle quali - come tra poco vedremo -
ha dato il suo contributo a una operazione culturale devastante per
il tenore intellettuale e morale di chi vive, e vivrà, su questo
pianeta. Contributo molto differenziato, a seconda del posto che
costoro hanno occupato nella produzione. Più o meno come hanno fatto
e fanno i produttori di armi, per esempio di cacciabombardieri F-35.
Perché, come vedremo tra poco, anche questo film è
un'arma. E non (solo) un'arma di "distrazione di massa",
ma di vera e propria distruzione di massa. Solo che in questo caso la
distruzione è intellettuale e morale, e riguarda coloro che lo
comprano e se ne servono. È come se qualcuno andasse in un negozio e
si comprasse una bomba a esplosione ritardata, e poi se la mettesse
addosso per farsene maciullare. Ricordate quell'altro film, di
Woody Allen?...
L'unica
differenza consiste nel fatto che la bomba è indolore. Non ti uccide
fisicamente. Ti penetra, invece, intellettualmente, magari
procurandoti uno spasimo di piacere. Ma questa è materia, come
vedremo tra poco, altamente controversa. Una cosa certa è che chi
l'ha pensata ci sta guadagnando cifre astronomiche. Il prodotto
interno lordo ringrazia.
Quanto
guadagno? Dal 17 settembre scorso, data in cui il prodotto è finito
sugli scaffali dei negozi, ha incassato, in poche settimane, oltre un
miliardo e mezzo di dollari, con 14 milioni di copie vendute, a
quanto pare, solo nei primi tre giorni. Ottocento milioni di dollari
di incassi solo nel primo giorno di vendite. Boom! Nessun film aveva
mai realizzato un tale exploit. Quanto sia entrato in cassa da
allora, in questi mesi, non sappiamo, ma il lancio della vendita
ancora continua. A Natale impazzerà tra i regali. Genitori zombi
lo regaleranno ai figli, affinché lo diventino anche loro.
Comunque,
per prendere bene le misure di questo fenomeno, si dovrà finalmente
dire che questo "film", che ha mosso la mano di chi scrive, è
l'ultimo rampollo di una serie: il quinto. I quattro predecessori
circolano per il pianeta dal 1995, e sono stati comprati già in 150
milioni di copie. Che non vuole dire soltanto, come ben cominciate a
capire, altrettanti milioni di spettatori. Moltiplicate invece
tranquillamente per cinque, o per dieci: questo film lo si può
vedere in solitudine, ma anche in compagnia, e nei fatti è questo
che si verifica più spesso. Inoltre questo film può essere tirato
fuori dal cassetto quante volte si vuole, vive, prolifera, raccoglie
adepti, fans, come si dice oggi, dilaga. Perché è molto divertente.
Con
il quinto rampollo si raggiungerà e supererà il miliardo di
spettatori-attori. Un settimo della popolazione del pianeta.
Ma - tenuto conto che qualche miliardo di abitanti della Terra non
ha l'elettricità, e neanche un computer - la densità media dei
kamikaze che applicheranno su se stessi quest'arma sarà molto più
alta in Occidente che, per esempio, in Africa. Il che equivale a
dire che la densità media del cretino è più alta in Occidente che
nel resto del mondo. Ma non vorrei divagare troppo: meglio entrare
nel merito e soddisfare subito la curiosità di chi legge.
Risulta
- vistosamente scritto sulla copertina - che questo film è vietato
ai minori di 18 anni, ma la dicitura è un favore per i
produttori. Anche gli altri quattro predecessori erano
"sconsigliati" ai minori. Ottimo sistema per farli comprare
proprio ai minori. È come un'incoronazione, una Palma d'Oro, il
vertice della carriera, un Premio Oscar. Quest'ultimo se la merita
più dei quattro precedenti messi insieme. E un salto di qualità, è
il Progresso. Solo i selvaggi possono rifiutarlo.
Insomma
l'oggetto in questione sarà maneggiato sicuramente molto di più
dagli adolescenti maschi di ogni parte del mondo che dagli adulti, e
dalle donne. Saranno i giovani di ogni età, quelli con i
polpastrelli ipersviluppati della net-generation,
a godersi i pregi di una "pellicola" che resterà nella storia.
Viste le cifre di cui sopra (magari esagerate dai venditori, ma non
di troppo) si può già dire che l'evento
"segnerà" un'intera generazione.
La segnerà proprio nel senso di un marchio a fuoco, come quello cui
venivano sottoposti i capi di bestiame nei grandi pascoli del Far
West. Solo che questo
marchio non verrà impresso sul corpo, ma nella mente
di ciascuno di loro.
Certo,
certo, scrivono i commentatori ebeti delle pagine dello spettacolo di
giornali e televisioni, questa è "roba per adulti". Lo è,
di sicuro. Anche.
Il
che ci costringe a chiederci quale sia il tipo medio dell'adulto
maschio plasmato dalla società dello spettacolo.
Ho
letto una recensione di questo "film" dove il giornalista si
ingegnava a spiegare che, in fondo, il livello di criminalità
(stiamo parlando infatti di cultura di massa) che dispiega è
talmente incredibile da
disinnescare il meccanismo di assorbimento dei contenuti, e da
far sorridere ironicamente chi vi si affaccia. Ecco: questa è la
prima e la più semplice giustificazione: il contenuto del film è
talmente, indicibilmente obbrobrioso, che chi ne fruisce "non può
crederci", non può rimanerne influenzato, perché è "esagerato".
Il problema è, però, che nessuno ride mentre guarda e partecipa.
Non ridono gli adulti mentre sventrano il nemico, mentre violentano
una prostituta. Non ridono i bambini e gli adolescenti mentre
dirigono l'auto di lusso - che hanno appena scelto, gratis,
nell'ipermercato che il film mette a disposizione, con grande
varietà di marche, colori, cilindrate da Gran Prix - sui marciapiedi
con il sadico intento di uccidere i pedoni. Di cui si sente anche il
molto realistico rantolo di dolore mentre muoiono.
Forse
qualche pedagogo, qualche psicologo, dovrebbe spiegare a questi
"critici d'arte" che un ragazzino di dieci anni, ma anche di
quindici o venti, ma anche un adulto plasmato da "Italia Uno",
non ha mai avuto tempo e modo di dotarsi di un bagaglio intellettuale
tale da permettergli di "straniarsi" ironicamente da un tale tipo
di attività "sociale". Il fatto è che gl'intellettuali
tendono a proiettare se stessi sugli altri, e si aspettano che gli
altri reagiscano agli eventi proprio come farebbero loro. Il che,
naturalmente, non accade mai. Non gli viene in mente che i
milioni di spettatori-attori-giocatori di questo film vivono in case
dove non c'è nemmeno un libro, che del resto non hanno mai letto,
né loro né i loro genitori, parenti e amici. Non prendono in
considerazione che non c'è filtro difensivo nelle menti della
stragrande maggioranza degli spettatori, da tempo già trasformati in
"homines videntes" e in consumatori compulsivi.
Mi
chiedo: a quale mutazione antropologica noi stiamo andando? Ma mi
scuso con il lettore: sto anticipando cose che "voi umani" ancora
non potete immaginare, visto che non siete ancora passati attraverso
le Porte di Tannhäuser
di questo film. Mi soffermo su queste cifre perché sia chiaro che
siamo di fronte a una "merce" speciale. Guy
Debord
è morto prima di vederla, ma l'aveva immaginata bene. Oggi essa è
la regina, il paradigma della società dello spettacolo. Neil
Postman
è anche lui passato a miglior vita, ma fu profeta quando scrisse
"Divertirsi
da morire":
là si trova la più perfetta descrizione di "GTA
V"
- questo è il titolo del film in questione, che sta per "Grand
Theft Auto V",
il nome in inglese del reato di furto d'auto, che potrebbe persino
suonare in italiano così: Gigantesco
Furto di Automobili.
Innocente, vero? Perfino banale. Chi non ha rubato un'auto? Non
l'avete mai rubata? Che sciocchini che siete! Peggio per voi,
perché giocherete male. In ogni caso: chi non ha desiderato una
bella macchina sportiva? Il breve passaggio tra desiderio e furto
reale è qui saltato di slancio. E fosse solo il furto di un'auto!
Avevano cominciato con prudenza, i creatori, con ruberie di
terz'ordine. Ma ora le cose sono maturate. Il "nuovo mondo" di
Huxley sta arrivando: si può fare di più, molto di più. I
giocatori sono già stati preparati a ben altre imprese!
Il
luogo dell'azione è Los Santos, che somiglia molto a Los
Angeles. Disegno e sceneggiatura straordinariamente realistici. I
personaggi da maneggiare sono tre, Michael De Santa, Franklin
Clinton, Trevor Philips. Cioè un gangster afro-americano,
un "pensionato" precoce disposto a tutto e un "fuori di testa"
con la faccia che pare ispirata al Jack Nicholson di "Shining".
Le loro "missioni" le guidate voi che giocate, e sono nient'altro
che una serie di nefandezze perfino difficili da raccontare.
A
quanto pare solo Amnesty International ha protestato. Per il resto è
stato silenzio. C'è un gruppo di delinquenti (non mi riferisco
ai tre protagonisti disegnati da schiere di schiavi al computer) che,
per fare soldi, vende liquame velenoso su scala planetaria. Per
il dio mercato sono dei santi. Volete che qualcuno li critichi se
fanno miliardi? Che differenza c'è tra loro e il CEO di Goldman
Sachs? L'unica differenza è che Lloyd C. Blankfein non
sgozza nessuno in pubblico e, apparentemente, nemmeno invita a farlo
(anche se nel chiuso dei suoi sontuosi uffici, firma documenti che
condannano a morte milioni di persone).
Questi
delinquenti hanno un nome e un cognome. Si chiamano Sam e Dan
Houser, i due fratelli fondatori della Rockstar Games. Il secondo
è il genio che scrive le sceneggiature del gioco. È gente più
pericolosa dei mercanti di droga, dei cartelli dell'oppio e della
cocaina. Il loro scopo è titillare il peggio delle profondità
della psiche umana: diseducare al vivere civile, umiliare, infangare
lo spirito, le coscienze, mostrare un mondo dove ogni regola può
essere infranta, e dove ogni infrazione viene premiata con il
denaro che permette di comprare - per ora virtualmente - qualche
cosa di superfluo, di lussuoso. Qualche cosa che nessuno dei
giocatori potrà mai permettersi nel corso della sua vita reale. Il
crimine è la norma. Agita ipnoticamente un'infinità di volte da
menti prive di ogni possibilità di selezione, quindi di difesa.
"Ma,
in fondo, è un gioco",
scrivono i suoi venditori e chi gli tiene il sacco. Gli uni e gli
altri paiono non sapere - e probabilmente non sanno - come si
possono usare le "debolezze" umane.
Lasciamo
perdere le schiere di pedagoghi che pure dovrebbero dire qualcosa in
merito.
Ma
basterebbe studiare le campagne pubblicitarie della Coca Cola per
capire la vulnerabilità
del cervello umano a messaggi ripetuti, e costruiti per penetrarlo.
Se fosse vero che "non c'è nulla di riprovevole e di pericoloso"
in operazioni del genere, allora
si dovrebbe dire ai genitori di smetterla di educare i loro figli e
di lasciarli fare come dettano loro le leggi della giungla.
In realtà, tolti i paraocchi delle cosiddette leggi del mercato, ci
si accorgerebbe che siamo di fronte a una plateale apologia
di reato,
travestita da crescita del PIL, dunque intoccabile, incensurabile.
Anzi
già mi par di sentire le alte strida dei difensori della libertà di
espressione: "Questa è censura!"
Rispondo
subito: questa è difesa
da una aggressione subdola,
imparabile, incontrollabile, esercitata da persone
che sanno di commettere un crimine e lo commettono fruendo della
superiorità tecnologica ed economica
di cui dispongono.
Adesso
i delinquenti (che, appunto, esercitano, con i nostri soldi,
aggressioni quotidiane prolungate contro i nostri figli) esondano nel
web. "GTA V" va online. I tre delinquenti e "fuori di testa"
del gioco iniziale si confondono con i milioni di delinquenti che
giocheranno online con i loro delinquenti avatar. La Rockstar
Games sta comprando, pare, giganteschi server per garantire a tutti
di poter stuprare almeno una volta al giorno una ragazza. Già oggi,
se la meravigliosa banda sarà abbastanza larga, puoi formare una
"banda virtuale" con qualche ragazzo di Seul, di Hong Kong, o di
Denver , e andare a rapinare una banca per poterti comprare un fucile
mitragliatore più potente di quello con cui hai sparato in testa al
messicano che ti ha venduto la droga.
In
termini tecnici mi pare, come ho detto, apologia di reato. Ho visto
una libreria di Roma che ha smontato tutta una vetrina, nella
quale un tempo stavano dei libri, per dedicarla interamente a "GTA
V".
Ma
la cosa che più continua a stupirmi è la reazione collettiva
delle gente colta, bene educata, tra cui si annoverano molti "di
sinistra". E, in genere, degli adulti che definiremmo normali. In
primo luogo, quando tiro fuori questo argomento, scopro che quasi
nessuno ne è a conoscenza. Ti guardano come se fossi ebete. Mi è
successo a Mosca, a Skopje (Macedonia), a Roma, a Milano, a
Bruxelles, a Vladikavkaz (Ossetia del Nord). Dovunque i commensali
adulti erano all'oscuro. Poi capita che arriva un giovane, un
figlio (le figlie non giocano a "GTA V"), magari primo anno di
università, o studente del liceo, fresco fresco di una seduta
collettiva, online, di "Grand Theft Auto V". Allora gli adulti si
svegliano, per un attimo. Comincia la discussione e di regola
l'atteggiamento è questo: non è un problema; è un gioco; la
violenza è nella società, dunque anche senza giocarci la si impara
tutti i giorni; la violenza non si trasmette, se uno non ce l'ha
dentro, non ne sarà mai contagiato. Qualcuno addirittura loda
l'impresa della Rockstar Games: potrebbe addirittura essere una
specie di antidoto, un modo per sfogare le proprie tensioni, i
propri impulsi omicidi, sul terreno virtuale. Poi si spegne la tv e
si va a dormire pacificati.
Uno
di questi signori, genitore anche lui, sulla quarantina, mi ha
perfino rimproverato: "Ma non hai mai giocato agl'indiani? Vuoi
dire che un film come Arancia Meccanica può produrre violenza nella
vita reale?" Mi è capitato di incontrare addirittura diversi
insegnanti, che dovrebbero essere dei pedagoghi, convinti che "non
ci sia niente di male in una cosa del genere". Più frequentemente
ho riscontrato una sovrana indifferenza.
Siamo
nel pieno di una rivoluzione tecnologica che sfrutta in lungo, in
largo e in profondità tutti gli effetti di una comunicazione
soverchiante, che invade ogni attimo della nostra vita, e che ha già
modificato il modo di pensare (non solo di vivere) di miliardi di
persone, e gl'intellettuali ancora non hanno capito la differenza
tra il giocare a guardie e ladri nei cortili del condominio, e lo
stare ore, in "solitaria", o in una compagnia tendenzialmente
abbrutita, a maneggiare strumenti di morte davanti a uno schermo.
Sfugge
a quasi tutti che la dimensione di scala di questi fenomeni
"culturali" ha modificato la loro natura. Quando cento
milioni di persone fanno la stessa cosa, il fenomeno non può essere
trattato come individuale. Esso ha effetti sociali.
Dovrebbe
essere un'ovvietà. Non lo è.
Soprattutto
sfugge al colto e all'inclita che non è solo di violenza che
qui si tratta. Gran parte di "GTA V" non riguarda armi e
uccisioni. Riguarda il gusto estetico, il consumo, il disegno
della città, i rapporti tra le persone, e delle persone con le cose,
il modo come ci si veste e ci si pettina, la capigliatura che "si
deve" avere, le parole che "si devono usare". È un
affresco della società del consumo spasmodico. È la legittimazione
totale di uno "stile di vita", ma privato di ogni "stile", di
ogni estetica, di ogni pur elementare afflato intellettuale, o
morale.
Quello
che vedi e maneggi con il joystick è una mandria di maiali, uno dei
quali è te stesso, guidati da pulsioni che prima che essere omicide,
sono di accettazione integrale dell'esistente. Anzi: peggio
che accettazione, perché anch'essa comporta una scelta. È assenza
di ogni scelta. Ho chiesto a un ragazzo diciassettenne, che
considera anche lui il gioco di "GTA V" come inoffensivo: ma
esiste un ruolo positivo? Per esempio puoi impersonare un
poliziotto che combatte i ladri? Mi ha guardato strano e mi ha
faticosamente spiegato (faticosamente perché non disponeva nemmeno
del vocabolario adatto a un tale concetto) che una qualunque funzione
sociale è esclusa dalla "logica" di Los Santos. Il gioco
stesso è incompatibile con i buoni sentimenti. Credo di avere
completato la descrizione.
"GTA
V" è la produzione di massa di "male diffuso", di cattivi
pensieri, di disprezzo per la vita e la solidarietà, di
perseguimento degl'istinti di sopraffazione a livelli industriali.
Qui
la qualità si assomma a quantità vertiginose. Milioni, miliardi
d'individui entrano in questo abnorme circuito quotidiano, tutti
insieme. Non è la caccia agl'indiani di quando eravamo bambini. È
l'allevamento dei polli che, più che uccidere, si faranno uccidere
pensando di stare giocando a "GTA V".
Ecco,
quando dico che dobbiamo organizzare una lotta per difendere il
"nostro territorio", e quando includo nel nostro territorio la
nostra mente, e quella dei nostri figli, dico che dovremmo
organizzare un'offensiva politica, e anche legale, contro "GTA
V". Chiederne la messa fuori legge è un atto di lotta.
Promuovere azioni giudiziarie contro chi lo diffonde. Organizzare
manifestazioni e flashmob contro le librerie che lo vendono.
Promuovere discussioni pubbliche in cui si mostra ai genitori cosa si
fa con le menti dei loro figli. Chi può aggiunga idee. Conquistare i
cuori e le menti di milioni alle nostre idee sulla transizione, da
questa società a un'altra che verrà, si spera diversa e migliore,
non sarà possibile senza aiutare i milioni a smetterla di
"divertirsi da morire". Dobbiamo ancora imparare a farlo.
______________________________
NOTA DELLA REDAZIONE DI MEGACHIP:Di seguito è incorporato l'estratto-video di una scena raccapricciante tratta da "GTA V". E' quotidianamente raggiungibile dalle consolles in mano a milioni di bambini in tutto il mondo. La sconsigliamo anche agli adulti più sensibili.
http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=92144&typeb=0&Grand-Theft-Auto-V-perche-una-campagna-contro
Nessun commento:
Posta un commento